Ecco uno dei progetti architettonici più rilevanti in assoluto nella storia recente, non solo della città veneziana, ma anche del contesto italiano, e il cui impatto su scala territoriale locale potrebbe avere davvero avere esiti eclatanti. Di che si tratta? Di un rarissimo nuovo edificio a funzioni culturali e museali, anche se quest’ultima definizione va stretta all’M9, a meno di non intenderla in un modo molto evoluto, cioè liberando l’idea di museo dalla tradizionale collezione permanente di opere e manufatti a scopo conservativo. Sorgerà a Mestre, cioè nella terraferma veneziana, o meglio in quella ampia area urbana, residenziale e industriale comprendente anche Marghera, e che costituisce quella parte moderna del comune veneziano ampliatasi progressivamente dai primi anni del Novecento fino a contare oggi circa 170mila abitanti. Sorgerà a Mestre in un’area centralissima, dove già vi sono delle presenze di rilievo: il Centro Culturale Candiani con adiacente un nuovo multisala hi-tech, la biblioteca civica anche questa in fase di ampliamento e locata in una villa settecentesca, un teatro molto frequentato.
Dunque, non si tratta di una “cattedrale nel deserto”, semmai di uno step importantissimo per la riqualificazione di un’area urbana che si troverà a giocare nel prossimo futuro un ruolo di raccordo territoriale nevralgico, essendo Venezia una delle dieci nuove città metropolitane italiane. M9 – Trasforming the city (che ha richiesto un investimento di decine di milioni di euro) viene presentato come evento collaterale della 14. Biennale di Architettura, nella sede della Fondazione di Venezia (soggetto promotore dell’intera iniziativa), anticipando di qualche giorno la posa della prima pietra a Mestre.
Il duo anglo-tedesco, composto da Matthias Sauerbruch e Louisa Hutton ha vinto nel 2010 la selezione internazionale per la progettazione e ora a Venezia presenta esaustivamente la concezione e le caratteristiche della nuova struttura. Si comprende bene, guardando i materiali esposti, come uno dei motivi, tutt’altro che secondario, che deve aver convinto la giuria a scegliere questo progetto fra i cinque finalisti, sia stata la sensibilità urbanistica, e non solo architettonica dell’opera. Collocato in un’area centralissima, ma relativamente nascosta dentro il tessuto urbano, l’M9 non gode di visibilità diretta dalle principali strade di accesso della zona. La collocazione dell’edificio ha tenuto conto di questa problematicità generando un percorso per raggiungere il museo molto coerente rispetto al contesto urbano. L’intervento è stato sdoppiato in due volumi – uno più piccolo per il back office e servizi complementari, il secondo che contiene la vera e propria sede museale – generando così una via di attraversamento e una piazzetta quali elementi di raccordo e aggregazione.
L’area su cui insiste la nuova edificazione ha una estensione complessiva di circa un ettaro, comprende più edifici di epoche diverse, che faranno parte del recupero complessivo e verranno destinati a funzioni commerciali anche con lo scopo di coadiuvare i costi di gestione della struttura.
L’edificio, con il riconoscibile “marchio di fabbrica” di Sauerbruch-Hutton, cioè la pelle policroma in elementi modulari in ceramica, ha di per sé un appeal notevole che rende, ad esempio, ben percepibile a Monaco di Baviera in un’area pur densissima di istituzioni museali di grande rilievo, la sede del Museum Brandhorst, realizzata dal duo e inaugurata nel 2009. Anche nel caso di Mestre si tratta di un’opera che marca in modo deciso la sua presenza nel contesto urbano, ma senza arroganza; i volumi sono compatibili con l’esistente, e la sorprendente policromia è stata elaborata a partire dalle campiture di intonaci tradizionali presenti nella zona. Non solo l’impatto estetico, ma anche la qualità tecnica è notevole, a partire dai materiali usati fino ai sistemi di cogenerazione energetica e di illuminazione. Un edificio che testimonia bene l’evoluta sensibilità ambientale dell’architettura contemporanea.
Se questo è in sintesi il progetto architettonico è evidente che la scommessa del M9 non riguarda solo la pur brillante prova di Sauerbruch e Hutton, ma l’innovatività del contenuto. Cioè, l’M9 non vuole essere un museo nel senso abituale del termine. Aspira piuttosto ad essere una macchina culturale di nuova concezione, nata da un intenso confronto con altre istituzioni internazionali vocate a cogliere, a documentare e a restituire al pubblico, i più diversi aspetti della vita quotidiana.
La tematica fondamentale del museo è il secolo scorso, la cui problematicità ha profondamente segnato, a volte in modo drammatico, la storia, la società, l’ambiente del veneziano, così come di analoghe aree in giro per il mondo. Tre gli elementi principali ricavati dallo stesso nome/logo dell’istituzione: M900 (black box di 2600 mq su due livelli, articolato in più ambienti) dedicato ad una intensa rilettura del nostro passato prossimo attraverso snodi tematici esemplari; MAMA, con auditorium, mediateca e aula didattica; M000 (a luce naturale, di circa 1300 mq su un unico livello) che ospiterà mostre temporanee. La scommessa maggiore, contenutisticamente parlando, è proprio nella costruzione di percorsi analitici che restituiscano la complessità del Novecento, senza rinunciare, anzi, ad una capacità di sedurre lo spettatore, per attivarne la prospettiva critica ed aumentarne il livello di consapevolezza verso il proprio presente. Un’istituzione dunque a scopo ‘didattico’, da intendere in un senso molto ampio, un progetto/processo di permanent learning che ha fatti propri i linguaggi contemporanei per stimolare una diversa e più attiva relazione fra istituzione e pubblico. Volutamente fra i molti contenuti previsti – e non è scelta dovuta alla sola (comprensibile) considerazione della presenza vicinissima di un centro storico nonché vetrina internazionale quale è Venezia- si è evitato di parlare di arte. Non perché non se ne potrà parlarne, o non si potrà eventualmente esporla, magari nella sezione temporanea, ma perché l’idea di fondo è quella di emanciparsi dall’istituzione dedicata all’arte, per andare verso una nuova dimensione del contenitore culturale contemporaneo. È chiaro che è su questa particolare temperatura che si gioca il futuro del M9, discreto e deciso nella concezione urbanistica e architettonica, quanto, per quel che riguarda la concezione culturale, ambizioso al punto di voler diventare un punto di riferimento a livello nazionale.