Tirana si pone da anni al centro del dibattito europeo per l’inarrestabile rigenerazione urbana, artistica e comunitaria che l’ha resa un vero laboratorio a cielo aperto. Cristiana Colli, organizzatrice dell’evento con Pippo Ciorra, ha presentato l’intervento Orizzonte Albania definendo Tirana «Una città che è cresciuta con la cultura» paragonabile all’effetto Bilbao che fece scuola negli anni Novanta.
Come accadde allora, molti nomi di rilievo del mondo dell’architettura stanno contribuendo alla ricostruzione della capitale che ha puntato sul city break tourism e sulla modernizzazione a base culturale, da Stefano Boeri e Archea associati a studi internazionali come MVRDV, Sou Fujimoto e Bjarke Ingels Group.
Mario Cuccinella, autore del MET Tirana Building, ha parlato di «uno Stato che ha creduto e crede nell’architettura». Come dimostra il complesso progettato dal suo studio, un landmark visionario in pieno centro, «questo sviluppo è legato al fatto che si fa architettura contemporanea non solo nelle periferie, ma dentro la città storica».
Anche Anilda Ibrahimi ha voluto descrivere il Paese che non fa altro che correre: «ho scritto tanto dell’Albania, quella fino al ’94. Ho sempre ammirato chi è rimasto, chi ha avuto la pazienza di vedere e diventare protagonisti del grande cambiamento. Siamo passati dalla pre-modernità al post-moderno saltando una fase attraversata da molti altri Paesi occidentali, bruciando le tappe, ma non potevamo restare fermi».
Il Sindaco Erion Veliaj ricorda che «i nostri genitori non buttavano le scatole di sardine: ci facevano antenne improvvisate per sintonizzarsi con le reti italiane. I tempi hanno mutato tutto, dall’economia alla politica, e il posto più isolato del mondo è diventato un’isola di stabilità per tutti i Balcani. Dopo un brutto passato, andiamo verso un futuro di promesse».
Come ha mosso i primi passi nel mondo della politica?
«Sono stato un protestatore professionista. Dal 2003 al 2008 ho fatto parte di un movimento civico che riuniva coloro che criticavano le politiche albanesi del periodo. Ma abbiamo capito di dover cambiare il sistema dall’interno. Abbiamo fondato G99 e ci siamo candidati… Le prime elezioni le abbiamo perse, senza ottenere seggi».
E cosa è accaduto poi?
«Mi sono unito al Partito Socialista e allora ho capito tre cose: che far cadere un governo è più facile che costruirne uno; che quando fai questo mestiere non devono piacerti tutti, ma devi servire tutti, sia la minoranza che urla sia la maggioranza silenziosa che attende; e che se vuoi fare il sindaco, l’architetto, il giornalista, devi anche capire che viviamo in tempi che i nostri nonni non si erano mai immaginati».
Che uso sta facendo di questa lezione?
«Sono al terzo mandato. Ci sono stati 200 giorni senza pioggia, cosa che succede una volta in 100 anni, e qualche tempo dopo ha piovuto per 300 giorni, con alluvioni e nebbie che non avevamo mai visto. C’è stato il terremoto nel 2019, gli incendi, la pandemia. E una guerra, a tre Paesi da noi, a Kharkiv e a Kiev, città gemellata con Tirana. Ho il lavoro più tragico del mondo ma anche l’opportunità più grande della mia vita».
Che ruolo hanno e avranno i giovani in questa nuova Albania?
«Eroghiamo molte borse di studio: per investire sui giovani dobbiamo aiutarli a guardare ai mestieri del futuro e ai lavori digitali. Abbiamo formato già circa 5000 ragazzi nel software engineering. Put your money where your mouth is. Ma non è soltanto questo. Ogni giorno un’ora della mia agenda è dedicata alle scuole, alle domande dei bambini. Non votano ancora, non pagano le tasse, ma è importante parlare del futuro con il futuro. Facciamo questo mestiere non per le prossime elezioni ma per il bene della prossima generazione».
Nel suo intervento ha parlato del “potere dei bambini” come spinta del nuovo urban setting della città. Cosa intendeva?
«Al centro di Tirana, prima, c’era il monumento del dittatore. All’epoca era vietato avere auto e dal ’91, a fine dittatura, venire in Italia e prendere una Fiat o una Lancia è diventato uno status symbol. Le città sono diventate templi per celebrare non più Hoxha ma le macchine. Progettare per anziani e bambini vuol dire ribadire che le città non possono normarsi sulle auto o solo su adulti in salute. Abbiamo dovuto riconsiderare lo spazio pubblico e pensare a piazze senz’auto e zone pedonali. Da 15 anni è in atto una trasformazione, anche con le iniziative Urban95. Piazza Scanderbeg, la piazza principale, ora è cucita su misura di bambino e completamente pedonale. Se è cambiata l’Albania, se è cambiata Tirana, tutto può cambiare».
Il Teatro Nazionale, la Reja, i boschi verticali, la Piramide riqualificata. Che ruolo hanno i grandi cantieri di architettura in questo processo?
«Io credo che l’architettura non sia solo l’edificio in cui una persona va a mangiare e dormire, l’architettura trasforma la mentalità. È un valore, un riferimento della comunità. Noi costruiamo delle città e le buone città costruiscono le nostre vite.
Così siamo padroni del nostro destino.»
E l’arte?
«Con le gallerie d’arte, gli artisti internazionali, una vita culturale che non è solo elitaria si crea un senso di responsabilità comune. Se la cittadinanza non entra nell’ottica innovativa, cambiato sindaco si tornerà indietro; non ci sarà stato un progresso. Se anche chi vive nei palazzi sovietici partecipa con pochi centesimi, se ogni bambino pianta un albero, ogni azione diventa parte della comunità. In un mondo dove tutti sono diventati cinici io ci credo ancora nella condivisione di questi principi di cittadinanza. Sentirsi cittadini perché si decide, si partecipa e si contribuisce».
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