Categorie: Personaggi

Trash Secco: da Dante a Cattelan, oltre le porte della percezione dell’arte

di - 11 Dicembre 2020

Trash Secco, al secolo Francesco Pividori, è uno degli artisti più originali della scena romana. Formatosi sull’arte di Mario Schifano, Tano Festa, Mimmo Rotella e sul cinema Neorealista, ha dato vita a opere complesse e crude, che profumano di borgata e di Nazionali senza filtro. In questa intervista abbiamo parlato con lui di arte, libertà e censura, accompagnati da Dante, Virgilio e Caravaggio, sullo scenario di una Roma apocalittica.

Trash Secco sul set di Amore Mì

Come vivi il tuo rapporto con Roma, come è lavorare e fare arte nella città?

«Inizio con un’auto-citazione: “Fare l’artista a Roma è una merda”. Pensavo questo nel 2018 e lo posso ribadire nel 2020 … e magari lo potrò riconfermare nel 2030. La costipazione intellettuale che si vive in questa città è infernale, dantesca, un girone diabolico di burocrazia e di bigottismo provinciale che appartiene ad un “italietta” che io odio e che combatto con tutte le mie forze, il tutto decorato da uno sfarzoso… ma che dico, IMPERIALE, UNIVERSALE, MEGAGALATTICO scenario pieno di cultura, storia, tradizione, che per quanto bellissimo e poetico e…. non ci sono parole per descrivere la magnificenza estetica di Roma, piuttosto mi commuovo come Barbara D’urso in diretta… purtroppo tutta questa storia, tutto questo patrimonio artistico, parafrasando Nietzsche è “bloccante”, c’è un eccesso di storia, quando nasci e cresci in una città così ricca di passato un confronto diretto con i grandi geni del passato ti schiaccia e ti umilia completamente.

Ogni volta che pensavo di fare una mostra dei miei dipinti da adolescente pensavo “Cos’hai da dire in più di Caravaggio?” e la risposta era sempre “Niente, assolutamente niente” e tornavo a casa con la coda tra le gambe. Ancora adesso fatico ad esibire le mie opere pittoriche, mentre nell’audio- visivo mi sento molto più libero di rischiare e di divertirmi. Per fortuna le acque della capitale si stanno smuovendo, i produttori rischiano di più e nel cinema vedo nuove personalità molto valide, come i fratelli D’innocenzo che con il loro talento e la loro personalità così forte stanno aprendo porte ormai rimaste chiuse da tempo per colpa di una politica sbagliata.

È invece fare retorica dire che vivere a Roma è fonte di ispirazione infinita non tanto per la cultura e la storia ma per lo splendido spirito di chi la vive da anni, dai loro cittadini…io li amo…basta me sto a commuove davvero stavolta…».

Coca Cola Light, 2016
Coca Cola Light, 2016
Coca Cola Light, 2016
Coca Cola Light, 2016

Quali sono stati i tuoi riferimenti artistici e cinematografici?

«Difficile rispondere a questa domanda senza essere prolisso e noioso. Inizierò proprio dagli albori. Innanzi tutto io sono figlio della media/bassa borghesia, quella fascia sociale che si è emancipata dal proletariato da qualche generazione ma che abita in zone semi periferiche, quindi  mantiene un’umile dedizione al lavoro e al guadagnarsi le cose con le proprie forze (come mio padre che fa il rubinettaro), che non ha nessun cognome importante e nessun impresa di cui godere.

Sono cresciuto dentro la cultura grazie a mia madre che invece di portarmi a Disney World mi portava alla Biennale di Venezia quando avevo otto anni, perché lavorando nell’ambito dei beni culturali e dell’arte contemporanea comunale, mi ha fatto crescere immerso nell’arte da sempre. Quindi per me Schifano, Tano Festa, Mimmo Rotella sono come dei parenti, come degli zii (al liceo avevo Cesare Tacchi come professore), quindi devo dire di essere fortunato, anzi quasi un privilegiato, rispetto a persone che non hanno niente e che nascono nelle periferie dimenticate da Dio.

