2014, l’ottima annata del mercato. E poi?

di - 6 Marzo 2015
Come è già accaduto negli ultimi anni, anche il 2014 è stato un anno da record per il mercato mondiale dell’arte. Le vendite all’asta, stando al rapporto Artprice, hanno registrato livelli di crescita degni di interesse, raggiungendo un aumento del 26 per cento con un fatturato che ha toccato il record storico di 15,2 miliardi di dollari contro i 12,5 del 2013.
Con queste premesse, il 2015 si rivelerà sicuramente un anno in cui il mercato dell’arte sarà sotto stretta osservazione di appassionati ed investitori: se da un lato il volume d’affari crescente può esercitare un certo fascino su un ventaglio sempre maggiori di investitori, alcune debolezze di sistema non hanno ancora trovato una risposta né da parte del mercato né parte del mondo accademico. Questo incide sul livello di incertezza di un mercato su cui gli analisti si dividono tra coloro che lo considerano sempre più strutturato e tendente alla maturità e coloro che, invece, lo ritengono un remake della bolla di qualche anno fa.
Intanto, il mercato continua a crescere e, sebbene il rapporto di Artprice si concentri solo su una fetta dell’intero comparto (tralasciando le vendite private sulle quali si hanno ben poche informazioni), dai dati rilevati emerge che nel 2014, Cina e Stati Uniti si confermano essere i principali player internazionali in termini di proventi dalle vendite all’asta, rappresentando rispettivamente il 37,2 per cento e il 32,1 per cento del mercato globale. E se la Cina, pur prima in classifica, registra un calo di fatturato del 5 per cento rispetto all’esercizio precedente, gli Stati Uniti si attestano su un +21 per cento in linea con il clima di ripresa economica che si respira nel Paese.

Un altro dato interessante è quello legato alla quantità di opere d’arte vendute nel mondo e alla loro distribuzione interna. Mentre la prima è rimasta relativamente stabile nel tempo, nel 2014 il numero di lotti aggiudicati per più di un milione di dollari ha raggiunto la cifra record di 1.679, il quadruplo rispetto a 10 anni fa.
E se la quantità di aste milionarie aumenta, altrettanto deve dirsi della scala dei prezzi con un’asticella che di anno in anno si spinge oltre. Dopo una stagnazione sotto la quota massima dei 10 milioni di dollari negli anni ’80 e il raggiungimento del limite dei 100 milioni di dollari negli anni Duemila, nel 2015 è stato superato il tetto dei 300 milioni di dollari per l’acquisto di un Gauguin. Una scala di prezzi che secondo Artprice è destinata a raggiungere ben presto il miliardo di dollari.
Anche la Top Ten degli artisti più ricercati nel 2014 mostra margini di riflessione denotando un calo per i comparti Old Masters e l’arte Moderna, e l’inclusione di due artisti viventi: Gerard Richter e Jeff Koons. Fattori che sottolineano l’ascesa sempre più evidente del comparto contemporaneo.

Sono molteplici i fattori che hanno contribuito alla crescita di questo mercato. In stretta connessione con l’aumento della concentrazione della ricchezza a livello globale, si è assistito all’incremento esponenziale dei “consumatori di arte”, senza peraltro tralasciare l’incremento della domanda derivante dai sostenuti ritmi di crescita della cosiddetta “industria museale”.
A questo si aggiunga anche un sempre maggiore interesse verso l’arte come asset di investimento, l’avvento delle nuove tecnologie che ha favorito una maggiore circolazione delle informazioni – per quanto ancor oggi sia prematuro parlare di trasparenza del mercato – e facilitato gli scambi attraverso le vendite online, segmento questo in forte espansione.

L’arte come asset di investimento è un mantra che da tempo viene sostenuto in certi ambienti, e i rendimenti crescenti degli ultimi anni stanno dimostrando che questo mercato può giocare un ruolo importante in fase di allocazione del denaro e di diversificazione di portafoglio. Ma a questo aumento dei margini segue, come da manuale di economia, un aumento dei player che intravedono in questo mercato possibilità di creare profitto.
In questa fase, dunque il rischio è duplice: da un lato l’aumento dell’offerta può ridurre i margini di profitto delle imprese che già si sono stabilite nel mercato, e dall’altro può celare qualche intento meramente speculativo, un’operazione di natura industriale che ha poco a che vedere con l’arte ed il suo relativo mercato.
È in questa prospettiva che va appresa la notizia della riapertura del Marchio Finarte, storica casa d’arte italiana nata nel 1959 e chiusa per fallimento nel 2012. Dietro il brand, può celarsi sia una grandissima occasione di ristabilire un mercato anche nel nostro Paese (sempre più in fondo nelle classifiche) sia un’operazione di tipo industriale, con il meccanismo di acquisizione-valorizzazione-cessione piuttosto frequente in altri mercati.
Nulla da dire sulle operazioni industriali, se non il timore che operazioni speculative possano indebolire ulteriormente un mercato dell’arte che in Italia, tra vincoli burocratici e amministrativi, stenta a decollare come potrebbe.
Link Rapporto 2014

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  • Un'operazione da exit. Il mondo dell'arte non si può permettere questi gochini.

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