Nella storia di questo dipinto c’è un prima e c’è un dopo, c’è un dettaglio che ha cambiato la lettura e la critica sull’opera, ricollocandola correttamente nell’alveo di una parte della produzione di Mattia Preti.
Nella tela è rappresentata una tavola riccamente imbandita, coperta da una candida tovaglia bianca. Intorno alla tavola, immobili, ci sono i protagonisti della storia: un uomo barbuto a capotavola dal volto atterrito, una dama dallo sguardo glaciale sul lato alla sua sinistra, davanti al tavolo di spalle un piccolo paggio attonito che contempla la scena. Sulla destra entra una giovane donna che esibisce su un vassoio la testa livida di un bambino. È questo il dettaglio che è emerso dopo il restauro effettuato nel 1998, al posto del budino inghirlandato fino ad allora raffigurato sul vassoio.
La presenza del dolce aveva portato a identificare nella scena un banchetto: così scrive Carlo Alberto Foresti in una lettera a Giulio Ferrari nel 1939 (Alle origini del Museo 2004, p. 58), così lo descrive lo stesso Ferrari nel registro di inventario del Museo di Carpi («… La bella e pregevolissima tela rappresenta un banchetto familiare sotto a una veranda…»), così genericamente lo identifica Ragghianti nella scheda dell’opera nel 1940. Garuti più tardi (Garuti 1990, pp. 44-45) individua nel soggetto Il convito di Salomone e della regina di Saba.
Il tema identificato dallo stesso Garuti dopo il restauro del 1998 è un momento ben preciso della storia di Filomela e Progne, quello della vendetta di quest’ultima sul marito Tereo, episodio mitologico raccontato da varie fonti antiche greche e latine (comprese le Metamorfosi di Ovidio). Il dipinto rappresenta il momento della presentazione della testa del piccolo figlio Iti al re di Tracia Tereo – seduto sconvolto dalla scena a capotavola – che ne ha appena mangiato le carni cucinate dalla moglie Progne, seduta accanto a lui a tavola, e dalla di lei sorella Filomela, che porge il vassoio. Le due donne avevano sacrificato il bambino, come Medea, per vendicarsi della violenza subita da Filomela da parte del cognato.
Sebbene la scena rappresentata sia piuttosto macabra, volutamente il pittore non sceglie alcun episodio raccapricciante della storia, che per lui diventa un pretesto per dipingere ancora una volta uno dei temi a lui prediletti, un convivio.
Per la resa delle figure e per le modalità di utilizzo dei cromatismi, con un fermo e forte luminismo che ha perso i bagliori del realismo caravaggesco per fissarsi in un cromatismo cangiante di impronta veronesiana, la tela di Carpi rimanda ad altre, di analogo soggetto, realizzate da Mattia Preti, primo tra tutti per l’analogia della composizione Il banchetto di Erode ora a Toledo e Le nozze di Cana della National Gallery di Londra, per i dettagli del banchetto analoghi, per la ricchezza dei particolari, a quelli del nostro dipinto (Mattia Preti 1999, pp. 172-173). Per queste caratteristiche è stata avanzata una datazione precedente alla metà del secolo, ma comunque successiva al probabile – ma mai documentato – viaggio di Preti a Venezia intorno al 1643-1646 e precedente agli affreschi per la chiesa di Sant’Andrea della Valle a Roma, realizzati nel 1650-1651, e per San Biagio a Modena (1651-1652) che rivelano una conoscenza e un influsso della pittura emiliana (da Correggio a Guercino), con i quali il nostro dipinto non ha alcuna relazione (Bentini e Mazza in Mattia Preti 1999, pp. 63-68 e pp. 98-99).
L’opera entra a far parte della collezione di Carpi nel 1939, come dono di Carlo Alberto Foresti, allora direttore del Museo (Rare pitture 2010, sch. 50). Rimane da sciogliere la questione relativa alla scelta di coprire il drammatico dettaglio della testa mozzata del bambino: se la ridipintura, probabilmente degli inizi del Novecento (Mazza in Mattia Preti 1999, p. 98), sia stata apposta da un venditore ben conscio della difficoltà della commercializzazione di un tale soggetto o se sia stata commissionata dallo stesso Foresti, in linea con il gusto collezionistico della famiglia.
Bibliografia
Raggianti 1940, sch. 87; Garuti 1990; Bentini e Mazza in Mattia Preti 1999; Spike 1999; Alle origini del Museo 2004; Rare pitture 2010.
[Scheda a cura della Pinacoteca di Carpi]
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