È stato un anno impegnativo per lo spettacolo dal vivo. Dopo due anni di pandemia, in cui la cultura e il turismo sono stati tra i settori più colpiti, il cambio di governo ha comportato la procrastinazione di una serie di provvedimenti attesi da tempo, in primis i decreti attuativi del Codice dello Spettacolo che determinano, tra le altre cose, anche l’erogazione del “reddito di intermittenza” per i lavoratori e lavoratrici del settore.
Era un provvedimento necessario, che quasi tutte le forze politiche avevano sostenuto, di più dopo che la pandemia aveva evidenziato la drammatica situazione del settore dove i lavoratori e le lavoratrici – al di là di qualche star – sono in genere precari e sottopagati, con contratti intermittenti e spesso in nero, senza prove pagate. Annuncio delle ultime settimane, l’abolizione del FUS, il Fondo Unico per lo Spettacolo, sostituito da un nuovo ma misterioso Fondo Nazionale per lo Spettacolo dal Vivo.
Il FUS nasce sotto il governo Craxi, con l’articolo 1 della legge 30 aprile 1985, presentata al Parlamento dall’allora Ministro per il Turismo e lo Spettacolo, Lelio Lagorio, per istituire un fondo specifico per lo spettacolo dal vivo, dopo le annuali circolari ministeriali. Il FUS riguarda i settori del teatro, della danza, del circo e della musica. Sono escluse le fondazioni lirico-sinfoniche. Mentre di recente sono stati ammessi la musica popolare di qualità, i carnevali e le rievocazioni storiche.
Il FUS è stato riformato nel 2014, sotto il ministro Bray, entrando in vigore nel 2015, quando Ministro della Cultura era Dario Franceschini. Per la prima volta si parla di triennalità, chiedendo agli enti visione e prospettiva progettuale; si parla di algoritmi, quindi di parametri di valutazione oggettivi (anche se una quota riguarda la valutazione di Qualità); vengono istituiti i Teatri Nazionali, i TRIC – Teatri di Rilevante Interesse Culturale, e i Centri di Produzione. Per chi volesse approfondire, il Decreto e i suoi difetti sono raccontati nel libro di Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino “Oltre il decreto. Buone pratiche tra teatro e politica” (FrancoAngeli 2016), mentre la situazione è costantemente documentata sul portale ateatro.it.
Il meccanismo di erogazione del FUS è complesso. Per accedere al sostegno triennale, un organismo doveva presentare il progetto triennale entro il 31 gennaio 2022, presentando un bilancio 2022 in passivo, perché un FUS serve formalmente e ripianare i buchi di bilancio. E naturalmente l’attività deve iniziare, ma senza alcuna certezza sul finanziamento.
L’ammissione al FUS è stata poi decretata tra giugno e luglio, ma senza precisare l’entità del finanziamento, che verrà definita nel 2023, quindi dopo la conclusione dell’attività, previa rendicontazione (e dopo che sono stati effettuati i pagamenti). Tutto questo per ottenere finanziamenti sempre più esigui (con un investimento molto inferiore a quello di paesi come Francia e Germania): tra inflazione e tagli, il FUS ha perso dal 1985 al 2021 circa il 60% del suo valore.
Ogni nuovo governo ha la tentazione di cancellare quanto fatto in precedenza, con annunci a effetto, spesso smentiti o rettificati, come è successo di recente con la 18app: prima è stata dichiarata la sua morte e poi è stato corretto il tiro annunciando l’introduzione di una Card Cultura per diciottenni da erogare in base all’ISEE e al voto della maturità. La stessa cosa sta succedendo con il FUS, inizialmente da abolire e poi ribattezzato Fondo Nazionale per lo Spettacolo dal Vivo: a detta del ministro Sangiuliano, sarà incrementato, anche se a oggi non è dato sapere nulla, né nella sua composizione né nei suoi tempi di attuazione né, soprattutto, nella sua consistenza economica. Una grande incognita per il mondo dello spettacolo, che tra la fine dell’anno e l’inizio del nuovo, si prepara a stilare la domanda per il FUS.
Si attendono notizie anche dal fronte del Codice dello Spettacolo, la legge dello spettacolo attesa da 71 anni. La legge è stata approvata nel 2017 ma mancano i Decreti attuativi e dunque è come se non esistesse. Il Codice prevedeva un fondo destinato a sostenere il reddito di discontinuità per i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo, che avrebbe necessitato di una dotazione di 150milioni di euro per attivarla nel 2023. Ma lo stanziamento a copertura dell’indennità di discontinuità nel disegno di Legge di Bilancio 2023 non è presente. Intanto la stessa legge destina più di 1 miliardo di euro per salvare dal fallimento le società calcistiche di serie A, pesantemente indebitate. Questione di priorità.
Uno dopo l’altro, i diversi governi hanno dichiarato che la cultura deve essere il volano che può risollevare il paese. Ma se è vero, deve essere ripensata come elemento strutturale, integrandola tra turismo e riqualificazione territoriale, patrimonio tangibile e intangibile. E il vero sostegno si dimostra con i fatti. Per esempio incrementando il FUS, dando notizie certe, assegnando un sostegno concreto ai lavoratori e alle lavoratrici dello spettacolo.
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Sono una lavoratrice dello spettacolo e sono assai delusa dal percorso in decrescita che tutti i governi hanno avuto nei confronti dei finanziamenti per la Cultura. Se la smettessero di svuotare di senso la parola Cultura e si iniziasse veramente a lavorare per aumentare il livello Culturale di questo paese credo ci sarebbero meno esempi da sottocultura cui assistiamo quotidianamente. Questione di priorità, appunto.