Categorie: Personaggi

Uno spotlight per Milano

di - 11 Aprile 2018
Torna la fiera d’arte contemporanea del territorio meneghino, giunta quest’anno alla 23esima edizione. Molto più che una semplice piazza di compravendita, miart rappresenta una lunga storia di dialogo e condivisione di idee tra i suoi curatori di riferimento, gli espositori, il comune di Milano, le istituzioni della città, gli sponsor e numerosi altri soggetti. Ne abbiamo parlato con il suo direttore artistico, Alessandro Rabottini.
Qual è l’eredità lasciata dal precedente direttore, Vincenzo De Bellis, e dove pensi invece di aver apposto la tua “firma” come direttore artistico?
«Ho lavorato con De Bellis dal suo primo mandato, nel 2013, nel ruolo di coordinatore delle diverse sezioni e curatore dei talk, per poi diventare vicedirettore nel 2016. Avendo partecipato alla struttura generale di miart fin dagli inizi, il passaggio è stato molto “morbido”: la fiera che ho ereditato, la progettualità che la caratterizza, la qualità e il suo formato, sono elementi che non ho voluto stravolgere, ma anzi confermare e consolidare perché li sento miei da anni ormai. Miart cresce ogni anno in modo organico e responsabile, e non parlo solo di numeri, ma anche di presenze in città, concretizzate nel programma della Art Week. Miart è anche l’espressione di una strategia aziendale messa in atto da Fiera Milano, a cui è stata aggiunta la sensibilità artistica mia e del team di curatori che ho messo assieme. Il tutto fa parte di un progetto condiviso fin dall’inizio, che non è quindi un’espressione personale».
La sezione miartalks di questa edizione ha come filo conduttore l’immaginazione. Cosa ha ispirato questa tematica e quali sono gli appuntamenti più attesi?
«L’idea è nata grazie alla collaborazione con In Between Art Film, casa di produzione di film d’artista con cui realizziamo i talk: infatti, un produttore cinematografico deve spesso sforzarsi, davanti a un progetto che è solo sulla carta, di immaginare come sarà. Vogliamo quindi sostenere l’idea che l’immaginazione sia il primo passo per costruire la realtà, non una fuga da essa. In un momento in cui siamo assediati da tantissime emergenze globali, l’immaginazione può essere il momento costitutivo della relazione con la realtà. Gli anni scorsi avevamo affrontato temi più strutturali, come la storia delle biennali (edizione 2017), quest’anno abbiamo voluto porre lo sguardo su una qualità che non solo è intrinsecamente connessa con l’arte, ma riguarda tutti, da un punto di vista sociale, politico, economico e individuale. Dal dialogo con In Between Art Film abbiamo capito che questo è il momento in cui è necessario immaginare il nostro futuro».
Alessandro Sciarroni e Masbedo, Prisma per miart 2018 courtesy Mousse Agency, foto di Alice Schillaci
Parliamo di mercato dell’arte. Secondo i rapporti, il 2017 è stato caratterizzato da una forte ripresa rispetto ai due anni precedenti. Cosa vi aspettate da questa nuova edizione?
«Ovviamente ci si augura che le cose vadano bene! Tuttavia, è molto difficile da parte nostra fare delle previsioni: fare una fiera vuol dire preparare un contesto, una piazza dove i collezionisti possano incontrare i galleristi, creare le condizioni perché si instauri un dialogo tra loro. Il collezionismo italiano ha delle caratteristiche peculiari, poiché è molto radicato e diffuso sul territorio. A differenza di Paesi in cui è concentrato solo nelle grandi città, in Italia è possibile trovare per tutto lo stivale collezioni molto valide, che il più delle volte si mantengono invariate nel tempo e affondano la propria storia in più generazioni. Significa che il collezionismo in Italia è sempre stato costante, solido e di natura poco speculativa».
Trovi che tale peculiarità si rifletta anche nel sistema delle istituzioni?
