Categorie: Personaggi

UN CINESE A PECHINO

di - 12 Luglio 2009
Nel 1967 eri solo un bambino che viveva in una Shanghai scossa da sanguinose rivoluzioni interne. La tua abitazione si trovava nei pressi di un tempio, quando una scena agghiacciante si presentò ai tuoi occhi: le Guardie Rosse fecero irruzione e gettarono i testi dei monaci in un grande falò. A questo proposito, tempo fa hai affermato: “In quel preciso istante decisi che non avrei più fatto il monaco da grande, perché questi sono per tradizione pacifici e non reagiscono”. Cosa ti ha portato a diventare un pittore? Che cosa ti ha fatto pensare di poter combattere attraverso l’arte?
L’ambiente che ho vissuto e visto nella mia infanzia è stato davvero molto importante per me per diventare un pittore. Ho iniziato ad appassionarmi al disegno proprio in quel periodo. Gli artisti, infatti, vivono all’interno di una società e i lavori sono un riflesso della loro relazione e comprensione della stessa. L’arte è per me un mezzo attraverso cui esprimere i miei sentimenti e personali opinioni, ad esempio in merito a guerre, ingiustizie, vita e morte ecc. Molte persone notano e considerano queste questioni proprio attraverso i miei lavori. Questo è il mio modo di combattere. L’umanità è sempre stata il tema centrale delle mie ricerche e mi sono servito dei ritratti come forma d’indagine. Ho disegnato tutti i tipi di persone provenienti da varie classi sociali: soldati, politici, figure religiose, prigionieri, bambini…

Hou Hanru ha affermato: “Yan è certamente uno dei più determinati e intransigenti pittori del nostro tempo”. Aggiungendo: “Guardando il suo potente lavoro, si rimane pienamente coscienti della tensione e dell’inseparabile connessione tra l’arte e la vita”. Mi sono sempre chiesta dove sia il confine tra l’intenzione figurativa e quella concettuale; in altre parole, predomina il realismo del personaggio e della vita o i tuoi sentimenti verso questo?
Mi considero un pittore figurativo, dotato di uno stile folle e di una tecnica libera. Non mi sono mai posto deliberatamente l’idea di essere concettuale. Semplicemente, uso tutto quello che mi salta in mente durante l’atto creativo. La tragedia umana e sentimenti personali sono fonti d’ispirazione.

Vent’anni dopo l’”incidente”, come ritieni si sia evoluta l’arte contemporanea in Cina?

Certamente c’è stata un’evoluzione; per lo meno c’è un ambiente molto più libero rispetto a vent’anni fa. Tuttavia, lo sviluppo dell’arte contemporanea cinese è stato largamente manipolato. La celebrità e l’attenzione che ha percepito tutto il mondo è profondamente connessa con il cambiamento della Cina, come Paese inserito nella rete dell’economia globale. La Cina è cresciuta troppo velocemente, senza avere il tempo per una progressione graduale: il nuovo che nasce diviene subito un risultato.

Vivere all’estero ti ha probabilmente aiutato a sviluppare la tua arte e a raggiungere il successo. Ma l’”esilio” non è una vacanza e lascia una cicatrice. Riesci a immaginare che persona, quale Yan Pei-Ming saresti se non avessi lasciato la Cina?
Difficile dire “cicatrice”. Ma sì, sento che la mia identità è un po’ orfana e vagabonda nel mondo dell’arte. Quest’esilio mi ha dato la possibilità di sviluppare un pensiero autonomo e di esplorarmi, permettendomi di analizzare liberamente un mio proprio linguaggio. Personalmente ritengo che l’indipendenza e la propria coscienza siano fondamentali per un artista. Se non fossi partito, sarei sicuramente una persona diversa, probabilmente un artista mediocre. Quindi no, non ho alcun rimpianto!

