Artisti mosci? Una risposta a Luca Beatrice

di - 22 Dicembre 2015
Qualche giorno fa mi sono trovato a leggere con grande attenzione un articolo a firma di Luca Beatrice, intitolato “Giovani, carini e mosci”. Non posso nascondere che mi sia trovato d’accordo. Parlo spesso, anche io, di questo tema, giacché lo sento come un’onta, una maledizione sulla mia generazione e quindi anche sulla mia stessa pelle. Ha ragione fin nei dettagli Beatrice quando definisce certi schemi, che vanno dalle frivolezze (l’immancabile look da hipster) ai problemi di sostanza (l’inattitudine assoluta a teorizzare), che appartengono alla parte maggioritaria dei miei colleghi non solo italiani. Ma poi, alla fine dell’articolo mi è parso che anche questa riflessione avesse una grave mancanza o si risolvesse con un troppo facile epilogo disfattista, dettato dalla non conoscenza. Peccato grave, ma veniale per un’artista. Peccato mortale per un critico. Ed è questo che, in fondo, mi pare abbia indebolito un atto di accusa che, invece, per il resto m’è parso giusto e, al limite, utile se i soggetti in questione avessero orecchie per intendere (ma non c’è da farsi illusioni).
Mancava, infatti, all’analisi, la cosiddetta pars costruens. Dire cosa non va è giusto, ma dare dei riferimenti positivi diventa doveroso. E per quanto sparuti, disorganizzati o forse, più propriamente disorganici, degli esempi ci sono. A partire dalla Torino di Beatrice, dove è presente da anni il lavoro che Alessandro Bulgini sta portando avanti in Barriera di Milano. Un lavoro di fortissima vocazione politica che smentisce di per sé tutto ciò contro cui il critico si scaglia. Si obietterà forse che Bulgini, oggi cinquantenne non rientra tra i giovanissimi, descritti nel j’accuse, ma la mia domanda è allora: cos’è una generazione? Si parla di un fatto anagrafico o della presenza di un lavoro nello stesso tempo/circostanza in cui vengono sviluppati altri lavori? La produzione di Bulgini, che da Torino si è, in questi anni, proiettata verso altre città italiane ed americane, culminando con il progetto Taranto Opera Viva è, a pieno titolo, appartenente per regioni poetiche e contestuali a questa generazione. Le domande che pone, sul ruolo attivo dell’artista nella società, sono le stesse che rimbalzano nel lavoro e nell’impegno teorico della parte migliore dei miei coetanei, come anche in un recente articolo del New York Times intitolato Three artists who think outside the box – How Theaster Gates, Mark Bradford and Rick Lowe are changing what art can – and should – do for the world.

Tutto ciò contraddice quell’alto tradimento che negli ultimi trent’anni ci ha fatto trasformare in arredatori d’interni borghesi o peggio (ed è il caso di cui parla Beatrice) in cani da borsetta. L’esempio che ho portato, è uno, e l’ho scelto per ragioni di vicinanza territoriale rispetto a colui cui mi rivolgo, ma avrei potuto farne altri, uno per regione almeno, e una ventina di artisti mi paiono sufficienti per fare una generazione. Come sempre qualcuno è più interessante, qualcuno meno, ma come mai Beatrice non ne ha presente nemmeno uno? È davvero ignoranza o è un inciampo retorico nel voler massimizzare il problema tacendo le possibili alternative?
Ma l’interrogativo più inquietante che l’articolo porta con sé è un altro e, per usare un’immagine pop, si riferisce al celeberrimo concetto di destino espresso da Jessica Rabbit. È vero dunque che gli artisti di questa generazione sono “giovani carini e mosci” o, di contro, la realtà è che sono i critici – o i curatori – che li disegnano, o più correttamente che li vogliono, così? La figura dell’artista descritta da Beatrice è, infatti, la figura ideale per finire nel ciclo infinito di collettive senza senso, prive di qualunque portato teorico o politico rilevante, non solo incapaci di incidere, ma neppure interessate a provarci, che costantemente affollano il calendario “cool” dell’art world.