In fase adolescenziale è nato l’amore per il cinema, una passione sfrenata. Da Lars Von Trier ho imparato a rompere gli schemi, da Herzog ho capito che un fare un film è come una missione che potrebbe finire con la morte. Da Harmony Koryne ho trovato il coraggio per fare la mia prima opera audio visiva Nefasto – er mostro de zona e che la narrativa è fatta anche di chaos cosmico, non solo di storie in tre atti e l’importanza dell’improvvisazione e dell’istinto. Poi c’è Carmelo Bene e Pasolini che con Accatone ha creato l’opera che più mi è rimasta nella testa, è un’ossessione perché è talmente indecifrabile e parla di un argomento così vivo e attuale che è tutt’altro che storia per me. Poi c’è il cinema indipendente romano con cui ho sempre avuto un legame quasi spirituale, Caligari con Amore Tossico, Nico d’Alessandria con L’imperatore di Roma (chi non lo conosce è peccatore), Alberto Grifi con Anna…insomma…grazie Enrico Ghezzi…

Poi c’è stato tutto il percorso dei video con cui ho spaziato tra le varie arti, approcciando anche al mondo della moda Romanek, Aronofsky, Akerlund, Gondry, tutti i registi passati dai videoclip al cinema, con cui hanno maturato un linguaggio nuovo, più veloce, più contemporaneo, ma ho preso anche dallo stilista Alexander Mcqueen, la sfilata ispirata al fotografo Witkin è qualcosa di sublime, assoluto, ma anche Toilet Paper di Cattelan è Bibbia, Kenneth Anger è invece per me la fontana da cui bere sempre. Quando fai videoclip assorbi o rubacchi un sacco. Tra gli autori che seguo di più ora c’è Guadagnino, Suspiria l’ho visto quattro volte di seguito, non scherzo, stupendo».

Trash Secco sul set di Rehab

Nel video SPARA di Ketama 126 ci sono riferimenti ad un mondo distopico in cui regna l’anarchia. Come nasce l’idea di questo video? Quale la simbologia dietro il video?

«Sono felice di rispondere a questa domanda, scrissi un articolo sul video e le sue simbologie ma la redazione non lo pubblicò perché era “troppo complicato” per il lettore comune. Giuro, usarono queste parole. Aprirei un dibattito su quanto “abituare” l’utente medio a un lessico semplicistico e banale perché vende, perché è di tendenza, perché “il mondo va così” per me sia come vendere l’anima al diavolo, ma non in modo fico come Paganini o Jimmy Page, parlo del demone del piattume intellettuale devoto alla pigrizia e al denaro facile…Scusate, ho tanti scheletri nell’armadio che mi hanno biforcuto la lingua…Spara ha avuto una ripercussione mediatica minore, e fidatevi che dietro c’è un lavoro lungo e doloroso.

E così: “SPARA, UN VIDEO SULL’ANARCHIA E SULLE SUE CONTRADDIZIONI”

Tre personaggi più un ghost carachter che sarebbe il Ketama “il ribelle”. Un re. Una regina. Uno schiavo. Siamo nel 2060 un futuro distopico molto vicino. 2060 è la data che Newton calcolò come fine del mondo, secondo un’intuizione matematica applicata a una rilettura del libro di Daniele nell’Antico Testamento. La civiltà rimasta si è sintetizzata al paradosso in due fazioni dicotomiche, ricchi e poveri, nessun compromesso sociale, nessuna moneta, rimane solo l’oro, i gioielli, il trono, IL POTERE. Lo Schiavo, il liberto che nell’antica Roma era lo schiavo che una volta liberato continuava a vivere a fianco del padrone e gli doveva rispetto assoluto, interpretato (per puro caso?) da Luca Liberto condurrà un’insurrezione individuale contro il Re interpretato da Dioniso Vuckovich (già protagonista della Trilogia AMOR VINCIT OMNIA). Una rivolta fatta di amore, passione e tradimento, perché la vera mandante del misfatto, il detonatore della ribellione è la Regina (interpretata da Chiara Vignarelli), sua complice.

