Il fatto è che questo instancabile chiacchiericcio da bar
(che, va detto, nella morbosa e ossessiva psicologia dell’art addicted contemporaneo è in genere la prima
cosa che il lettore medio va a leggersi, così come i giudizi tranchant, spesso
insultanti e arroganti, di Politi sono generalmente la prima cosa che il
lettore medio di Flash Art corre morbosamente a compulsare); il fatto è, dicevo, che
questo sciocco, spesso volgare, insultante dibattito “senza rete” e
senza arbitro, dove a ognuno è concesso, anonimamente, di dire qualsiasi cosa,
di diffamare, di dileggiare, di insultare il prossimo; questo meta-dibattito
artistico, quasi sempre di bassissimo livello, vero e proprio florilegio di
paranoie individuali, di linguaggio da trivio, di sospetti e di accuse più o
meno gratuite vomitate contro questo o quell’artista, spesso grondanti un
malcelato desiderio di estesa rivincita sociale, di veder finalmente finir male
coloro che oggi sono “al potere” nell’arte, questo sciocco odio
diffuso e questo desiderio collettivo di sangue, nel vero senso della parola, in
un campo come quello artistico, che di altro dovrebbe invece parlare, e altro
dovrebbe mostrare; ebbene: questo instancabile e banale chiacchiericcio da bar
intorno alle cose artistiche è in qualche modo diventato il simbolo stesso, la
metafora più cristallina di ciò a cui s’è ridotto, o rischia di ridursi, il
dibattito artistico oggi, e anche, di riflesso, quello strano mestiere che un
tempo era detto “critica d’arte”.
Già, perché, dopotutto, diventa sempre più inevitabile
domandarsi che diavolo sia diventato il mestiere di critico. Un grumo, un
coacervo di mestieri e di competenze un tempo rigorosamente separate, oggi
fatalmente mescolate l’una con l’altra, e che pure assumono, nel loro insieme,
l’apparenza di una “professione” che unisce conoscenza della storia
dell’arte (non sempre reale, non organica, e sempre meno obbligatoria),
intuizione, informazione spicciola sulle tendenze più attuali, scaltrezza
professionale, furbizia, capacità di sintetizzare e (a volte, non sempre) di
scrivere buoni testi, sveltezza organizzativa, spregiudicatezza, velocità nel
registrare i trend del mercato; e capacità di reperire le risorse per
realizzare la proprio visione critica.
Ma i commenti nei forum sono, come dire, l’odierna cattiva
coscienza della
critica: banalizzando in modo estremo, e portando allo scoperto, potremmo dire,
la sciatteria di molta critica attuale, essi sono il modo di denunciare, in
qualche modo, che “il Re è nudo”: che non c’è più reale dibattito tra
un senso
dell’arte e un altro, rimane solo – anche ai “piani alti” della
critica – un chiacchiericcio indistinto, una lotta furibonda tra caste, tra
gruppi di potere, o tra singoli individui in corsa per accaparrarsi una piccola
fetta di potere. Il critico è, oggi, la figura più in bilico dell’intero
sistema: laddove sono cadute tutte le teorie generali dell’arte; laddove il
potere è sempre maggiormente in mano a piccoli o grandi gruppi economici e
finanziari, che ruolo può avere ancora colui che, semplicemente, scrive d’arte? Di per se stesso, nessuno. Ha
ancora la speranza di avere un ruolo solo quel critico che saprà far suo un
discorso più o meno coerente in termini non di visione strategica, ma di
visione tattica (alleanze, filiazioni, appoggi politici ecc.), e che saprà
raccogliere attorno al suo progetto da una parte il consenso, e dall’altra i
mezzi finanziari per tenerlo in piedi.
Questo è, sì, un mestiere. Non diverso dagli altri,
dopotutto, e non più infame di tanti. Ciò che il critico scrive sull’arte, invece, conta poco:
conta solo il potere che riesce a ottenere. Tant’è che oggi, che io sto dove
sto, l’unico che mi fa scrivere – gratis – è Tonelli. Ecco allora la funzione
(salvifica? Disvelatrice?) di quell’assurdo letamaio da cui sono costituiti,
per lo più, i “commentari” nelle notizie e nei blog: è la furia
liberatrice degli esclusi, dei senza-potere, degli anonimi, degli invidiosi e
dei disperati che vorrebbero avere voce in capitolo, ma sanno di essere stati
fatalmente esclusi dal “grande gioco”. Una parvenza di dibattito, e
un reale senso di frustrazione, che sale dalle fondamenta e dai tombini, come
un urlo disperato. Quell’urlo senza nome, quel vociare volgare e anonimo,
forcaiolo e scomposto, quel dileggiarsi e disprezzarsi a vicenda, è oggi più
che mai il simbolo della dissoluzione, ma anche dello scollamento dalla base,
di chi oggi detiene saldamente il potere nell’arte.
Quello che viene chiamato oggi il “fenomeno”
Luca Rossi, il Grillo dei blogghisti, con i suoi commentini banalmente al
vetriolo, solo fintamente controcorrente, piattamente intelligenti, più che mai
conformisti senza mai darlo troppo a vedere, col suo non dire in realtà mai
nulla di eversivo sulla radicale idiozia, sulla scandalosa, immensa bolla di
insensatezza in cui versa non l’arte italiana, ma tutta l’arte contemporanea
mondiale; ebbene, quel fenomeno è forse il perfetto prototipo critico di
domani: anonimo, non coinvolto nella difficile arte del “mestiere”
(trovare soldi, appoggi, spazi pubblici o giornali per sostenere le proprie
idee e i propri progetti), virtuale, banale e conformista quanto basta. In una
parola, inutile: parodia, a suo modo, anche della parallela e immensa inutilità
della romantica figura dell’intellettuale nella società catodico-finanziaria e
spettacolar-populista di oggi.
