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30
dicembre 2017
Buon nuovo anno di cultura!
Politica e opinioni
Il 2017 è stato in crescita, anche se c'è ancora molto lavoro da fare. Ecco una serie di osservazioni e di punti, che potrebbero fortificare questo grande comparto economico
Rispetto agli altri anni, quello del 2017 sembra essere stato un anno più positivo per il mondo dei Beni Culturali nel nostro Paese. Sono state apportate delle migliorie agli istituti proposti negli anni passati, e anche grazie all’abilità politica del Ministro Franceschini, che è riuscito a confermare in toto il proprio atteggiamento nei confronti della cultura, nonostante il cambio di legislatura, alcune attività di rafforzamento della domanda hanno continuato a dare dei segnali di miglioramento.
Non che quest’anno sia stato l’anno dell’apoteosi culturale, benintesi, ma almeno sembra che l’Italia stia finalmente venendo fuori da un trend di anni horribiles che hanno causato non pochi danni all’intero sistema economico del Belpaese.
Ci sono tuttavia delle osservazioni che è necessario fare, circa il lavoro che ci si aspetta vedere portato a termine in occasione dell’Anno Europeo del Patrimonio Culturale.
Perché c’è una cosa, in primo luogo, che bisogna comprendere appieno. La cultura non è più (se lo è mai stata) un ricco passatempo per professionisti benestanti e accademici più o meno affermati. Oggi la cultura è, o quantomeno dovrebbe essere, un comparto industriale, capace di generare ricchezza sul territorio.
Se accettiamo questo passaggio, allora dobbiamo anche comprendere che bisogna decisamente mutare vocabolario, prospettiva e visione di quanto attiene il mondo culturale, creativo e turistico del nostro Paese.
Accademia di Belle Arti di Roma
Stando a quel cambio di paradigma economico, che vuole i Paesi occidentali sempre più imperniati su un sistema economico basato sui cosiddetti intangibles, il passaggio da un’economia prevalentemente industriale ad un sistema produttivo a prevalente componente di conoscenza dovrebbe originare in primo luogo tra quei settori produttivi (cultura, creatività, turismo e tecnologia) e quelle fasce d’età (tendenzialmente under35) che hanno maggiori competenze in questi settori.
I dati invece dicono che il nostro Paese perde ogni anno sempre più “cervelli”: stando ai dati riportati dal Centro Studi “La Fuga dei Talenti”, il trend di esportazione di professionisti ha ripreso a crescere nel 2016, arrivando a fine anno a circa 5 milioni di residenti all’estero (il dato tiene conto soltanto di coloro che si sono iscritti all’AIRE).
Il quadro, per intenderci, è questo: il numero degli immigrati in Italia nel 2017 (116.706 persone al 30 Novembre 2017) non è sufficiente a coprire le perdite di popolazione registrate nel 2016 (124.076).
Questo dovrebbe far capire perché non è più il tempo di guardare esclusivamente a quella cultura aulica, meravigliosa e sublime, ma è necessario guardare più che mai a quella cultura industriosa, produttiva e utile, che tra l’altro è un vanto di differenti generazioni di italiani.
Lucio Fontana, Ambienti/Environments, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca
È in questa prospettiva che segniamo ciò che l’Italia della cultura, a nostro avviso, debba iniziare a pretendere dal proprio Paese e da se stessa:
- Politica fiscale unitaria;
La cultura è trattata, fiscalmente, in modo estremamente differenziato. Differenze che sussistono non solo tra un comparto e l’altro, ma che rendono viscosa la trattazione degli oneri fiscali anche all’interno di un medesimo settore (la tassazione relativa ad un’opera d’arte varia a seconda dei fini, dei soggetti, dell’ubicazione delle opere, etc.).
