Categorie: Personaggi

UN ANNO AL (LUCA) MASSIMO

di - 13 Giugno 2010

Si consenta a Exibart il suo ruolo di grillo
parlante. Dunque: fine maggio 2010. Il Maxxi ha fatto i bandi per servizi e
ristorazione e il Macro no; il Maxxi ha gli spazi pronti e allestiti e il Macro
no; il Maxxi ha la fondazione e il Macro no.

Come refrain da un anno ripeto che
non sono arrivato per assumere i tempi pregressi. In un anno il cantiere che
viveva in un italico
standby è terminato, le gare per la ristorazione partiranno e la
fondazione non penso che sia un’impresa da pensarsi leggermente in pochi mesi.
Ai politici e amministratori questa splendida sentenza…

La fondazione non sarà una roba da pochi mesi. Ma
neppure da secoli. E poi per te è uno strumento fondamentale per gestire la
macchina. Insomma, quanto ci vogliono impiegare a dotarti di una governance
decente?

E cosa ne so!? Penso non sia semplice fondere patrimoni
pubblici esistenti con privati che sicuramente attendevano di vedere i primi
risultati di questo museo.

In effetti in
questo anno te la sei cavata anche senza fondazione, per carità…
I risultati si
vedono e il pubblico ci sente esistenti e presenti; questo è quanto, in neanche
un anno. La burocrazia avrà i suoi tempi.

In ogni modo cosa ti aspetti dalla Fondazione Macro?
Quali sono i problemi concreti e i colli di bottiglia che potrebbe risolvere?

Più agilità nella gestione, migliori e snelli rapporti con
i privati e l’amministrazione pubblica e in fondo la libertà per un direttore
di svolgere il ruolo artistico svincolato dalla gestione tout court così come
favorire collaborazioni, anche per quanto riguarda il personale.


Al di là delle cattiverie di poc’anzi, la “pubblicità comparativa” con il
Maxxi è da leggersi in un’ottica di feconda concorrenza tra i due spazi. In
realtà ancora nessuno ha capito come vi distinguerete, come eviterete di
pestarvi i piedi (al di là del concordare i giorni delle inaugurazioni). A
livello di contenuti (in marketing si direbbe di “posizionamento”), come vedi
il tuo Macro rispetto al museo di via Guido Reni?

Beh, sarebbe bello se ci pestasse
i piedi come in un tentativo di ballo tra due persone che non si conoscono
ancora e non si sono allenate per ballare insieme. Ma penso che questo debba
essere ed è (tra l’altro proprio partendo da un desiderata
di Exibart) il rapporto che si desidera
costruire. Macro e l’amministrazione della città hanno compiuto uno sforzo
davvero unico per poter presentare la nuova ala di Odile Decq proprio in
concomitanza dell’apertura del Maxxi. Si doveva fare, per festeggiare il museo
nazionale alla sua apertura e per dare un “assaggio” dei nuovi spazi di via
Nizza. Con le nuove fondazioni private, le gallerie, le associazioni culturali
Roma ha un forte capitale
contemporaneo già esistente, e in più una forte richiesta
d’arte da parte di un pubblico che non è solo quello degli addetti ai lavori. I
due musei dovranno creare un’offerta il più variegata possibile affinché tutto
questo possa davvero divenire organico, differente ma fruibile come un’unica
offerta di Roma Contemporanea.
Come
posizionamento penso che la
formula delle molte mostre; delle personali di artisti pensate per il museo non
in scala monumentale, ma come luoghi di approfondimento dedicati al pubblico
del Macro; e il fatto degli orari, che già a Testaccio arrivano sino alla
mezzanotte, stiano già dando al museo un trend agile, molteplice e per un
pubblico non solo di addetti ai lavori.

Come vedi questa Roma tutta
concentrata nel turbinio di fine maggio? Passaggio cruciale per la città, no?

Si è passati da un disincantato
“non ci sono spazi per il contemporaneo” a uno snobistico “mah, magari ce ne
sono troppi” e sono davvero sereno. Nessuno si è mai domandato se P.S.1, MoMA,
Whitney, DIA, New Museum, Drawing Center a New York siano troppi o pochi.
Insisto sempre, Roma non è New York e neppure la tanto evocata Berlino, ma è Roma!
e ha una “fisionomia unica” dove
archeologia, barocco, Novecento sono, insieme, contemporanei
al contemporaneo. Questo la rende
una città unica. Roma è una città che riesce ad avere una massa critica alta di
pubblico e ha un potenziale turistico elevato e già consolidato che dobbiamo
informare affinché, dopo “le sette chiese”, il pubblico non romano scopra Roma
Contemporanea, cosa che sta già accadendo, lentamente ma capillarmente. Macro
raggiunge talvolta il 50% di pubblico straniero e per trovare via Reggio Emilia
debbono essere davvero interessati e curiosi.