Tempo fa, al forum di Prato, mi trovai a prendere una posizione netta nei confronti di chi dice che il sistema va cambiato e poi continua a gestire i musei che dirige con una logica vecchia di trent’anni, che fa mostre reazionarie nel modo stesso di concepirsi e che dunque non possono avere alcuna ricaduta sul presente, mostre che allontanano dalle opere invece che avvicinare. Parlo di curatori che non hanno mai scritto un libro e nemmeno un minimo di corpo teorico rabberciato in quattro post-it su una rivista on-line e che sono autori al massimo della propria tesi di laurea giusto perché quella era obbligatorio scriverla, ma che pure sfoggiano con un certo orgoglio un paio di scarpette fluorescenti che in qualche modo li accreditano alla coolness. A loro indirizzai un netto «Io non vi riconosco», che confermo. Per questi curatori, l’artista giovane carino e moscio è l’ideale. Non discute perché non è in grado (è stata tornata la legittimità del detto bète comme un peintre), fa la sua figura (magra, ma solo secondo me) in un certo ambiente, e soprattutto non mette in pericolo la volontà perversa del curatore di essere non l’osservatore, ma la star del sistema (e ci starei anche se non fossero la quintessenza del mosciume anche loro). Nella mia esperienza ho visto solo curatori coraggiosi lavorare con artisti coraggiosi. Chi aveva qualcosa da dire non temeva di incontrare/affrontare artisti difficili, ingombranti. Ma così, parlando degli altri ci si nasconde sempre dietro un dito. Per cui è a Beatrice che torno, senza alcun amore per la polemica né intento provocatorio. Ma a lui rigiro la domanda che per me resta essenziale, ossia, cosa ha fatto lui per la mia generazione? È vero, Beatrice non è cool (e questa è da considerarsi una prova a discarico), ma qual è stato il suo contributo reale, come critico e come curatore nell’aiutare la mia generazione a uscire dall’inutilità per essere politicamente e poeticamente incidente? Dove è il suo contributo allo sviluppo di quel dialogo che porta poi alla consapevolezza e alla teorizzazione? Dov’era tutto questo nelle sue mostre, a partire dalla sua Biennale – banco di prova sempre fallito negli ultimi anni dai curatori nostrani per dare un segnale chiaro di senso e di presenza dell’arte italiana non nel sistema dell’arte internazionale, ma nel dibattito politico-culturale internazionale (che è cosa assai diversa)?

Ma sono domande che potrei porre a chiunque percorra la stessa strada. Quale curatore oggi può vantare operazioni che hanno inciso, che hanno acceso un dinamismo politico o di pensiero, che hanno avuto una ricaduta arricchente per una comunità micro o macro che sia? Un paio ne conosco, ma bisogna partire da sé. Invito, dunque, chi legge il presente articolo a rivolgere verso il proprio lavoro questa critica. Quel che abbiamo fatto finora è sufficiente? Forse qualcuno che fin qui si sente a posto, facendo un’analisi più approfondita potrebbe scoprire che in una scala da uno a dieci non ha superato il livello tre di “funzionalità” nel rapporto tra essere di una società e tempo. Ma scoprirsi inefficienti è in realtà il primo passo verso il miglioramento. Per cui auguro a Beatrice e agli altri che mi leggono, artisti o curatori, me compreso, di scoprirsi tali per sentire l’insopprimibile istinto a rimboccarsi le maniche e a “servire”. Tutti gli altri personalmente non mi interessano. Tutti gli altri, non servono.
Gian Maria Tosatti

Visualizza commenti

  • concordo in tutto con Tosatti. Dicesi storia dell'arte anche contemporanea in quanto appunto storicizza. Occorre sempre e comunque che il tempo faccia il suo corso e scavi nel vissuto di chi l'arte la agisce e anche patisce.
    Di qui l'ingenerosa, quasi petulante, presa di posizione di chi inspiegabilmente si ponga di traverso al percorso, faticoso oggi più di ieri, dei giovani artisti

  • tutto giusto. ma la verità è che quando i riflettori si spengono e la gente si allontana dall'arte non è mai colpa degli altri ma di chi la fa, che non ha più saputo incidere e capire la storia o crearla. la verità è che era facile quando i grandi critici o galleristi o fondazioni o musei decidevano di prendere per mano un ragazzo e farlo assurgere a genio a nemmeno trentanni, quando dietro non c'era spessore, storia patimenti e cultura ma solo carne da sfruttare. ora lavorate giovani ma in silenzio e in solitudine come ho fatto io per trentanni e se c'è veramente l'arte la Gente se ne accorgerà da sola e si accosterà a Voi. Siamo nel terzo millennio, ma veramente credete che le torri gemelle e l'isis sono un incidente di percorso? il mondo è cambiato e il puro concettualismo parente del cogito ergo sum è finito. Lavorate in silenzio, la storia non si fa consapevolmente ma inconsciamente.

