-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Una vita onirica, un’arte indomita: in ricordo di Janet Mullarney
Personaggi
di Arabella Natalini e Stefano Velotti
Janet Mullarney era un’artista fuori dell’ordinario e una donna di estrema forza, allegria e coraggio. Una grande amica, per noi e per le molte persone che l’hanno conosciuta, con ognuna delle quali aveva stabilito legami profondi. È morta lo scorso 4 aprile, nella sua casa nel Valdarno.
Forse anche per la sua costitutiva insofferenza a ogni conformismo, e per la noncuranza verso le regole del sistema dell’arte, Janet non ha ricevuto in Italia il riconoscimento che avrebbe meritato. Poco meno di un anno fa, l’IMMA – Irish Museum of Modern Art di Dublino, la sua città natale, le ha dedicato l’ultima grande e sorprendente retrospettiva, “Then And Now”. In quell’occasione, è stato pubblicato un ampio catalogo, con la partecipazione di molti studiosi, critici, amici.
Per ricordarla, riproduciamo qui di seguito un estratto del testo che le avevamo dedicato.
«Il linguaggio verbale è particolarmente inadeguato ad afferrare il mondo di Janet Mullarney: donna e artista matura, Janet ha infatti il dono di saper attingere all’“immaturità”, di compiere una catabasi nelle regioni del gioco, dei sogni e degli incubi infantili, di restituire figure catturate in quelle regioni incoerenti e beffarde, dove una cosa è anche il suo contrario, l’interno è l’esterno, la mano che protegge è anche quella che colpisce.
Ogni sua figura, infatti, ha un segreto, e bisbiglia le sue consolazioni e le sue minacce, indossa una maschera o getta un’ombra. Il linguaggio viene dopo, a sistemare le cose nel tessuto di forme e ragioni che ciascuno di noi edifica intorno a se stesso.
Sogni, fiabe, miti possono essere incantevoli e maligni: ma i miti elettivi di Janet non sono quelli elaborati dalla tradizione della Grecia classica. La mitologia celtica e il lussureggiante politeismo indiano – i suoi colori, i suoi animali, le sue continue trasformazioni – le sono molto più congeniali.
Janet Mullarney, come una novella Billy Pilgrim, viaggia avanti e indietro nello spazio e nel tempo. Non solo riesce a vivere simultaneamente in due paesi diversi (l’Italia e l’Irlanda) e ad accogliere influenze e suggestioni di luoghi lontani – dove, per lungo o breve tempo, si è sentita a casa (l’India, l’Egitto, il Messico…) -, ma si nutre di passioni molteplici, dall’arte antica a quella vernacolare, dal cinema al teatro…
Animata da un’energia indomabile, da un’attrazione imprescindibile per le qualità intrinseche della materia e per la specificità del contesto in cui opera, si muove sempre in uno spazio libero e insieme circoscritto: sa fare proprio, liberamente, lo spazio trovato, il luogo peculiare di volta in volta assegnato; trasforma inconfondibilmente mondi eterogenei riuscendo a rivelarne la peculiarità.
Janet attinge spesso alla dimensione del gioco e alle sue molteplici valenze. Il luogo del gioco non è né interno né esterno, e il suo tempo è quello in cui l’interno e l’esterno diventano indistinguibili: “per controllare ciò che è al di fuori uno deve fare le cose, non semplicemente pensare o desiderare di fare”.
È forse questo il suo rapporto con il mondo, la chiave per capire la sua capacità di muoversi fra tempi e spazi diversi, cercando se stessa in ciò che è estraneo e lontano, riconoscendo l’estraneo come il compagno di sempre, come parte di sé».