L’Annunciazione di Vincenzo Catena fu commissionata per l’altare maggiore della chiesa di Santa Maria dei Bastardini, sede della Confraternita della Misericordia, che aveva annesso una sorta di Spedale degli innocenti dove venivano accolti i bambini abbandonati e orfani. Chiusa al culto in epoca napoleonica, nel 1875 fu definitivamente distrutta e la congregazione soppressa. A quest’ultima pare che debba risalire la commissione originaria del dipinto datato su base stilistica, e in relazione al percorso del pittore, tra 1515 e 1517 (Garuti 1978, p. 29; Ferriani 2004, pp. 268-271).
Pare che sia stata la confraternita, a seguito della vendita della cornice monumentale in cui era iscritta la tavola, a effettuare il “taglio” dell’opera ai lati per adattarla a una nuova, più piccola, cornice: se sul lato destro il quadro ha mantenuto tutto sommato una sua leggibilità (anche se è evidente che il bordo è troppo vicino alla figura della Madonna, che risulta così costretta), sul lato sinistro è impossibile non notare il taglio del piede destro dell’arcangelo, della punta di un’ala e della nuvola dello Spirito santo.
Dal 1903 il dipinto è documentato presso il Palazzo dei Pio, e dal 1914 quando il Museo venne aperto al pubblico è collocato nel luogo di massima visibilità dell’intero complesso: l’altare della Cappella dei Pio, dove è rimasto fino al 2001, la cui pala d’altare originale era un’opera perduta – dopo il trasferimento a Modena da parte degli Estensi – di Pantaleone Mengossi.
La tavola è costituita da quattro assi orizzontali in legno di pioppo che ciclicamente, in prossimità dei giunti, presentano dei microsollevamenti della pellicola pittorica dalla base preparatoria. Il primo restauro fu eseguito nel 1937 da Enrico Podio che, in ragione della struttura particolarmente fragile, appose una parchettatura posteriore in legno; un secondo intervento, di minor impatto strutturale, è stato eseguito tra 1969 e 1970 da Raffaele Pasqui ed è consistito nella pulitura e nella ripresa di alcune lacune nei punti di congiunzione delle assi, ma soprattutto nella “disinfestazione” da insetti xilofagi.
Infine tra 2001 e 2003, a seguito del riproporsi di microsollevazioni e cadute di colore in prossimità dei giunti, oltre che di un’evidente alterazione cromatica generale, è stato effettuato un restauro preceduto da indagini diagnostiche e analisi al fine di individuare eventuali risoluzioni definitive.
L’assegnazione al veneziano Vincenzo Catena si deve a Bernard Berenson (1905) che, superando un’attribuzione locale a Bernardino Loschi, restituiva la pala a un artista e a un’area geografica in seguito confermate dalla monografia di Giles Robertson (1954) che collegava l’opera ai due dipinti di San Gerolamo nello studio (a Francoforte e Londra), realizzati da Catena secondo la tradizione veneziana consolidatasi da Giovanni Bellini e Antonello da Messina in poi. Schmidt Arcangeli (1996) e Lucco (2004) hanno messo in luce come dal punto di vista compositivo la pala si collochi al crocevia delle esperienze tra pittura e iconografia nordica e tradizione italiana.
Lo spazio entro cui si svolge l’annuncio è per metà studiolo, con tanto di scansie lignee sullo sfondo, illuminate morbidamente alla maniera nordica, con luccichio e riflesso metallico sul candeliere; per metà spazio aperto con un cielo luminoso in cui si muove la colomba dello Spirito santo. Alla figura dell’angelo di profilo enfatizzata alla maniera nordica con vesti vaporose e piene di smerigli di luce, con ali nere e rosse, si contrappone quella della Vergine posta frontalmente rispetto all’osservatore, con il capo inclinato verso l’angelo e le mani incrociate sul petto, caratterizzata da un monumentalità classica che si trova in altre figure dipinte a Venezia nei primi decenni del Cinquecento.
La commistione di frontalità della Madonna e profilo dell’angelo, contrariamente alla tradizione italiana che li colloca su una stessa linea ed entrambi di profilo, ricorre spesso nella pittura veneta (Annunciazione di Cima da Conegliano al Detroit Institut of Art) e si lega alla presenza a Venezia di numerosi polittici nordici in cui la figura della Vergine era frontale mentre l’angelo proveniva dalla profondità . La Vergine di Catena si rifà alla più aggiornata iconografia mariana che i Francescani propugnavano con forza dalla fine del Quattrocento: pur inginocchiata davanti al leggio non ha il libro delle Sacre Scritture davanti a sé, ma un volume con copertina rossa sta chiuso sulla panca alle sue spalle; un telo bianco di cui sono visibili le pieghe, quasi si trattasse di un foglio di carta, si srotola dal leggio sotto le mani della Vergine. Un’allusione al suo stato di purezza e al suo farsi, con la sua obbedienza, “corpo del divino” (Sarchi 2008).
Bibliografia
Berenson 1905; Berenson 1932; Robertson 1954; Berenson 1957; Garuti 1978; Garuti 1992; Schmidt Arcangeli 1996; Lucco 2004; Ferriani 2004; Sarchi 2008; 100 oggetti 2014.
(Scheda a cura della Pinacoteca di Carpi)
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