- Miglioramento della Conoscenza del Comparto;
Ad oggi non è ancora stata adottata una visione chiara di ciò che possa essere definito industria culturale e creativa, e questo genera non poche difficoltà nel poter affrontare organicamente politiche industriali serie. Allo stesso tempo, ci sono strumenti che possono aiutare a comprendere meglio i consumi culturali ma non vengono presi in considerazione. Stesso dicasi dei consumi (anche non culturali) dei visitatori stranieri: giace ancora irrisolto un articolo della legge Artbonus, che prevede un “tavolo ministeriale” per la definizione dei criteri del Tax-Free Shopping, e pensare che l’articolo (del 2014) prevedeva un tempo massimo di 45 giorni per l’istituzione del “tavolo” che entro 5 mesi avrebbe dovuto concludere i propri lavori. E meno male che l’articolo intitolava “Misure urgenti per la semplificazione degli adempimenti burocratici al fine di favorire l’imprenditorialità turistica”.
- Creazione di un sistema di governance e di management più efficace;
La politica condotta sinora dal nostro Ministero è una politica estremamente accentratrice, con una visione che nei fatti si sta dimostrando molto simile ad un approccio statalista della cultura. Questo tipo di politica può portare dei risultati positivi, è vero, ma perché questo accada è necessario che ci sia una visione centrale molto forte, con un “leader” in grado di gestire in modo efficiente l’intero comparto. Questa politica, tuttavia, espone l’Italia della cultura ad un rischio sistemico reso ancora più rilevante dall’evidente discrasia tra la tendenza accentratrice dei beni culturali e l’approccio decentralista visibile negli altri ministeri. La politica, inoltre, dovrebbe limitarsi a dettare delle linee guida (attività di governance), lasciando al management la libertà di guidare le organizzazioni al fine di poter meglio perseguire tali obiettivi. Ad oggi il nostro mondo culturale è ancora fortemente influenzato dalla dimensione politica, soprattutto nelle città minori.
Jeff Koons, Seated Ballerina, Inflatable Rockefeller Center Art Production Fund 2017 NYC
- Politiche di adozione delle nuove tecnologie (Intelligenza Artificiale, Big Data, etc.) per le ICC;
L’Industria 4.0 è un’iniziativa-faro che si fonda con sempre maggiore evidenza, anche sullo sviluppo di capacità informatiche legate ai settori della conoscenza e della cultura. L’implementazione di azioni volte a “rinnovare” il sistema produttivo italiano, tuttavia, hanno come obiettivo prioritario la riforma dell’industria manifatturiera, tralasciando quelle innovazioni che dovrebbero invece essere appannaggio dell’industria culturale. Adottare un piano strategico di medio periodo per l’adozione di strumenti sempre più innovativi da parte delle organizzazioni culturali dovrebbe essere invece una priorità.
- Incentivi più mirati alle imprese
La struttura degli incentivi alle imprese è allo stato attuale lacunosa rispetto al contesto imprenditoriale, del credito e culturale. Molti incentivi sono rivolti alla creazione di percorsi imprenditoriali e alla formazione degli aspiranti imprenditori che però, una volta formati, si trovano a dover fronteggiare una serie di costi che riducono le possibilità produttive. Le ICC sono per lo più formate da soggetti giuridici con uno o due dipendenti (che spesso rappresentano anche la proprietà). Azzerare i costi di iscrizione al registro delle imprese, rendere i contributi previdenziali proporzionali (almeno per gli imprenditori) agli effettivi guadagni dei soggetti, potrebbe migliorare di molto la demografia d’impresa del nostro Paese. Così come pensati oggi, gli incentivi alle imprese, sono funzionali soltanto se è presente una struttura del capitale snella, con una comunità di investitori attenta alle nuove imprese. Una struttura di questo tipo è assente nel nostro Paese e, quindi, delle due l’una: o si rendono più sostenibili i costi di struttura delle imprese nel primo triennio, o si riesce a creare un investor club degno di questo nome.
- Definizione di obiettivi strategici formalizzati per Regione
Dare obiettivi concreti, basati su dati certi e aggiornati in tempo reale (con un certo intervallo di confidenza di errore), che le Regioni sono tenute a perseguire all’interno di una più ampia politica (anch’essa formalizzata e definita per centri di costo e di ricavo) che abbia come oggetto da un lato il patrimonio culturale e dall’altro il sistema produttivo culturale e creativo. Adottare un management che sia in grado, realmente, di perseguire tasks specifici e che abbia una migliore definizione dei poteri e delle responsabilità, come si fa in qualsiasi organizzazione produttiva di media dimensione. Soltanto in questo modo si potrà valutare concretamente l’operato pubblico e la risposta privata alle azioni intraprese. Il resto è retorica.