È un’impressione o il Macro lo state facendo veramente
in poche, poche persone?

Non è un’impressione, siamo pochi
e debbo dire che, oltre alla risposta del pubblico e dei media, sono
l’entusiasmo, la disponibilità dello staff e la loro presenza che mi danno e mi
rinnovano la forza di lavorare con questi ritmi. In un anno 17 mostre, oltre 20
eventi e presentazioni, il progetto MacroScuola che sta ottenendo un’attenzione
da parte dei docenti che non ci si aspettava, il cantiere, gli artisti giovani,
la collezione, la linea grafica, sino ai rinnovati spazi della hall sono frutto
del lavoro di una piccola squadra ai più invisibile, ma a cui debbo tutto.
Anzi, un grazie a tutti loro. A proposito di fondazione, questo del personale
sarà un punto utile per poter garantire soprattutto a loro una buona
continuità.

La gente mormora: bene il Macro, vivo, giovane e
attivo, ma la parcellizzazione delle mostre (praticamente una per ogni stanza)
è eccessiva. Cosa rispondi? Con l’entrata a regime della nuova ala di Odile
Decq le cose cambieranno un po’?

Un museo non ha un modello
espositivo fisso. Ogni spazio ha una sua fisionomia e una necessità che è dedica
al pubblico
e alle
cose che si vogliono condividere con il pubblico. I mormoratori hanno colto uno
dei punti nuovi di forza che il pubblico ha amato; quello che qualcuno ha
chiamato le “diversità del contemporaneo”. Un giornale ha parlato del Macro
come un luogo in cui si stimola la curiosità. Non penso che sia un problema di
numero di sale o dello spazio occupato dalle opere, ma di come le opere
dialogano con lo spazio e soprattutto del fatto che ci piaccia offrire
occasioni molteplici di incontro. Una delle soddisfazioni è che il pubblico
passa molto tempo al museo, non come una maratona ma come un luogo dove non vi
sia “niente di roboante”, ma molto da scoprire. E poi, con la nuova ala di
Odile Decq, il Macro sarà davvero flessibile e composto di molti spazi
articolati.

A proposito di Decq, ma una data per l’opening del
museo c’è finalmente?

Ci sarà quando tutto avrà fatto
giustamente il suo corso. A me piacerebbe pensare a fine ottobre ma non è
imperativo aprire per aprire, dovrà essere tutto a regime, e poi via…


Questione Pelanda, il bello spazio nel Macro Testaccio.
Spazio di grande fascino, di grandi dimensioni, eccellente restauro. Ma la
sensazione è che l’abbiano attribuito al Macro senza consentire al Macro di
gestirlo appieno. È una sensazione sbagliata?

Dunque, il Macro è anche Macro
Testaccio, composto dai padiglioni Future e la Pelanda. Insieme a via Reggio
Emilia compongono una costellazione incredibilmente varia di spazi industriali
(un ex mattatoio e un ex birrificio). Penso che tutto l’insieme sia da orchestrare
a livello di gestione, spese e programmazione. Al momento Macro Testaccio ha al
suo attivo collaborazioni e mostre che hanno segnato un primo bel momento.
Naturalmente penso a New York Minute
– pensato con la Fondazione Depart – e ai suoi 25mila visitatori
in 40 giorni e a Digital Life
alla Pelanda, con la Fondazione Romaeuropa. Queste
potrebbero essere le vocazioni di questi spazi. La sensazione ruota giustamente
intorno all’ennesima domanda a proposito dei fondi o della possibile
fondazione.

A proposito, come si sta “carrozzando” il museo in quanto ad
approvvigionamento di fondi?

Ad oggi è concreto l’apporto di
Enel con Enel Contemporanea
. Importante la sinergia con Unicredit Group per la
commissione di opere, come la permanente Danza
di Daniel Buren e interessanti
comodati. C’è la Fondazione Roma che ha partecipato all’anteprima di fine
maggio e debbo dire che la nostra attività ha fatto avvicinare nuove imprese e
privati. La prossima mossa tocca all’amministrazione e attendiamo coraggio
responsabile da parte dei privati che spesso anelano a modelli stranieri, che
dovremmo invece rendere concreti in chiave italiana.

Qual è la cosa che ti manca davvero della vita a
Venezia?

Il camminare invisibile tra calli
e campi come se fossero corridoi e stanze di una grande casa levantina.

Qual è la cosa che ti manca davvero del lavoro alla
Guggenheim di Venezia?

La magia di un luogo che ha sempre
respirato arte senza chiedersi se fosse abbastanza contemporaneo e se Venezia
fosse meglio o peggio di New York.

articoli correlati
I
galleristi e i nuovi musei romani

Il
Macro nelle parole di Odile Decq

video correlati
I
nuovi spazi del Macro

a cura di m. t.


*articolo pubblicato su
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