Ora la Cina è un Paese completamente diverso in confronto a quello che hai lasciato, così molti tuoi colleghi sono tornati in patria per iniziare una nuova vita. Hai mai considerato quest’opzione?
Secondo me, la Cina sta diventando sempre più materialista, man mano che l’economia si sviluppa. L’ambiente ideale per creare arte si sta sgretolando. Come dicevo, i temi su cui s’incentra il mio lavoro esistono in ogni società moderna e in tutti gli esseri umani, non solo in Cina. Tornare o meno non fa differenza.

Hai iniziato a fare mostre quando eri ancora molto giovane e oggi puoi vantare un curriculum davvero sostanzioso. Ricordi un evento che ha avuto una particolare importanza per te?

Ogni mostra per me ha una speciale importanza. La carriera di un artista è come una costruzione: più profonde sono le fondamenta, più alto sarà l’edificio. La creazione necessita di una certa esperienza. Attraverso una mostra puoi testimoniare il tuo sviluppo artistico, la nascita e la realizzazione di nuove idee.

Questo è un anno molto fortunato per te. I tuoi lavori sono stati esibiti in vari prestigiosi musei: dalla Gamec al Louvre, poi il San Francisco Art Institute e finalmente la Cina. Se non sbaglio questa è solamente la tua terza mostra in patria, e la prima a Beijing. Che valore ha esporre nella Capitale?
Sì, è vero, questa è la mia prima mostra a Beijing. È molto significativa per me, perché è come tornare a casa.

Com’è nato questo progetto e come si è sviluppato? Perché la decisione di eliminare il tuo marchio, lo “sgocciolamento” su grandi tele? È solamente un “caso” o le tue ricerche artistiche s’indirizzano verso la sperimentazione di diversi supporti?
Quando ho visto lo spazio di Ucca per la prima volta sono rimasto sconvolto dalla sua bellezza. È esattamente lo spazio ideale che tutti gli artisti sognano. Per questo non ho voluto intaccare questa meraviglia appendendo delle tele sul muro o suddividendo lo spazio in più aree. Così ho disegnato un paesaggio direttamente su un’intera parete e dipinto ritratti su 34 bandiere che ho poi appeso capovolte, disponendole in due file centrali all’interno della hall, a un metro d’altezza dal pavimento. L’impressione ottica è che le bandiere siano a mezz’asta, in commemorazione della vita e della morte. È un’installazione molto semplice, in grado di conservare maggiormente la trasparenza e la bellezza dello spazio. Ma, per via del suono molto forte prodotto dal motore dei ventilatori e dal vento, diviene al contempo anche molto sofisticata. Appena entra nella hall, il visitatore dovrebbe avvertire una forte tensione visiva, ma anche acustica. Sventolando, le bandiere donano dinamicità ed espressività ai volti dei bambini ritratti.

Che differenze osservi tra l’audience straniera e quella locale? Come si rapportano i cinesi al tuo lavoro?

Solitamente gli stranieri apprezzano maggiormente il mio lavoro. Penso che questo avvenga perché i cinesi hanno bisogno di più tempo per accettare e capire la mia arte. Il mio lavoro non è marchiato come “made in China” e i locali necessitano ancora di molto tempo per abituarsi a girare per gallerie d’arte e musei e apprezzare l’arte. La comunità artistica sta crescendo qui, ho cercato di confrontarmi direttamente con loro… Hanno capito, ma erano parecchio turbati!

Brevemente il rapporto fra Yan Pei-Ming e la Cina.
La Cina è la mia patria. Io sono un artista. L’arte non ha confini nazionali.

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a cura di cecilia freschini


dal 19 giugno all’undici ottobre 2009
Yan Pei-Ming – Landscape of Childhood
a cura di Jérôme Sans e Guo Xiaoyan
UCCA – Ullens Center of Contemporary Art
4, Jiuxianqiao Lu – 798, Chaoyang District – Beijing 100015
POBOX 8503, P.R. China
Orario: da martedì a domenica ore 10-18
Ingresso: intero 30 RMB; ridotto 10 RMB
Info: tel. +86 01084599269; fax +86 010 64314867; info@ullens-center.org; www.ullens-center.org

[exibart]

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  • Molto bella questa idea delle bandiere. Interessante anche questa figura di pittore moderno.

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