Che figura facciamo con la prossima Biennale? |

di - 13 Febbraio 2017
Come sarà la Biennale Viva arte viva, di Christine Macel? di sicuro non facile, visto le già numerose critiche raccolte dal progetto sia sulla stampa che sui social. Ambizioni geopolitiche e culturali, decentramento della cultura occidentale e ritorno agli artisti, con una strizzatina d’occhio ai colori ed alle emozioni, la curatrice francese vuole proporci una visione ben diversa da quel cuore di tenebra messo in piedi da Okwui Enwezor. Con questi ingredienti è possibile sfornare un buon prodotto, ammesso che tutto sia miscelato a dovere e nelle giuste proporzioni.
Giudicare quello che ancora non si è visto è impossibile, è però possibile spostare l’attenzione sul drappello degli artisti italiani presenti all’interno del progetto, sarebbe a dire Irma Blank, Giorgio Griffa, Riccardo Guarneri, Maria Lai, Salvatore Arancio, Michele Ciacciofera. Vorrei che ognuno di noi riflettesse su questi nomi, poiché questo rappresenta il biglietto da visita della nostra arte all’estero, almeno per questa edizione. Il compito di un curatore della mostra centrale della Biennale porta con sé delle precise responsabilità che questa lista sembra glissare del tutto, condannando altri nomi ben più meritevoli al solito oblio. Il discorso della scena italiana ormai stantia, con poco coraggio che lascia indietro i giovani non finirà mai se si avallano queste scelte. Fortuna vuole che quest’anno il padiglione nostrano è stato affidato ad una competente Cecilia Alemani che ha drasticamente ridotto il numero di artisti partecipanti rispetto alle precedenti edizioni, selezionando tre giovani e bravissimi protagonisti della nostra scena quali Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi e Adelita Husni-Bey. Tre numero perfetto, importante perché l’ultimo padiglione con meno di trenta artisti e con un serio progetto curatoriale è stato quello curato da Ida Giannelli nel 2007 con Giuseppe Penone e Francesco Vezzoli.

Le scelte operate all’interno dei padiglioni Italia degli anni passati hanno senz’altro contribuito a creare un’idea falsata della nostra scena artistica, ecco perché quando i curatori stranieri sono chiamati a selezionare un artista italiano preferiscono ripiegare su artisti istituzionalizzati come Irma Blank, Giorgio Griffa, Riccardo Guarneri e Maria Lai. Parlando in termini di mercato, è impossibile negare che una selezione avveduta non può non tenere conto anche dei pesi e delle misure spostati da ogni singolo artista. Per questo la presenza di un nome come Michele Ciacciofera è senza dubbio quello che si potrebbe chiamare una scelta del tutto singolare.

Responsabilità si diceva, ed una mostra centrale della Biennale di Venezia non è Sanremo Giovani, i nomi vanno soppesati con estrema accortezza senza rischiare di buttare dentro alla mischia, solo per questioni amicali, dei parvenu che potrebbero creare estrema confusione. Già perché il problema del “e questo chi è?” non siamo solo noi a porcelo bensì la critica internazionale tutta, la quale ha già condannato all’indifferenza le nostre scelte passate. Personalmente credo che un progetto così articolato come quello di Christine Macel dovrebbe avere tutti gli ingranaggi ben oliati, non si può pensare di inserire un artista alla chetichella sperando che nessuno noti l’ingranaggio sdentato. Il problema è che al minimo intoppo l’intero motore si blocca ed allora una mostra centrale non può permettersi di avere nemmeno una piccola sbavatura, non un leggero passo falso. Sui gusti si può discutere ma sulle scelte inopportune, no.
Senza nulla togliere ai selezionati, cui vanno le mie più sentite felicitazioni, mi sembra impossibile credere che non si potesse fare qualcosina in più, operando scelte più oculate come quelle fatte da Cecilia Alemani. La nostra scena dell’arte contemporanea ha numerose energie che potrebbero spegnersi se non facciamo qualcosa ora, ma l’Italia di Christine Macel rischia di complicarci non poco il lavoro.
Micol Di Veroli

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  • Condivido questo articolo e non a caso avevo proposto in modo provocatorio di creare un Padiglione Italia che fosse una sorta di talent show intelligente. Un primo mese creare una grande installazione dove dialogare con gli artisti e con il pubblico e nella parte restante del tempo selezionare un solo artista che fosse emerso da questo dialogo tra artisti pubblico e giuria. Ecco la petizione che avevo lanciato: https://www.change.org/p/cecilia-alemani-padiglione-italia-2017-presso-la-biennale-di-venezia-2017?recruiter=477519206&utm_source=petitions_show_components_action_panel_wrapper&utm_medium=copylink

  • Assegnare la responsabilità di una figura barbina dell'arte italiana alla curatrice della mostra internazionale della biennale è, a mio avviso, riduttivo non del tutto rispondente ai fatti e trovare un alibi. la lettura che facciamo degli artisti scelti ovviamente è quella dal punto di vista italiano: solo 5 artisti. ma in una esposizione internazionale che vuole mostrare l'arte del mondo, forse sono anche tanti. quindi perché non segnalare la presenza ben 18 artisti americani? o perché solo uno del vietnam? e quello del libano rappresenta appieno il libano? il curatore ovviamente fa la sua scelta discutibile e criticabile ma effettua attua una scelta. se la rosa offerta è ristretta forse non potrebbe essere più opportuno ribaltare la visione e domandarsi: come mai la sua scelta è caduta su quegli artisti? cosa è accaduto? forse non ci rappresentano a noi che viviamo l'arte italiana tutti i giorni, ma fuori? Forse si dovrebbe fare una seria analisi di come gli addetti tutti compiono il proprio lavoro (troppo spesso secondo dettami amicali che di sostanza) no?

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