Primo appuntamento il 22 novembre con la 87a Collettiva a vantaggio dei giovani artisti triveneti, con Palazzetto Tito ripensato come spazio elastico per mostre anche estemporanee, ma anche luogo, il 4 dicembre, della tradizionale mostra dei borsisti dell’edizione scorsa. Sul fronte della promozione della giovane arte, destinazione originaria della fondazione recentemente spesso disattesa, procederà il lavoro dell’archivio Italian Area affidato a Marco Ferraris con la collaborazione di Care of & Viafarini di Milano. Interessante l’obiettivo programmatico di avviare collaborazioni con musei stranieri di prestigio per promuovere la circolazione di opere ed artisti.
L’attività espositiva sede di Piazza San Marco proseguirà il 19 dicembre con la personale di Grazia Toderi a cura di Francesca Pasini, mentre per il 2004 sono previsti i disegni di Roni Horn, a febbraio per la cura di Jonas Storsve e in collaborazione con il Centre Pompidou di Parigi, e la mostra Inferno e Paradiso organizzata da Giacinto Di
A Palazzetto Tito sono per ora programmate solo la mostra di Emmanuel Babled, a settembre 2004, sul nuovo design del vetro di Murano, e la Collettiva dei borsisti della 87a a novembre.
Insomma una programmazione che sembra giocarsi le carte migliori nella prima metà dell’anno, lasciando poi spazio a qualche contentino per la piazza veneziana, necessaria mossa strategica della Vettese per ammortizzare la nuova ondata milanese che non ha solo i nomi di Di Pietrantonio e Pasini ma anche quello dei galleristi Giò Marconi (Grazia Toderi), Raffaella Cortese (Rony Horn) e De Cardenas (Philip Lorca diCorcia).
Preoccupante è però anche il silenzio intorno alla vicenda degli studi d’artista di Palazzo Carminati, di fatto praticamente chiusi e senza un progetto concreto che li riguardi: la mancanza di fondi non dev’essere una scusa per trascurare la salvaguardia di spazi storici che hanno ospitato gente del calibro di Vedova, Turcato, De Pisis e Tancredi. E che ora sembran destinati ad una foresteria per gli ospiti vip della Fondazione, magari durante le biennali di arte e architettura.
In conclusione, spazio a qualche pettegolezzo lagunare: c’è chi dice che Barbara Poli
Un’ultima triste considerazione tocca di fare in merito alla scena veneziana, che sta assistendo, senza reagire, alla malinconica ed inesorabile decadenza della prestigiosa Accademia di Belle Arti, nata nel 1750. L’istituzione della Facoltà di design e arti dello I.U.A.V. diretta da Angela Vettese, se ha ridato prestigio alla città nel campo dello studio dell’arte e della cultura contemporanee, ha in qualche modo affondato definitivamente l’Accademia già agonizzante, che non ha saputo rinnovarsi ed aggiornarsi, restando legata a modelli e programmi non più attuali. Un vero peccato per un’istituzione che ha formato molte delle figure di spicco dell’arte italiana fino a tutto il ‘900.
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alfredo sigolo
[exibart]
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In merito all'articolo di Alfredo Sigolo vorrei precisare che:
1) non sono direttrice della Facoltà Design e Arti, ma del corso di laurea specialistica in Arti Visive presso la FDA. Cioè di un corso che da la possibilità a diplomati dell'accademia di belle arti di avere un titolo di laurea specialistica. Abbiamo fatto tutto quanto era possibile perchè questa permeabilità si avverasse e spesso i ragazzi che vengono dall'accademia risultano più aperti agli stimoli di altri laureati. Due anni fa provanmmo, come facoltà, a raggiungere permeabilità ancora maggiori con l'accademia, ma da parte di questa vennero bruscamente chiuse le trattative per lo scambio di corsi e crediti. Non si può attribuire a un corso di laurea specialistica l'affossamento dell'Accademia, che, se c'è, è di volontà statate e non certo locale, nè tantomeno attribuibile a chi con eessa ha cercato di dialogare e che dai suoi diplomati trae circa la metà dei propri studenti.