«Si, ci sono ottime gallerie e centri d’arte sparsi per tutta Italia. Ovviamente abbiamo una maggiore concentrazione in città come Milano, Roma e Torino, ma trovi gallerie con un programma davvero internazionale anche in Toscana, Sicilia e tante a Napoli…questo significa che queste gallerie hanno un pubblico, che c’è un collezionismo diffuso, il che costituisce un’enorme ricchezza per il nostro Paese».
Se da una parte la struttura di miart è rimasta invariata nel tempo, dall’altra non mancano progetti e partnership di recente inserimento. Puoi fare qualche esempio?
«Innanzitutto miart a partire da quest’anno ha un Main Partner in Banca Intesa Sanpaolo, nel cui DNA c’è la relazione con l’arte e la cultura. Inoltre, quest’anno abbiamo inserito per la prima volta il servizio di Educational: grazie alla collaborazione con Fidenza Village, nostro partner già per il premio della sezione Generations. Saranno offerte visite guidate gratuite, uno strumento di interlocuzione con il grande pubblico. C’è poi il caso di PRISMA, la campagna pubblicitaria per miart prodotta dall’incontro tra il coreografo Alessandro Sciarroni, il duo di video-artisti Masbedo e la fotografa Alice Schillacci, con la direzione artistica di Mousse Agency: essa rappresenta l’evoluzione della nostra volontà, costruita negli anni, di promuovere miart come una storia per immagini e di comunicazione tra discipline differenti. Anche l’Art Week è il risultato di un dialogo con il comune di Milano e le istituzioni protratto negli anni. Siamo arrivati quindi all’edizione del 2018 con una programmazione molto ricca, con le istituzioni che si trovano ormai a proprio agio nel partecipare a questo calendario, e ci mettono per prime molta energia».
Alessandro Sciarroni e Masbedo, Prisma per miart 2018 courtesy Mousse Agency, foto di Alice Schillaci
Tenendo conto oltretutto del terreno fertile di Milano, che è stata capace negli ultimi anni di creare circuiti non solo attorno all’arte, ma anche per quanto riguarda il design, la moda, l’editoria…
«Certo, è sotto gli occhi di tutti quello che sta succedendo in questi anni a Milano. Quello che dico sempre, è che la Art Week è un momento “spotlight” all’interno del calendario annuale, un palcoscenico internazionale per istituzioni che sono presenti e attive lungo tutto l’anno. Il materiale su cui lavorare già c’era ed è la qualità del loro lavoro lungo 12 mesi, e sarebbe stato poco lungimirante non lavorarci su».
Come si sa, il pubblico dell’arte è cresciuto esponenzialmente negli ultimi decenni, riempendo di visitatori gli spazi di fiere, biennali e musei. Cosa pensi di questo cambiamento?
«Il fatto che partecipi un pubblico numeroso è importante per tutti, significa un avvicendamento generazionale: è fondamentale che soprattutto le nuove generazioni si avvicinino all’arte o in generale alla cultura. Significa inoltre che quello che si sta facendo è sentito e condiviso da molti. Che poi sai, quando si parla di pubblico sembra sempre che siano “gli altri”, invece siamo tutti quanti parte del pubblico: ovviamente il modo di visitare una fiera per un addetto ai lavori è diverso, è un’occasione di lavoro appunto, mentre da visitatore puoi essere un appassionato, un curioso. Ognuno è una potenzialità, per se stesso ma anche per gli altri…un ragazzino di quindici anni che viene a vedere una fiera e si appassiona magari tra dieci anni aprirà uno spazio no-profit! Siamo tutti quanti potenzialmente qualcos’altro, è il pubblico è sacrosanto da questo punto di vista».
Giulia Ronchi

Nata a Pesaro nel 1991, è laureanda nel corso di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali presso l'Accademia di Brera. È residente a Milano dove vive e lavora come giornalista freelance per diverse testate di arte, concentrandosi sul panorama contemporaneo tramite news, recensioni e interviste su online e cartaceo. Oscilla tra utopia e inquietudine; ancora tanti sogni da realizzare.

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