Fenomenologia
di Luca Rossi
alessandro riva
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 66. Te l’eri
perso? Abbonati!
[exibart]
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allora, io penso che luca beatrice sia espressione di questa fase. Poi è vero che siamo pieni di persone disinteressate e pressapochiste. La posta in gioco è molto bassa, e la carriera di beatrice dimostra (in sintonia con questi tempi) che vale di più un aggancio politico che un buon lavoro di critica e curatela. E quindi? Io credo che non servi a nulla lamentarsi ma si debba definire una via alternativa. Anche se il costruttore di questa via dovesse essere l'unico a percorrerla. Poi a ognuno la scelta tra accontentarsi, indignarsi o cercare qualcosa di più.
Allo stesso tempo le menti giovani più brillanti in italia tendono a scegliere settori più remunerativi, meritocratici e appaganti.La qualità è bassa. Chi si dedica all'arte o alla critica (sto generalizzando) diventa automaticamente troppo coinvolto, e quindi non c'è più capacità di critica ed autocritica. E si finisce:
o come beatrice
o ad inseguire vaghi standard esterofili (quindi copie degli originali). Considera che non c'è educazione al contemporaneo, e puoi delineare bene la situazione. Ma paradossalmente questa situazione si presta molto bene ad una riflessione rispetto certi codici e convenzioni.
L'estero spesso è meglio perchè c'è una maggiore qualità delle persone coinvolte. C'è una maggiore serenità in operatori sempre pronti a mettersi in discussione e osare (come si dovrebbe sempre fare parlando di contemporaneo). Questa serenità crea confronto; in italia invece c'è paura e precarietà. Tutti sono collegati con tutti e nessuno osa cantare fuori dal coro: c'è troppa paura di perdere anche quella piccola briciola della torta. E allora ben venga sgarbi alla biennale e compagnia bella. Toccare il fondo è l'unica via. E la cosa è assolutamente stimolante.
Soldi pubblici, soldi privati, arte "museale" e arte "commerciale" ecco i due movimenti artistici in lotta per la sopravvivenza. C'è chi ha preso e chi ha dato.
Chi ha più meriti? chi ha speso i soldi dello stato o chi ha fatto guadagnare soldi allo stato?
E smettiamola con la liturgia: l'arte museale di oggi farà guadagnare domani. C'è da scommettere che l'arte museale di oggi finirà nel dimenticatoio o nel museo delle truffe.
Il sistema museale italiano contemporaneo va smantellato, azzerato, come lo sono stati i salons imperiali di fine 800.
caro lucarossi evidentemente stiamo diventando come il pozzo di san patrizio, questo fondo dovremmon già averlo toccato da un pezzo
Quello che non avete capito è che l.b. ha perso molto del suo fascino di personaggio maledetto da quando ha smesso di essere solo un curatore in prima linea contro tutto e tutti.
ed è passato dalla parte di chi vince,a qualsiasi costo.
così non ci piaci più luca, anche perchè prima riuscivi a distinguere qualche verità in più, ora probabilmente non ti sforzi neppure più di guardare.
Condanna definitiva per il critico Riva.
È passata in giudicato la condanna a 6 anni e mezzo di reclusione per Alessandro Riva, il critico d’arte accusato di aver molestato cinque bambine minori di 10 anni. La pena era stata stabilita il 20 ottobre 2009 dai giudici della prima corte d’appello, che avevano ridotto la condanna a 9 anni inflitta in primo grado. Ora la Cassazione ha rigettato il ricorso contro la sentenza, rendendola definitiva.
http://www.ilgiornale.it/milano/brevi/04-12-2010/articolo-id=491393-page=0-comments=1
Arte impossibile. Luca Rossi e Luca Bianchi,l'hanno risolta così la questione, mettendosi in mutante, come ha fatto l'artista, nonnché critico d'arte Savino Marseglia.
praticamente un trio delle meravglie.
Qualcuno evidentemente non ha mai saputo che al massimo il Beatrice Luca è sempre stato considerato, a pieno titolo,il "magutt" della critica d'arte contemporanea.Questo o quello,per lui, pari erano: altro era importante.Comunque,li era,qui è,e sempre sarà."Non c'è soluzione,ma non c'è problema"(MD).
I vari-ed eventuali- mal circolanti Riva e Beatrice evidentemente non hanno una reale,continua, occupazione.Modesti quanto sono li si dovrebbe considerare innoqui sopravviventi.Ogni tanto saltano fuori ma che ci si debba occupare di loro sembra eccessivo.Praticamente sono equivoci senza importanza.
Stefania, ebbene si!savino marseglia e luca rossi, se non altro, hanno avuto il coraggio di mettere alla berlina un sistema dell'arte, monotono e autorefernziale, in cui la critica d'arte ne è l'espressione più evidente! Savino questa questione l'ha risolta mettendosi in mutande; luca invece ha preferito nascondersi nel suo blog.