2) Riguardo agli studi di Palazzo Carminati: era mia ferma inetnzione rilanciare il bando, con il parere favorevole dell'assessorato e del sindaco. Questo ha dato luogo a molte verifiche tecniche sul perchè fossero stati bloccati gli atelier (si parlava di un restauro la cui necessità non era chiara). Ora risulta da una difficile ricerca tra le carte che il palazzo contiene amianto e che per questo deve essere restaurato. Non sappiamo se l'amianto è anche negli atelier, in quanto ci sono prove solo per quanto riguarda i locali ai piani sottostanti. Il restauro pertanto non è un inutile lifting, come avevo sperato, ma un atto dovuto. Dai programmi di restauro 2004 pare debba iniziare appunto tra pochi mesi. Così speriamo, muovendoci nel frattempo verso la richiesta al comune di altri atelier che suppliscano alla temporanea chiusura di quelli esistenti. Le foresterie, se mai un giorno ci saranno, verrebbero ricavate dall'ex appartamento del custode e non dagl atelier di cui nessuno ha mai discusso l'importanza.
4) potete verrificare con i relativi musei come la mostra di Roni Horm sia stata organizzata con il Pompidou di Parigi (e non con Raffaella Cortese) e quella di Philip Lorca di Corcia con la Whitechapel (e non con Monica De Cardenas). Nominativi da contattare per accertarsene: Joans Storvse per la prima e Iwona Blazwick per la seconda mostra. Per un museo è conveniente dividere le spese e il nuovo assetto della sede a Piazza san Marco consente di ospitare mostre coprodotte.
Bevilacqua la Masa: esiste ancora una cultura “locale” veneziana?
Chiaramente non è corretto attribuire tutte le responsabilità della situazione attuale della Fondazione Bevilaqua la Masa alla presidenza della critica Angela Vettese (dietro di lei è ben visibile l’ambigua ombra del Comune di Venezia), però alcune sue scelte vanno analizzate in profondità perché sono l’estrema espressione di un modello culturale oggi vincente non solo nell’ambito delle arti visive ma in molti settori della cultura giovanile intesa in senso lato, e persino nella visione di cultura “locale” che ha l’attuale classe politica che amministra la città.
Domina su tutto un’ossessione internazionalista che sembra fornire l’unico possibile parametro di confronto perfino per la produzione artistica di una realtà come quella veneziana.
Ma la cultura locale vista dai ristretti, elitari e spesso manipolati circuiti dell’arte contemporanea internazionale appare come un dato ininfluente: che senso ha, con queste premesse, valorizzare veramente gli artisti che operano sul territorio? Molto meglio presentare i già noti (e ricchi) artisti che il circuito internazionale ha già premiato (Alex Katz, USA), facendo ben capire in questo modo che il percorso da attuare per un artista è un’altro: ed in effetti accade oggi che i nomi italiani ritenuti di valore internazionale non sono selezionati in Italia, ma scelti altrove all’interno di quegli stessi circuiti.
Molti segnali indicano che sempre più Venezia viene considerata come un palcoscenico dove premiare il già noto a livello internazionale, una sorta di piedistallo di particolare prestigio, ed anche in questa prospettiva la cultura locale sembra apparire come un dato quasi irrilevante: il passo ulteriore è quello di teorizzarne la fine e di considerare la sua sopravvivenza come provincialismo da superare.
Certo in confronto ad altre realtà qui a Venezia lavoriamo con meno possibilità, però abbiamo un’identità culturale alla quale teniamo: ormai per difenderla c’è bisogno di un lavoro di resistenza.
Nella presentazione della mostra che si terrà a gennaio alla B.L.M è scritto: “La mostra di Roni Horn, che con i suoi frammenti di disegni e di clown, intende essere un controcanto doloroso e sensibile all’opulento carnevale veneziano”. Ma quale opulenza? L’autore della presentazione ragiona per stereotipi. Negli ultimi anni il carnevale veneziano è stato immiserito da una gestione insensata, sullo sfondo della preoccupante crisi economica della città. Chi propone da posizioni istituzionali certi modelli culturali abbia almeno l’accortezza di non farlo in polemica con la cultura locale.
Daniele Scarpa Kos