ALCATRAZ

di - 21 Giugno 2010
Mancano di Maurizio Sciaccaluga la
sua energia e il suo coraggio nel mettere in piedi ogni giorno nuovi progetti,
nel coinvolgere galleristi, artisti, collezionisti in imprese che a prima vista
sarebbero sembrate perse (cosa che, va pur detto, un po’ manca a molti dei
critici, pur bravi, che spuntano come funghi qua e là dalle varie scuole e
scuolette per italici curator).

Ma qui, dalle colonne di Alcatraz, non intendo stilare coccodrilli
ritardatari: vorrei invece proporvi un ragionamento su ciò che è stato fatto
nei quindici anni passati nell’arte italiana, per provare a capire – anche –
dove si sta andando oggi. Credo, infatti, che oggi che finalmente una parte
consistente dell’arte internazionale sta aprendo gli occhi sull’indubbia novità
provocata dalle tendenze che per anni hanno covato sotto la cenere, e fuori del
sistema ufficiale, attraverso riviste di tendenza come Juxtapoz
, fanzine, siti internet, blog;
oggi che le due correnti (chiamiamole così), del pop surrealismo e della street
art sono in piena esplosione e già ormai in fase di “normalizzazione” e
“istituzionalizzazione”, anche in Italia si può forse provare a fare un
ragionamento su ciò che è stato fatto negli anni passati, fuori dai piccoli
schieramenti di bottega e dalle delegittimazioni reciproche.

Lo dico senza
retorica: chissenefrega se a uno piace o non piace Verlato, o Schmidlin, o Di
Piazza, o Danilo Buccella, o altri che io e Maurizio abbiamo sostenuto e amato
e invitato a mostre fin dai tempi in cui questi artisti erano considerati, chissà
perché, innominabili. La questione è un’altra. È quella, io credo, del
travisamento della ricerca di un’intera generazione di artisti e di critici. Il
sistema dell’arte italiano ha infatti sempre eretto un muro contro un intero
settore della ricerca artistica.


Non c’è vittimismo in questo: noi abbiamo
fatto le nostre battaglie, divertendoci, muovendo le acque, avendo per anni a
disposizione una corazzata come Arte Mondadori
, dove il grande e rimpianto direttore
Nuccio Màdera ha per anni lasciato a me e a Sciaccaluga briglia sciolta,
intuendo che portavamo idee, polemiche e linfa vitale, dunque lettori,
pubblicità e interesse intorno alla rivista.

Ma io parlo di travisamento:
perché? Perché il lavoro di Sciaccaluga è stato quello di “sdoganamento” di una
ricerca che veniva da una zona della cultura differente da quella dominante.
L’intuizione di Sciaccaluga, come di altri nostri compagni di strada, era che
non ci fosse “un” sistema, granitico e chiuso, di cui rispettare le regole e da
seguire pedissequamente, pena l’esser fuori dal mondo dell’arte; che non ci
fosse “un” solo modo di approcciarsi all’arte, ma molti sistemi culturali
intrecciati tra loro. E i nostri interessi – i nostri, e quelli di molti
artisti che con noi stavano crescendo, maturando ed emergendo – venivano
spesso, e andavano altrettanto spesso, in direzioni diverse da quelle praticate
in quello che veniva considerato l’unico sistema possibile.

Noi eravamo
cresciuti, per intenderci, leggendo Frigidaire
, e non Flash Art; eravamo cresciuti coi libri di
Tondelli, di Tom Wolfe, di Ballard, e non sui testi teorici di Celant o Bonito
Oliva. Abbiamo studiato, poi, anche quelli: ma, non ci fossimo poi trovati,
quasi a malincuore, a fare quello strano mestiere che è quello del critico
d’arte, forse non ne avremmo neppure sentito il bisogno. Mentre non avremmo mai
potuto fare a meno di leggere, in quegli anni, Thomas Pynchon, o William
Gibson, o James Ellroy.

