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Margherita Moscardini, Inventory. The Fountains of Za’atari, Madre
Pezzo da Museo
di redazione
Il 29 luglio 2012 l’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) istituisce in Giordania il più grande campo rifugiati del Medio Oriente, Za’atari. Quello che sembrava il luogo di sosta temporanea per un primo gruppo di esuli provenienti dalla Siria, distante poco più di 10 km dal confine più prossimo, oggi è un insediamento permanente che ospita più di 80.000 persone. La trasformazione del campo da tendopoli a metropoli è avvenuta rapidamente e ha comportato variazioni urbanistiche considerevoli dotandosi di infrastrutture sanitarie, scolastiche e ricreative. L’agglomerato urbano è divenuto testimonianza del tentativo di ristabilire la conformazione architettonica tradizionale delle case siriane. Nel corso del tempo, i suoi abitanti senza patria hanno disposto caravan e container in modo da formare degli spazi vuoti al centro di più unità: cortili quadrati in cui disporre una fontana che, come ha affermato Margherita Moscardini “parlano del bisogno di chi vive l’esilio di sentirsi a casa”.
L’artista – la cui pratica indaga le relazioni tra i processi di trasformazione urbana, struttura sociale, matrice geo-morfologica dell’ambiente naturale e i condizionamenti di tali contesti sui comportamenti delle comunità – formula il progetto dedicato a Za’atari nel 2016, a seguito di un’intervista al funzionario dell’UNHCR e direttore del campo Kilian Kleinschmidt, che suggerisce di ripensare a questi luoghi, di accoglienza solo apparentemente temporanea, come realtà urbane destinate a durare e a Za’atari come modello per la città del futuro. Gli stessi rifugiati manifestano la consapevolezza di una permanenza a lungo termine attraverso la naturale necessità di ricreare i giardini con fontana che riportano ad una situazione di benessere personale associato al concetto di casa. Quando l’artista presenta il progetto nell’ambito della I edizione del bando Italian Council ideato dalla DGAAP del Mibact, è in corso lo smaltimento di alcune di queste fontane perché l’acqua è la sostanza organica più preziosa in un deserto come quello giordano, e l’organismo preposto alla gestione delle riserve idriche del campo ne bandisce la costruzione. L’artista inizia a censire, catalogare e ridisegnare le fontane di Za’atari, creando un folto inventario durante la sua permanenza dal settembre 2017 al marzo 2018.
Da questo processo vengono fuori i due lavori donati al Madre: la scultura House 90, block 1, district 12 e il libro Inventory. The Fountains of Za’atari. Il primo, è una riproduzione 1:1 del cortile della casa n. 90, blocco 1 del distretto 12 del campo, come riporta la scritta in lingua araba realizzata in bronzo e fissata sulla superficie dell’opera costituita da resine e una miscela di terra locale. Uno dei suoi lati riproduce l’orografia al negativo di Dara’a in Siria, area di provenienza della famiglia che ha ricreato il cortile nel campo, ricalcato sul lato opposto. La scultura predisposta per diventare una fontana funzionante, è intesa come il primo prototipo sviluppato a partire dai numerosi modelli inventariati e illustrati nel libro. Inventory. The Fountains of Za’atari è realizzato integralmente a mano e raccoglie il frutto della ricerca condotta dall’artista in collaborazione con Marta Bellingreri, Tammam e le Tasneem Al Nabilsi, Eyyad Sabbagh diretti dall’ingegnere Abu Tammam Al Nabilsi.
House 90, block 1, district 12 può essere esposta al Madre sia in verticale che adagiata al suolo ma, in questo secondo caso, ad una condizione. L’iter del progetto si espleta attraverso la collocazione della riproduzione scultorea di ciascuna fontana di Za’atari, riflesso di una condizione privata, in ulteriori istituzioni e spazi pubblici disseminati per l’Europa, che devono dotarsi di elementi di extraterritorialità e immunità; le norme applicate dai singoli stati devono essere sospese nell’osservanza di obblighi di diritto internazionale. Le fontane condividerebbero così la medesima condizione del rifugiato: si qualificherebbe come oggetti privati dell’appartenenza ad un luogo, inteso come entità politica, ma di fatto occupato come spazio fisico. La loro tangibile ed imponente condizione di invisibilità costituirebbe il modello su cui riformulare il concetto di cittadinanza, nella proiezione della città possibile.
Il nostro “pezzo da museo”, gode di una condizione analoga seppur contraria: pur essendo parte della collezione, non è ancora fisicamente fruibile all’interno del percorso espositivo. La norma gli assegna un’appartenenza ma non una presenza. A complicare ancora di più la questione, la situazione attuale: anche se la scultura fosse visitabile, al momento nessuno potrebbe abitarla. Gli spettatori digitali potranno fare uno sforzo d’immaginazione per figurarsi la fontana all’interno della collezione di un Madre inteso come entità libera nello spazio apolide ed extraterritoriale della cultura, per immaginare il modello del museo del futuro.
[Scheda a cura del Museo Madre]
Pezzo da Museo è la rubrica di exibart dedicata alle collezioni dei musei italiani: ogni settimana, schede e approfondimenti sulle opere più iconiche e suggestive oppure sui capolavori meno conosciuti e da riscoprire. Un viaggio nella storia dell’arte, dall’archeologia al contemporaneo, a portata di schermo. Per le altre puntate di Pezzo da Museo, la nostra rubrica dedicata alle opere più suggestive dei musei italiani, potete dare un’occhiata qui.