  • - Silenzio è morto!... Ma purtroppo nessuno ha scritto niente semplicemente perché nessuno lo ha mai saputo, del resto nessuno sapeva che era vissuto, come nessuno sapeva dove abitava. Si pensi che addirittura nessuno sapeva bene cosa Silenzio avesse mai fatto o scritto, come nessuno sapeva neanche cosa avesse mai detto, del resto il povero Silenzio era talmente silenzioso che nessuno si era mai accorto di lui. Silenzio era taciturno al punto tale che esiste ancora qualcuno che dubita sia mai esistito, ma io e pochi altri sappiamo bene quale siano i fatti. Il fatto è, che Silenzio era cosi silenzioso, così silente che è semplicemente morto, è morto e basta, è morto in silenzio, talmente in silenzio che nessuno se né accorto, del resto questo era il suo stile, e nessuno avrebbe potuto accorgersi della sua partenza proprio come nessuno si era mai accorto della sua venuta e tanto meno della sua presenza. Caro Silenzio spero tu stia ora riposando finalmente in pace e in silenzio, lì nel tuo elemento preferito e per te naturale, lì dove tutto tace, lì dove nessuno grida, lì dove nessuno protesta, lì dove nessuno parla, del resto devo confessarti che sono anche un po’ contento perché quei tuoi silenzi erano cosi assordanti e fastidiosi che qui siamo quasi tutti sollevati che tu non ci sia più. Fattelo dire amico mio Silenzio la terra dei morti ti s'addice molto di più e lascia a noi, che silenziosi non siamo vivere, vivere, vivere facendolo sapere agli altri, ma sopratutto facendolo sapere a noi stessi. Condoglianze sincere a tutti i parenti e amici di Silenzio. Ho scritto questo in memoria di Silenzio - ed in risposta a Carlo:

  • Io nel 1997 ho lasciato l'attività artistica non stimo nessuno dei critici con cui ho lavorato che tutte e tutti hanno provato a distruggermi anche lo zampanò robivecchi che scrive su di me,il signor cassetti.sono persone di potere e micropotere servi del mercato e di una politica che gli garantisce appalti se ci sono artisti dovrebbero fa fuori queste persone da bonito oliva in poi.beatrice difende per senso dell'onore che stimo bonito oliva ed una stagione che però non era migliore erano tempi merd....quelli dei sosialisti.non vorre dire altro non facendo l'artista da anni curando mie depressioni ecco paragonato a perretta che mi riocrda berie e pavlov assolvo tutti gli altri.

Articoli recenti

  • Mercato

Maradona: all’asta la maglia della semifinale dei mondiali 1986

Prosegue la corsa dei cimeli sportivi all’incanto. Da Sotheby’s, la maglia indossata a Città del Messico da Diego Armando Maradona…

28 Luglio 2024 10:57
  • Beni culturali

La Via Appia diventa Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco: è il 60mo sito in Italia

La Via Appia, regina Viarum, uno dei monumenti più durevoli della civiltà romana, è stata inscritta nella Lista del Patrimonio…

28 Luglio 2024 10:30
  • Arte contemporanea

Roma attraverso Expodemic Festival: tra Villa Borghese e via del Corso

In occasione della seconda edizione di Expodemic, il Festival diffuso delle Accademie e degli Istituti di Cultura stranieri a Roma,…

28 Luglio 2024 10:15
  • Opening

herman de vries: è suo il secondo appuntamento di Dep Art Out a Ceglie Messapica

Appuntamento questa sera, 28 luglio, con “be here now”, l’esposizione dei tre lavori inediti che l’artista olandese herman de vries…

28 Luglio 2024 0:02
  • Mostre

The Morbid Palace: una collettiva riporta in vita una ex chiesa abbandonata nel cuore di Genova

La galleria Pinksummer porta l’arte fuori dalle sue mura espositive per fondersi con la città presentando una collettiva estiva dal…

27 Luglio 2024 17:01
  • Mostre

La pioggia e il velo, Rita Ackermann e Cy Twombly in dialogo alla Fondazione Iris

Manna Rain: le nuove piogge astratte e cinematografiche di Rita Ackermann in dialogo con l’eredità di Cy Twombly, per la…

27 Luglio 2024 16:10