Naturale, allora, che nelle nostre prime mostre, ognuno
a modo suo, ognuno per suo conto a volte, altre volte riunendoci e inventandoci
progetti in comune, invitassimo artisti che non erano cresciuti leggendo Flash
Art
Tema
Celeste,
ma che
avevano magari amato Metal Hurlant
, Ranxerox, Pazienza, Moebius, il cyberpunk, la nuova
letteratura noir, che avevano assorbito in maniera naturale gli stimoli di quel
breve “week end postmoderno
” che tanto bene ci saputo raccontare, in quegli anni,
Tondelli. Come stupirsi, allora, che le nostre prime mostre, negli anni ‘90,
fossero mostre che parlavano di fantascienza, di gioco, di mondi paralleli, di
mescolamento tra cultura alta e illustrazione popolare, e poi di delitti, di
mescolamento tra
cronaca e realtà?
Ebbene, questo
era il “brodo di cultura” in cui noi siamo cresciuti. Eppure il sistema, in
Italia, per anni ha tenuto chiusa la porta. I principali musei, le riviste “di
tendenza”, i grandi premi hanno sistematicamente tagliato fuori una fetta di
artisti. Ripeto, non è questione di vittimismo: è stata una realtà oggettiva;
noi, va detto, ci siamo difesi, e anche divertiti moltissimo: ma a fatica. E
soprattutto – ed ecco il travisamento – il lavoro che noi, e con noi gli
artisti che amavamo, stavamo facendo, è stato bollato come “passatista”.

Si è
parlato di “pitturaccia” o, più banalmente, di “figurazione”, termine che io
non ho mai usato, né amato. Si è travisato il senso del lavoro critico, non
vedendo che, con tutti i difetti, gli errori o le opinioni diverse, quello di Sciaccaluga,
e con quello il mio, di Luca Beatrice e di pochi altri critici, non era poi
distante da ciò che altrove si faceva nel mondo. Era un lavoro sui confini
dell’arte e del lavoro culturale, un tentativo di far uscire l’arte dal guscio
del lambiccamento concettuale, era il tentativo
di ri-trovare, per l’arte, un
pubblico “popolare”, esterno a quello specialistico degli addetti ai lavori:
benché spesso lo si sia fatto passare per il suo contrario, cioè per un
arroccamento identitario sul concetto di “figurazione” e di “buona pittura”.


A
forza di travisamenti e di diktat, intere generazioni di artisti sono state
spazzate via dal mercato e dalle ricostruzioni fittizie fatte a uso e consumo
di un piccolo circolino autoreferenziale di addetti ai lavori. Ma forse oggi i
tempi sono maturi per una riflessione più pacata. Senza delegittimarsi in
continuazione a vicenda. Non ci sono serie A e serie B: la storia lo ha spesso
dimostrato. Artisti che tra la fine degli anni ‘80 e la metà dei ‘90
impazzavano nei salotti concettuali, oggi sono quasi usciti di scena. Artisti
come Verlato prima, e ora anche Di Piazza, vengono invece presi da galleristi
“di tendenza” come Jonathan Levine, e inseriti in un movimento internazionale
come quello del pop surrealismo.

Forse, sarebbe ora che anche in Italia l’epoca
dei divieti e dei diktat cominciasse a finire. Che l’epoca degli insulti sui
forum contro un artista, solo perché a qualche anonimo non piace il suo lavoro,
lasci il posto a discussioni più serie e pacate. Allora, diamo a Cesare quel
che è di Cesare.
E anche a Sciaccaluga, che col suo
lavoro e la sua energia ha aperto la strada, in questi anni, a ciò che oggi
viene finalmente riconosciuto anche a livello internazionale, senza più
sciocchi travisamenti e divisioni scolastiche tra “buoni” e “cattivi”, tra
“moderni” e “passatisti”, tra artisti “internazionali” e “provinciali”.

