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Questo lavoro, per me, è uno dei più belli che esistano. S’incontrano le persone più straordinarie, più strane, più interessanti, più assurde. Gente diversa, distonici, nessuno che rientri nei canoni della normalità. Ero preparato a questo. Pier Paolo Pasolini, per tre anni alla scuola media, mi ha insegnato a essere anticonformista, a fare attenzione a tutto quello che succede intorno, a osservare a guardare. Ho rivolto la mia attenzione al mondo dell’arte, passando da Gericault e accostando David, gli Impressionisti, Freud e Cézanne, ‘Les demoiselles d’Avignon’ e tutte le persone che nell’arte sono coinvolte. Le amo tutte, fanno parte del gioco, un gioco bellissimo che vorrei durasse il più a lungo possibile”. Così si raccontava in un’intervista di qualche anno fa Ugo Ferranti. Aveva un modo sentimentale di aderire all’arte, che considerava sempre ed esclusivamente in relazione alle persone.
Il gioco è cessato lo scorso 7 gennaio alle cinque del mattino. La causa: un tumore ai polmoni. Quel gioco era iniziato nel 1975 quando, dopo una laurea in architettura e un lavoro avviato nella progettazione di giardini, Ferranti decise di affiancare Massimo D’Alessandro nella galleria di via di Tor Millina. L’esordio del binomio D’Alessandro-Ferranti avvenne con una mostra di
Niele Toroni, artista al quale Ferranti si rivolgerà ogni volta che ci sarà la necessità di segnare un nuovo inizio: nel 1977, quando continuò da solo a condurre la galleria, e nel 1994, per l’inaugurazione della nuova sede espositiva di via de’ Soldati, uno spazio che era stato lo studio di
Mario Schifano e poi di
Mimmo Capone.
Attraverso le belle foto in bianco e nero di quest’ultimo è possibile ripercorrere quasi per intero la storia della galleria. Una presa di posizione categorica, schierata: “
Non vedevo altre possibilità espressive al di fuori delle opere concettuali e minimaliste”. Allestì mostre memorabili di
Richard Nonas,
Robert Morris,
Richard Tuttle,
Jene Highstein,
Daniel Buren,
Giulio Paolini,
Michele Zaza,
Maurizio Mochetti,
André Cadere,
Sol LeWitt,
Jannis Kounellis,
Cy Twombly,
Robert Barry. Lo fece grazie a una generosità reciproca, che seppe spesso instaurare con gli artisti, grazie anche alla preziosa collaborazione, fondata sull’amicizia, con Yvon Lambert e ad altre solidarietà di cui le foto ci rivelano qualche indizio, come la presenza di Germano Celant e Ida Gianelli.
Se non in epoche recenti, non affidò mai a un critico la presentazione delle sue mostre. Unica eccezione, nel 1975, il testo di Achille Bonito Oliva per il catalogo della mostra dedicata ai monocromi di Schifano.
Alla fine degli anni ‘70, quando il sistema dell’arte rischiava di ridurre a provincia i centri privi di una forte economia di mercato, Ferranti tirò fuori un asso dalla manica e lanciò sulla scena internazionale una compagine di giovani artisti:
Domenico Bianchi,
Bruno Ceccobelli,
Gianni Dessì,
Giuseppe Gallo, del tutto diversi, ma in sintonia con i concettuali e i minimalisti amati. La galleria si confermò zona nevralgica e fertile luogo d’incontro. Da allora, altre scoperte:
Andrea Fogli,
Alfredo Zelli,
Giuseppe Bordoni,
Andrea Aquilanti…
Poche ore prima di morire ha chiesto a Kounellis di realizzare l’urna per le sue ceneri, e ad Andrea Aquilanti di predisporre l’ambiente nel quale ricevere l’ultimo saluto degli amici. Saluto che ha voluto si svolgesse in galleria, nello spazio che sino alla fine ha coltivato per l’arte, offrendolo ai suoi eccezionali amici, e che ha saputo con tenacia e, talvolta, persino con arroganza difendere dalla volgarità e dalla banalità.