Il suo ultimo sms a me è datato 21 settembre 2020, inviato alle 10.26 dalla Toscana. Non ricordo in seguito a quale ragionamento sulla letteratura italiana gli avevo segnalato Artemisia di Anna Banti: “Letto nel mio eremo Poliziano la Banti. Più pronta forse a rappresentare lo stato di debolezza di Artemisia che non la sua maturità, e successo. Tema più insolito e oggi interessante. Best § ciao. Lorenzo”. Leggo e rileggo queste parole, le ultime che ho di lui. Due mesi dopo, a novembre, nella sua casa di Trastevere appena dietro Santa Maria Maggiore, sarebbe andato via per sempre. E chissà quando lo avremmo saputo, dopo cellulari muti messaggi senza risposta e mail tornate indietro, se non mi avesse telefonato Irina Novarese, arrivata da Berlino per qualche settimana a Torino e in cerca di Lorenzo Taiuti anche lei insieme ad Alice Masprone, entrambe artiste che furono allieve mie e di Lorenzo, nell’Accademia Albertina. Così Alice infine contatta via FB un Taiuti a caso, il quale riferisce che Lorenzo, certo, è mancato a Novembre. “E già quello che ieri era presente divien passato e quel che ci pareva incredibile accade”, scriveva il poeta Vincenzo Cardarelli. Incredibile anche che da Novembre lo si sappia solo a gennaio, e dopo una ricerca tenace. Lorenzo Taiuti era nato a Milano, da un padre scultore che aveva messo in piedi un atelier dove Fontana e Melotti, i Pomodoro e i Cascella erano di casa, e che aveva formato una famiglia colta, aperta e di sinistra. Io conobbi “il Taiuti” (“Frattarolo, sono il Taiuti” esordiva sempre al telefono) all’Albertina di Torino, dove insegnava Mass Media e io Storia dell’arte contemporanea. Avevamo gli stessi studenti, con alcuni dei quali uscivamo la sera per andare al cinema o in giro per mostre e per osterie, lui sempre avanti a tutti, con il passo svelto e i giornali sotto il braccio. Un paio di volte mi chiese di fare lezione su Correggio durante le sue ore; era affascinato dall’arte antica, dai primitivi e dal quattrocento toscano, dal Rinascimento della pittura. Io, che venivo da Filosofia dell’Università di Bari e che mi ero formata a Parma tra CSAC di Arturo Carlo Quintavalle e Soprintendenza, ero curiosa delle nuove tecnologie e della sua ricerca.
Mi piaceva parlare e passeggiare sul lungo Po con quell’uomo dalla testa rasata e dai baffi neri, con la sciarpa di lana rossa anche d’estate e con le scarpe da ginnastica blu e bianche anche d’inverno. Un formidabile bevitore di vino rosso, dalla bellissima voce nitida e fonda, pronto ad appassionarsi tanto del più flebile e aurorale segno creativo di un giovane artista, quanto della potenza visiva dell’architettura e del paesaggio della Toscana, che spesso percorreva in bicicletta perché amava errare per città e campagne in cerca di nulla, solo di sguardi e di visioni, che per lui erano tutto. Era rimasto un bohemien, un anarchico, un libertario girovago e inquieto, uno con case precarie che aveva casa ovunque, uno con pochi soldi ma ospitalissimo e gran signore. E quando il suo piccolo appartamento a Roma nel ghetto ebraico al Portico di Ottavia fu venduto insieme a tutto l’edificio per farne dimore “esclusive”, lui se ne andò a Trastevere, nella minuscola ultima casa di fronte alla cui finestra lo estasiava un alto muro di travertino e sassi, “un’opera d’arte che è una mappa geologica”, diceva. Nel 1996, con Costa e Nolan, Lorenzo pubblica Arte e Media. Avanguardie e comunicazione di massa. È il libro in cui convergono riflessioni di anni, trascorsi tra Germania, Francia, studi americani e Milano, dove collabora con musicisti e compositori sperimentali girando video e progettando videoinstallazioni. Passa poi a insegnare a Milano, nell’Accademia di Brera, e insegna Storia dell’arte Contemporanea nell’Università La Sapienza di Roma a Valle Giulia. Sono gli anni della partecipazione ai molti convegni europei, dei saggi per riviste specializzate, dei viaggi tra musei del mondo contemporanei e antichi.
Poi, nel 2001, con Feltrinelli arriva Corpi sognanti. L’arte nell’epoca delle tecnologie digitali, dove insorgono prepotenti le problematiche della rete che s’intrecciano alle trasformazioni epocali delle arti e delle nuove tecnologie. È da questo terreno che nel 2005 nasce Multimedia, condensato della ricerca di Lorenzo Taiuti, testo sulle trasformazioni linguistiche in atto, sull’incrocio dei linguaggi comunicativi, sulla storia, documentazione, analisi delle possibilità applicative dei più recenti dispositivi tecnologici ibridati dall’arte e ibridanti le arti. Un libro attualissimo, che ora ho tra le mani mentre ricordo il critico d’arte che amava Piero della Francesca e che mi avvicinò alla storia, ai protagonisti e alle possibilità creative della rete.
Lorenzo Taiuti
Multimedia. L’incrocio dei linguaggi comunicativi
Roma, Meltemi, 2005
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