21 marzo 2013

Attualità/Speciale MAXXI/2 Il direttore che vorrei

 
Oggi, primo giorno di primavera, ci sarebbe già dovuto essere il Superdirettore del MAXXI. Non è così. E noi continuiamo con l'inchiesta sulle aspettative del mondo dell'arte italiano intorno a questa figura. Stavolta a rispondere alle nostre tre domande sono Roberto Casiraghi, direttore di The Others e Roma Contemporary, la gallerista Raffaella Cortese, Giacinto Di Pietrantonio, direttore del GAMeC e l'architetto Francesco Garofalo. Ecco i loro suggerimenti [A.P.]

di

Dalla prima riunione del nuovo Consiglio di Amministrazione, era uscito fuori che a primavera il MAXXI avrebbe avuto un nuovo direttore. Siamo a marzo e la ricerca non è ancora finita. Nulla di strano: non è un affare semplice. Si tratta di individuare un manager che, a questo profilo, sommi anche quello di un grande curatore. Una testa pensante, sicuramente, e anche molto fattiva. Capace di dare al museo quella autorevolezza internazionale di cui finora non ha goduto appieno. Una figura complessa, insomma, che dovrà districarsi tra i quattro o cinque nuovi (anche questi annunciati, e non più sette come sembrava all’inizio) dipartimenti, la burocrazia, l’ingerenza politica che non ha mai graziato il museo, un brillante progetto di rilancio e i fondi la cui consistenza ancora non è chiara. Quasi un deus ex machina. Ma siccome gli déi non sono di questo mondo e neanche viviamo nel migliore dei mondi possibili, abbiamo fatto ritorno sulla Terra, chiedendo a dodici esponenti del sistema dell’arte italiano quale, secondo loro, è il profilo più pertinente che dovrebbe avere questo super direttore. E, se ritengono, che finalmente il MAXXI sia sulla strada giusta. Ecco i pareri dei primi quattro nostri interlocutori.
Le domande
1) Il MAXXI sta attraversando un momento delicato che speriamo apra al suo rilancio. Una delle questioni più complesse è la nomina di un direttore cui faranno capo tutti i dipartimenti del museo e i relativi direttori. Che profilo dovrebbe avere questa figura? Quali competenze in particolare?
2) Oltre alla nomina del nuovo direttore, il MAXXI sta cambiando nella sua articolazione interna con (probabili) quattro o cinque dipartimenti sul modello dei principali musei internazionali. Pensa che questo sia sufficiente per rilanciare il museo, oppure il MAXXI dovrebbe orientarsi più sulla ricerca ed, essendo in Italia, dovrebbe mettere al primo posto la promozione degli artisti italiani, da tempo penalizzati anche a causa del ritardo delle nostre istituzioni museali?
3) È ottimista o pensa che in Italia, date le scarse risorse allocate per i musei, in particolare per quelli di arte contemporanea, sia difficile, o addirittura impossibile, avere un museo che possa confrontarsi almeno con le realtà europee più consolidate?

Roberto Casiraghi, direttore di The Others e Roma Contemporary, Torino Roma
1) La figura del direttore di museo si sta sempre più modificando in questi ultimi anni, direi si sta sempre più “americanizzando”. La gestione quotidiana viene demandata ai singoli curatori dei vari dipartimenti, mentre si concentrano sul direttore le funzioni di programmazione, in accordo con i vari dipartimenti, coordinamento, gestione economica ed organizzativa del museo, rapporti e relazioni con “esterni” (politica, sponsor, gruppi di supporto, relazioni con la stampa ed istituzionali). A queste attività però è necessario affiancare la conoscenza e relazioni consolidate con le più prestigiose ed attive istituzioni culturali internazionali e con personalità di spicco del mondo dell’arte (direttori, curatori, artisti, collezionisti, giornalisti). E sarebbe interessante capire quali deleghe fra quelle ricordate sopra si identificano con il mandato del presidente della fondazione e si sovrappongono a quelle di un ipotetico direttore.
2) Ritengo che il MAXXI, l’unico museo nazionale dedicato all’arte contemporanea, dovrebbe avere uno sguardo internazionale, favorendo la diffusione e conoscenza della produzione artistica italiana soprattutto all’estero, cooperando con prestigiosi musei o istituzioni culturali straniere per il reciproco scambio di iniziative e mostre. Questo non preclude la possibilità di riservare uno spazio alla ricerca più attuale, ma sempre con un’attenzione allo scambio di conoscenza fra la produzione artistica straniera e quella italiana. Per fare questo il MAXXI deve guadagnarsi credibilità e prestigio internazionale e per raggiungere questo scopo sono necessarie alcune premesse fondamentali: certezza dei fondi a disposizione, possibilità di programmazione a medio e lungo termine, attendibilità, autorevolezza e professionalità degli interlocutori, qualità della programmazione. Poco significativa invece è la quantità degli eventi proposti. E per il MAXXI come per tutti vale il fatto che lunga, lenta, tortuosa, faticosa e irta di ostacoli è la strada per affermarsi e velocissima e tutta dritta è la discesa nel precipizio della non autorevolezza.
3) Vista l’attuale crisi economica, penso che sarà difficile per qualsiasi museo italiano competere con realtà internazionali basandosi sui fondi pubblici a disposizione. O si mette mano alla legislazione sulle politiche delle sponsorizzazioni e donazioni, sia da parte delle aziende che soprattutto dei privati, o si favorisce il “contesto” artistico italiano (rete di gallerie, donazioni, produzione artistica, rete di residenze per artisti e curatori) oppure anche per i musei, così come oggi è già per le gallerie private e conseguentemente per gli artisti che rappresentano, il mondo dell’arte contemporanea in Italia sarà sempre più asfittico.