Un unico motto: SPARA.SPARA CONTRO I POTENTI. “E QUANDO SENTI LA PAURA PRENDI LA 38 E SPARA, E QUANDO VEDI LA QUESTURA PRENDI LA 38 E SPARA…”

Un vero inno alla ribellione, l’unico modo che l’autore della canzone ci dà per sopravvivere è sparare contro chi ci opprime, proprio come i protagonisti nel video (al posto di un P38 abbiamo una fionda, per necessità, per distopia). È Ketama il personaggio chiave della storia, il vero protagonista. Apparentemente sembra scollegato dalla storia, ma attraverso alcuni dettagli (vediamo nelle ultime inquadrature che lui ha i gioielli del re e la Regina è con lui) scopriamo che è LUI l’ultimo dei ribelli, l’ultimo ad aver SPARATO al suo oppressore, e sarà l’elemento chiave per capire il VERO senso del video/film. Il potere, l’oro, abbaglia chiunque (come la scritta dorata all’inizio del video), e che il PADRONE ALTRO NON è CHE UNO SCHIAVO CON IL POTERE e viceversa. “Il giallo e il nero sono i colori della bandiera dell’anarchia”, infatti, i colori sono la chiave fotografica-simbolica del video (fotografia che diventa simbolo grazie al mio D.o.P. di fiducia Valentina Belli) il giallo/l’oro/la vita e il nero la morte ed il presagio colori della bandiera ANARCO-CAPITALISTA, una diramazione particolare dell’anarchia, quasi dissociata dal senso classico di Anarchia pura e dura. In questo caso parliamo infatti di una corrente di pensiero fondata sul libero Mercato, quindi su una filosofia individualista  applicata soprattutto al mercato, completamente priva di monopolio dello stato, un po’ come  il primo Internet.. Insomma un potere assoluto legato all’economia, come in base è nella realtà di oggi, ma senza uno stato e un gioco- forza dove chi è povero rimane povero per sempre. Un pensiero che vede come nemico assoluto lo stato e la sua ipocrisia esistenziale. Siamo costretti a farci la guerra per guadagnare qualcosa che ci spodesteranno in futuro. Non c’è pace, non c’è amore, non c’è vita, non ci sono colori, c’è solo il giallo e il nero, l’oro e la morte».

Chiara Vignarelli sul set di SPARA
Luca Liberto sul set di SPARA
Dioniso Vuckovich sul set di SPARA

Il corto Amor Vincit Omnia è un grande omaggio a Virgilio, Dante e Caravaggio, parlaci di queste ispirazioni.

«Amo l’iconografia dell’arte classica italiana, non ne posso fare a meno. Con gli anni mi sto avvicinando anche alla cultura medio-orientale. Negli stessi video di Achille Lauro come Amoremì riporto dei personaggi antropomorfi legati all’Induismo, insomma, amo i culti in generale. Non potrò mai scordare quanto a livello psicologico inconscio la figura di Gesù, di San Sebastiano e di San Francesco abbiano influenzato la mia vita, cosa che ho riportato infatti nel mio percorso da direttore artistico del già citato Achille Lauro fin dagli albori: ho creato a tavolino la sua immagine tanto che se la porta ancora dietro nonostante ci siamo divisi, e fa bene.  Come la religione cristiana è dentro di me, come il senso di colpa mi invade ogni mio pensiero (anche tutti i miei disegni piangono o sono in colpa per qualcosa) anche la Divina Commedia è sempre presente in ogni mio lavoro. Chi lavora con me sa che negli script (sceneggiature dei video) compare spesso il termine “girone infernale” o l’assunto “come una legge del contrappasso Dantesca”, in Amor Vincit Omnia ho deciso di fare una citazione più dichiarata, un omaggio esplicito.

