A Londra, capitale del mercato dell’arte

di - 31 Dicembre 2014
La prima tappa è a Golden Square: piccola piazza con giardino che si trova in una zona di limbo dove Soho, con le sue viuzze piene di ristoranti e librerie, si incrocia con Piccadilly e la fiumana di turisti che vi si aggira. Qui, all’angolo della piazza, si trova la warehouse vittoriana che ospita la nuova sede londinese di Marian Goodman, storica gallerista newyorkese che a 86 anni è una delle più rispettate dealer dell’arte contemporanea, rappresentando artisti della portata di Joseph Beuys, Anslem Keifer e Richard Deacon. Dall’esterno dell’edificio non si intuisce l’effetto sorpresa che si cela dietro le imponenti porte di vetro che invece, una volta aperte, svelano una struttura su due piani (entrambi oltre i mille metri quadrati) dove la ristrutturazione effettuata dall’archistar David Adjaye ha realizzato un perfetto equilibrio tra le fondamenta dell’edificio, preservandone alcune caratteristiche d’epoca come le colonne, e la contemporaneità resa dai soffitti in vetro e dalle pareti bianche.
C’era stato un gran parlare ed una grande curiosità nei mesi precedenti l’apertura della galleria: “chi sarà il direttore? Come mai hanno scelto Soho? Si mormora che lo spazio sia gigantesco”. Ai vernissage si sussurravano concitatamente grandi nomi come quelli di Richter e di Baldessari per l’apertura del programma. Ed infatti cosi è stato, Marian Goodman ha inaugurato il nuovo spazio con una retrospettiva dell’iconico, e quotatissimo, artista tedesco Gerard Richter, che è rappresentato dalla galleria sin dai primi anni Ottanta, quando era ancora agli inizi della sua fortunata carriera.

In mostra, la prima di Richter a Londra in vent’anni, ci sono più di 40 opere che spaziano dai dipinti alle monumentali stampe digitali a righe, piccole fotografie su cui l’artista ha dipinto fino all’installazione di lastre di vetro vista anche (come altri lavori in mostra) alla Fondation Beyeler a Basilea quest’anno: il risultato è quello infatti di una mostra dal respiro museale, aiutata anche dall’eleganza e la vastità degli spazi.  Ma è bene ricordarsi che siamo in una galleria e che l’artista di cui si sta parlando è colui che, dopo che la sua opera Cathedral Square, Milan  è stata battuta il 14 maggio 2013 all’asta da Sothebys per 37 milioni di dollari, è diventato l’artista vivente più costoso (record poi infranto l’anno scorso da Jeff Koons, ma che rende comunque l’idea).
Il valore globale del mercato dell’arte del 2013 è stato di €47.42bn e, nonostante New York sia ancora la città in cui si vende di più, Londra, con il suo parterre di ricchi del mondo che vi abitano, le sta col fiato sul collo impossessandosi di una bella fetta di mercato: dati come quelli dei risultati delle aste della settimana di Frieze ne sono una prova, le Post-War and Contemporary Art Evening sales hanno incassato un totale di £70,343,000. Dunque, non c’è da sorprendersi se molte gallerie affermate di New York come Zwirner, Hauser & Wirth, Pace e Gagosian abbiano deciso di aprire nuovi spazi a Londra, operando nel quartiere di Mayfair e confermando il ruolo decisivo della città nella mappa globale del mondo dell’arte.
Un’altra galleria (ed un’altra donna) che segue l’esempio di Marian Goodman è la galleria newyorkese della svizzera Dominique Levy, che negli ultimi anni si è affermata come una delle principali dealer del mercato secondario, prima assieme all’ex trader di Goldman Sachs Robert Mnuchin, con cui ha gestito la galleria L&M per sette anni, e poi da sola con l’omonima galleria aperta nel 2011. La sede londinese si trova nella storica Old Bond street, nel cuore di Mayfair, a due passi (letteralmente) dalla Royal Academy, in un meraviglioso edificio costruito sul modello di un palazzo veneziano.
Ho incontrato il direttore Lock Kresler, ex director di Christie’s, pochi giorni prima che aprisse la mostra inaugurale “Local History: Castellani, Judd, Stella”, ispirata all’omonimo testo scritto da Donald Judd, che ha aperto anche nello spazio di New York: ed è proprio questo primo punto, la coincidenza delle mostre nei due spazi, che secondo il direttore palesa la volontà della galleria di instaurare un dialogo transatlantico tra New York e Londra e, allo stesso tempo, la mostra stessa cerca di tradurre nel vocabolario dell’arte una conversazione realmente incominciata dai tre artisti.

La galleria, spiega Kresler, rappresenta molti artisti europei ed è interessata a portare i loro lavori in America come allo stesso tempo portare artisti americani in Europa. Ma il dialogo tra le due nazioni non è l’unico motivo: «Londra è diventata un potente hub per buyer internazionali essendo un melting pot di persone di tutto il mondo, è una scelta ovvia per noi stare qui», sottolinea con enfasi. Quando gli chiedo, conscia della retoricità della domanda, perché Mayfair, mi risponde deciso e sorridente: «Per noi che ci occupiamo di mercato secondario è il luogo ideale, non avrebbe davvero senso essere altrove». E in un momento in cui si parla del ritorno in West London delle grandi gallerie che si erano spostate all’East (vedi White Cube, Herald St.), non si può dargli torto. La mostra, curata dalla storica dell’arte Linda Norden e Peter Ballantine, uno dei maggiori esperti del lavoro di Judd essendone stato uno dei più longevi fabbricatori di opere, è intelligente e garbata che mette insieme lavori dei tre artisti dal 1950 ai primi anni ’70, contrapponendoli a lavori più recenti, cosi da esplorarne l’evoluzione.
Come Marian Goodman anche la Dominque Levy gallery ha esposto a Frieze Masters con stand di altissimo livello (Goodman ha tirato fuori pezzi storici dell’Arte Povera). Queste due storie dimostrano come Londra continui a riaffermare il suo ruolo nel mercato dell’arte che la città ha iniziato a costruirsi agli inizi degli anni Novanta grazie anche all’arrivo di branch di gallerie europee e americane, diventando adesso un piccolo impero che non cessa di sorprendere e di accogliere nuove gallerie da Oltreoceano e Oltremanica.
Chi sarà il prossimo? Le scommesse sono aperte.
Victoria Genzini

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