Giacinto di Pietrantonio, direttore GAMeC, Bergamo
1) Non so rispondere a questa domanda, visto che non sono nella posizione di chi sceglie.
2) Quello degli artisti italiani in realtà è un falso problema, difatti, e non per difendere la categoria, l’AMACI si è interrogato più volte su questa cosa, tanto che abbiamo fatto un’indagine per  vedere quanto spazio i 27 musei AMACI hanno dato all’arte italiana dal 2003 al 2012. Il risultato, che è stato presentato ad Artissima a novembre, è: collettive 183, personali 619. Quindi il fatto che i musei italiani, e tra questi il MAXXI, facciano o meno mostre di artisti italiani non risolve la questione. La cartina di tornasole? Il fatto che gli ultimi due movimenti internazionali come l’Arte Povera e la Transavanguardia a cui possiamo aggiungere un’altra decina di cani sciolti sono internazionalmente emersi in assenza di musei. Per cui la questione è più complessa e meriterebbe un altro approfondimento. Il fatto che un museo in generale e soprattutto il MAXXI debba avere una vocazione internazionale come già in parte fa, è scoprire l’acqua calda. 
3) Di natura sono ottimista e quindi la risposta è evidente. Comunque in Italia ci sono musei che hanno rapporti e che sono accreditati a livello europeo e non solo, e questo non è una questione di soldi, ma del lavoro che si fa, anche se ovviamente i pochi fondi a disposizione non aiutano. Tuttavia, proprio in un momento di crisi come questo siamo guardati come una nazione che può dare indicazioni, fare la differenza. All’estero ci vedono come un Paese dove, nonostante tutto, ci arrangiamo e che in questo siamo bravissimi. Lorenzo Bruni, che è andato a dirigere una Fondazione ad Amsterdam, mi diceva che oltre alla qualità del lavoro, uno dei  motivi per cui lo hanno chiamato è per che siamo abituati a lavorare con pochi soldi. Purtroppo noi siamo un Paese che critica a casaccio. Per esempio la GAMeC viene accusata di non fare mostre di artisti figurativi, per questo un giorno mi sono preso la briga di verificare questa cosa, anche qui il risultato è stato sorprendete: il 70 per cento degli artisti che abbiamo esposto fanno un lavoro figurativo. La questione è che uno solo, fosse anche il MAXXI, non può fare la differenza che è fatta dal lavoro di squadra ed è questa che in Italia manca. 

Francesco Garofalo, architetto
1) I profili sono un po’ sfumati e gli specialismi secondari. Se non mi sbaglio, Glenn Lowry, passato dall’AGO di Toronto al MoMA, era uno studioso di arte islamica non proprio moderna. Se non sei un organizzatore e non hai un po’ di capacità d’ascolto e di relazione, mi sembra difficile riuscire. Io vedrei bene un italiano che dirige una istituzione culturale affine all’estero, ma il nome non lo faccio.
2) Mi sembrano tre domande distinte. I dipartimenti sono solo una scusa per allargare il ventaglio delle materie. Non sono né a favore né contro, perché il problema è l’identità e la missione che a questo punto dovrebbe essere meglio specificata, rispetto al compito pur importante di “riempire un vuoto” del contemporaneo in Italia. Per la ricerca starei attento a fare il passo più lungo della gamba. La ricerca nel museo costa molto e rende poco. Se rileggete il programma originario, scritto al tempo del concorso, ci trovate una specie di “Getty Center”; una bella idea, ma oggi sproporzionata alle possibilità. Infine, promuovere gli artisti italiani si può fare, ma evitando accuratamente di scrivere una frase che contenga le parole “promuovere gli artisti italiani”.
3) Secondo me non dobbiamo rassegnarci all’idea che in Italia per motivi antropologico-culturali non si sviluppi una cultura della donazione. In un sistema a finanziamento pubblico (che dovrà prima o poi aumentare), le donazioni non sono solo risorse aggiuntive, ma bilanciamento dei poteri e positivo allargamento del gioco tra istituzioni, responsabili dei musei, e donors. In questo momento sono a Toronto, ho davanti a me la rivista patinata locale; è il numero di fine d’anno sulle cinquanta persone più influenti in città. Per ogni nome ci sono anche le somme che hanno dato alle istituzioni culturali e all’università (pubblica): variano da 65 milioni di dollari in giù.

Raffaella Cortese, gallerista, Milano
Voglio essere ottimista e sperare il miglior direttore possibile per il MAXXI. 
L’Italia ha bisogno di personalità forti e capaci, in grado di dare credibilità e professionalità ai nostri musei. Spero che il consiglio di amministrazione del MAXX, lavori con velocità e determinazione e possa offrire delle serie condizioni di lavoro. Il nuovo direttore, da qualunque parte arrivi, dovrebbe risiedere a Roma. L’operatività in loco è indispensabile per capire le potenzialità e difficoltà di un museo come il MAXXI. Dopo le ultime nomine nei musei italiani, dobbiamo essere ottimisti.

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