La divisione in capitoli che finisce all’Inferno invece che al Paradiso, è una metafora della nostra vita, che altro non è che un’illusione, da uno sbalzo emotivo all’altro. Ci sembra di vivere nel Giardino dell’Eden e un attimo dopo negli inferi.
Il protagonista è un Adamo dei tempi moderni, che gira ossessionato dalla figura del suo creatore tanto da scrivere il suo nome con la vernice per strada; nella prima parte Purgatorio il protagonista scrive “Dio” in modo ossessivo ed ha anche un tatuaggio in testa con la stessa scritta. Nella seconda parte, si perde con la sua Eva e la mela proibita (un mix di droghe), assaggiando il peccato originale.

Come in tutte le parabole Cristiane il protagonista subirà la sua punizione divina finendo vittima di sé stesso e della realtà che lo circonda, tra spaccio, soldi e dipendenza. Il capitolo che preferisco è il terzo, il Paradiso, inteso come sensazione paradisiaca, come benessere illusorio, effimero, un Inferno mascherato di bianco. L’ambiguità e la contraddizione sono il pane quotidiano, il DUBBIO REGNA SOVRANO, come giustamente ci insegna Nietzsche, siamo sempre noi la discriminante per trasformare il Bene in Male, il Bello in Brutto… guarda il pianeta Terrra e quello che ci viene propinato ogni giorno dai media.

Quintali di spazzatura e di malessere ingoiato giorno per giorno, quando se solo puntassimo questa lente d’ingrandimento sullo splendore di questo Pianeta, quanto gli vorremmo più bene, quanto saremmo spinti ad aiutarlo, ad aiutarci…vabbè retorica…basta…divento smielato senza volerlo…».

Amor Vincit Omnia, 2018

Arte e censura, pensi che si possa parlare ancora di censura artistica nel 2020?

«AIAH…Qua tocchiamo un argomento scottante…Un’ossessione quasi…Ho già parlato in passato di Tabù, di come parlare di droghe in molti miei lavori è stato solo un pretesto per parlare di qualcosa di nascosto, di occultato, dal perbenismo borghese, o invece chi ne ha parlato troppo ma sempre con quell’occhio giudicante, figlio della stessa ipocrita madre bigotta, che parla di cose che non sa sostanzialmente. È proprio qui il punto, che molte volte la censura, i tabù nascono da un sentimento di paura, e la paura sappiamo bene che nasce dall’ignoto, da ciò che non conosciamo. E se una cosa noi la occultiamo, in psicologia, diventa un mostro enorme nella nostra psiche, qualcosa che potrebbe condizionarci a vita, potrebbe far nascere fobie, depressioni, gesti inconsulti.

La ricerca del primitivo in un’artista, è un processo mentale che nasce da un’esigenza identitaria dell’artista stesso, un abbandono completo di quello che sono le sovrastrutture dateci dalla società moderna e quindi un voltare le spalle anche alla conoscenza e al ricordo di essa, è difficilissimo essere autentici nel 2020 con tutto questo bombardamento continuo di contenuti.

Io sono per la coerenza, per la libertà, ognuno dovrebbe essere libero (artisticamente parlando) di dire e fare quello che vuole, ma perché lo sente dentro, non perché ce lo dice la società, o Instagram, o le mode contemporanee. Basta censura, ma basta anche con l’anti censura…Libertà».

SPARA, 2019

Trash Secco, classe 1989, è un regista, pittore, fotografo e grafico, originario di Roma. In passato è stato membro del collettivo Quarto Blocco, ha diretto video di Achille Lauro, Noyz Narcos, Onyx e dal 2017 ha cominciato a collaborare con la crew 126 – Love Gang. Trash Secco è direttore artistico di mostre ed eventi nella Capitale.

«Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch’è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta», Dante (Purgatorio canto I vv. 70-72).

Per le altre puntate di The Undergroud, la nostra guida all’esplorazione dell’arte diffusa al di là dei circuiti convenzionali, per scelta o per caso, potete cliccare qui.

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