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L’ultima
mostra curata da Sciaccaluga

alessandro riva


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 65. Te l’eri
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Visualizza commenti

  • Scusate, ma non riesco a chiamare "Signor" questo Riva. Un conto è farsi una 17enne consenziente, altra cosa è quella per cui è stato condannato.
    Trovo sia una mancanza di rispetto nei confronti delle vittime dar spazio a personaggi di tale bassezza e una mancanza di stile da parte di questa pubblicazione.
    Julio

  • Oltretutto, Riva: scrivi da cani! 15 riche senza un punto non fanno capire il concetto e fanno arrivare alla fine col fiatone

  • ho capito, ma il pop surrealismo è già superato dalla realtà, il cinema per esempio. Portare il pop surrealismo sotto forma di quadro, oggetto o foto mi sembra solo di creare feticci spuntati. Verlato, in alcuni quadri, lo posso ancora accettare: mi sembra che carichi con grande attenzione, i suoi dipinti sono hamburger infarciti, big mac della mente. Ma poi basta...l'arte di oggi deve fuggire dal cappio dell'artigianato adolescenziale...se no perdiamo qualsiasi tensione meglio una parete bianca...meglio improvvisare qualcosa autonomamente per la parete..non so.

    Il pop domani deve essere dietro la schiena del pubblico, perchè c'è già la realtà che rende assuefatti. L'arte contemporanea non può più prescindere da questo. "Essere dietro la schiena" non significa necessariamente effetto sorpresa ma mettere in discussione alcuni codici e aclune convenzioni.

  • finto lucarossi, ma che minchia ne sai te di pop surrealismo??? ma per favore, adesso non crediamoci tuttologi...

  • Condivido il tono dei precedenti commenti.Il surrealismo pop è assolutamente ormai storicizzato...non voglio dilungarmi su cosa sia fare ricerca in arte oggi, certo è che la sperimentazione non appartiene agli artisti da lei citati...grande tecnica e grande artigianilità fine a se stessa...temi triti e ritriti..juxtapoz la conosco bene, negli ultimi mesi ci sono più pubblicità di negozi di tattoo e t-shirt teschiate che articoli veri e propri.
    Tempo fa,quando una signora attempata di mia conoscenza definì un quadro di Mark Ryden "carino", capii che tutta la carica grottesca ed ironica iniziale era ormai terminata, perchè il linguaggio era già stato assorbito(come giustamente afferma Luca rossi) e il vecchio Ryden poteva coprire l'ennesima macchia nella carta da parati dietro il divano.

  • Tu Alessandro sei stato un fantastico divulgatore (con Arte Mondadori) per il vasto movimento delle figurazione italiana (anche se non piace il nome non ne trovo un’altro). Maurizio è stato dietro di te una incredibile macchina da guerra. Oggi una decina di critici farebbero fatica a fare ciò che lui faceva da solo.
    La tua richiesta di ragionamento sul lavoro compiuto, la tua apertura non riceverà nessun tipo di risposta positiva. L’ambiente dell’arte ufficiale è un sistema altamente parassitario aggrappato ai finanziamenti delle fondazioni e ai finanziamenti pubblici (per quello che può rimanere). Questa casta crede di avere la missione di educare il popolo ignorante e bue e ha il massimo disprezzo per le passioni artistiche reali (parlare loro di pittura è come nominare satana).
    Neanche sotto tortura ammetterebbero l’esistenza, questi ultimi 15 anni, dell’unico reale movimento artistico italiano degno di nota. Loro sono stati occupati nella ricerca di un fantomatico riconoscimento internazionale, si sono resi ridicoli, ora confessare l’esistenza di “altro” sarebbe ammettere il proprio fallimento.

  • La condanna di Alessandri Riva a 6 anni è definitiva!
    La cassazione ha confermato la sentenza di secondo grado, condannando Alessandro Riva a 6 anni di reclusione.
    Vicenda chiusa: Riva è un pedofilo ed ora vada in galera.
    E voi suoi leccaculo vergognatevi tutti: complici!

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