Yayoi Kusama, All the Eternal Love I Have for the Pumpkins, 2016. LOVE, Installation view at Chiostro del Bramante, Roma 2017 Photo Giovanni De Angelis
- Politica di empowerment dell’offerta
Prevedere delle formule che siano in grado di rafforzare anche l’offerta culturale del nostro Paese. La visione attuale è tutta incentrata sul rafforzamento della domanda attraverso meccanismi di incentivi al consumo. Combinare quest’approccio con una politica di rafforzamento dell’offerta significa, in parole semplici, fornire uno stimolo a consumare cultura e migliorare il livello dei prodotti e dei servizi offerti. In altre parole, significa favorire interamente lo sviluppo culturale e creativo. L’assunto da cui muove una politica di empowerment della domanda è che l’offerta culturale sia già coerente con le aspettative della domanda e che ci siano fattori esogeni (nella fattispecie, una scarsa disponibilità di risorse economiche) che facciano registrare uno scarso consumo. Allo stato attuale, tuttavia, anche importanti, sono lacunosi sul lato dell’offerta. Se non si adotta una politica volta a migliorare tale lato del mercato (sia in termini qualitativi che quantitativi), il risultato è scontato: i consumi finiranno quando termineranno gli incentivi.
Pinacoteca di Brera
- Snellimento della burocrazia
Sebbene questo sia un tema che è comune a tutti i settori produttivi del nostro Paese, la presenza di numerosi attori pubblici (siano essi pubblici a tutti gli effetti o privati a completa proprietà pubblica) in questo comparto, rende ancora più delicato e centrale il tema dello snellimento delle procedure burocratiche. La grande presenza di committenza pubblica, inoltre, rende ancora più centrale il tema della puntualità dei pagamenti: molte imprese culturali e creative si trovano in difficoltà strutturali nonostante vantino crediti nei riguardi della pubblica amministrazione. La previsione di un meccanismo di credito che garantisca la puntualità dei pagamenti (senza onere alcuno per le imprese) è centrale.
- Integrazione Interministeriale e definizione di Politiche Industriali.
Tutte queste operazioni esulano le competenze detenute all’interno delle strutture politiche deputate allo sviluppo culturale. La maggioranza delle competenze verte, infatti, su materie di stampo umanistico (come giusto che sia). Riuscire ad integrare personale di questo tipo con personale a più stretta competenza economica e di management è tuttavia un’esigenza che non è più possibile rimandare. Se la cultura deve essere anche produttività, allora è necessario che ci sia una competenza diffusa su tutti i livelli della struttura organizzativa, e una sensibilità diversificata (che non renda, in termini meno eufemistici, il Ministero e le soprintendenze una roccaforte di “conservatori” incapaci di creare un dialogo con le nuove forme di produzione culturale in atto).
Di desiderata da inserire nell’elenco ce ne sarebbero tantissimi, ma pensare che in un solo anno si assista anche ad una soltanto di queste trasformazioni è già di per sé una visione ottimistica e quasi sognante. Teniamoci dunque nell’alveo delle urgenze. Ognuna di queste azioni potrebbe migliorare le condizioni di vita di tantissime persone (maggiore capacità produttiva, maggiore reddito, maggiore gettito, maggiori servizi). Senza di queste, però, avrà sempre ragione chi dall’Italia se ne scappa in gioventù per potersi permettere di viverla in pensione e non fare come chi, per contribuire alla sua crescita è restato nel nostro Paese, e adesso che è in pensione è costretto ad emigrare.
Stefano Monti
Buongiorno, Stefano Monti é sempre preciso e attento nelle sue analisi, manca però un dato significativo ed é : LA SFIDA la pubblicazione in corso in prima mondiale on line su http://armellin.blogspot.com di The Opera 1983/1985 di Stefano Armellin, dove si dimostra che già nel XX° secolo Stefano Armellin aveva riportato l’arte contemporanea italiana in cima al mondo. Ecco il vero botto del Capodanno 2018. AUGURI !