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01
aprile 2017
Ciao Exibart. Le parole per dirlo
Politica e opinioni
Per me comincia una nuova storia, ma volevo salutare tutti. E raccontare, un po’ dietro le quinte, la mia storia con questa carissima testata
Forse è dai tempi di scuola che non mi ritrovo nell’imbarazzante situazione del vuoto di fronte alla pagina bianca, lo schermo bianco, in questo caso, del computer. Cosa dire, come raccontare questi cinque anni, come salutare questa intensa, coinvolgente, a volte molto complicata esperienza di questi miei intensi, coinvolgenti, a volte molto complicati cinque anni e oltre di Exibart? Senza parlare troppo di me, perché mettermi in primo piano, specie quando scrivo, non mi è mai piaciuto, fedele a una vecchia e sana lezione di giornalismo (ormai in disuso) secondo la quale chi scrive deve fare un passo indietro per privilegiare ciò di cui scrive.
Bene, poiché non so proprio da che parte cominciare, perché le cose sono tante, soprattutto le emozioni, poiché l’affetto che sento e che provo in questo momento è tantissimo, e per me la componente affettiva è sempre stato il requisito numero uno per fare bene il lavoro, stavolta, contravvenendo alla sana regola giornalistica, comincerò proprio da me stessa.
Quando ho iniziato l’avventura di Exibart ero in un momento particolarmente difficile della mia vita, ero attratta dalla cosa ma anche perplessa e, con quella dose di incoscienza che spesso mi contraddistingue nelle mie scelte, ho iniziato, forte soprattutto del sostegno di alcune persone, all’inizio i miei amici, che mi hanno spinto con molta forza, molta più di quello che io avevo, a intraprendere questa avventura.
Il loro sostegno, concretizzato in: “Vai, se non lo fai tu, chi altri può farlo? E noi ci saremo”, è stato decisivo. Se non fosse stato per Ludovico Pratesi, Fabio Cavallucci, Raffaele Gavarro, Paola Tognon, Paola Ugolini, i miei amici da sempre, io la direzione di Exibart non l’avrei mai presa. Exibart, testata che avevo sempre seguito e apprezzato fin dalla sua nascita, alla fine del 2011 non era più il sito che aprivo ogni mattina per sapere che cosa fosse successo nel mondo dell’arte. Non mi interessava più. Perché, allora, avrei dovuto occuparmene?
Sono stati gli amici a convincermi e, grazie a loro, le esitazioni si sono sciolte. E ho cominciato. All’inizio era una terra pressoché bruciata: due o tre collaboratori, una macchina ferma, una storia sgonfia, una proprietà ben poco affidabile di cui (per la mia solita incoscienza) non avevo verificato solidità e correttezza, una concorrenza molto agguerrita, qualcuno che gufava perché la testata morisse e, possibilmente, io con lei.
L’ingresso di Matteo Bergamini, da me assunto in dieci minuti, poi di Ginevra Ferrara Pignatelli, di Federico Pazzagli e di Roberta Pucci, la conferma, preziosissima, di Elena Percivaldi, l’unica che, insieme a Marianna Agliottone, non aveva abbandonato la nave in disarmo per imbarcarsi in Artribune, cominciarono a poco a poco a cambiare le cose. Decisivo è stato il cambio della proprietà nel 2013, poi l’arrivo in redazione di altre figure: Giulia Testa ai social network, da qualche mese sostituita da Nicoletta Graziano, l’aiuto generoso di Mario Francesco Simeone, infine Cesare Biasini Selvaggi. Con molta, molta fatica le cose hanno cominciato ad andare.
La linea editoriale? A questa domanda che in molti mi hanno rivolto in questi anni, alla fine ho sempre risposto semplicemente così: “Faccio quello che vorrei trovare io in una rivista d’arte. Più veloce online, più approfondita su carta”. Aggiungendo di voler tenere insieme – a volte virtuosismo da equilibrista – informazione e contenuti, volendo dare spazio agli artisti e curando la scrittura, mia vera ossessione, e meglio della redazione, spesso e volentieri bacchettata, non lo sa nessuno. Senza debordare nel gossip, che non è il mio forte anche se so che tira parecchio e soprattutto piace in epoca di social.
Ho iniziato con un primo Exibart on paper, lo smilzo numero 77, presentato ad Artefiera di Bologna di 72 pagine, in un clima di incredulità e sentendomi molto fiato sul collo: “Ce la farà? Vedremo”. E sono particolarmente orgogliosa di congedarmi oggi, durante Miart, presentando un ricco cartaceo di 136 pagine, il 97esimo. Un numero bellissimo, secondo, me, il migliore che penso di aver mai realizzato grazie al preziosissimo contributo di tanti collaboratori. Oggi Exibart ne conta circa 100, di collaboratori, quasi tutti in Italia e qualcuno all’estero. Molti amici, ma soprattutto giovani bravi, a volte sorprendentemente bravissimi, che hanno scelto noi meno visibili ma, forse, più affidabili. E non dico tutto questo per narcisismo, ma perché se c’è una cosa di cui vado assolutamente fiera è di aver costruito un patrimonio umano e professionale semplicemente fantastico. Mosso da un entusiasmo e da una serietà fuori dal comune, con punte di nomi autorevoli e una realtà estesa di giovani, spesso alle loro prime armi di critica e di scrittura. Una di quelle cose che fanno – finalmente! – rimangiare quello che spesso si dice dei giovani: impreparati, “bamboccioni” (come ebbe dire il tal ministro), spenti. La squadra di Exibart, con in testa Matteo Bergamini che oggi prende meritatamente il mio posto, è semplicemente impareggiabile. Con ogni tanto anche qualche aneddoto divertente, tipo quello relativo a un collaboratore (senza fare nomi, ma lui sa di chi parlo) dietro il cui nome pensavo si celasse un vecchio e bravo giornalista, che mi aiutava in incognito ma anche mi prendeva in giro fingendosi “giovane collaboratore”. Poi, una volta l’ho incontrato e ho visto che veramente aveva trent’anni o poco più. Ed era così bravo!
Questa squadra straordinaria è nata ed è stata messa in piedi insieme ai miei più stretti collaboratori. Ed è soprattutto questo il patrimonio, accanto al lavoro svolto in questi cinque anni, su cui la testata oggi può contare. Insieme a una situazione economica più serena e a tante idee di sviluppo per le quali sarò onorata di dare ancora il mio contributo da consulente.
Da oggi comincia una nuova avventura, per la quale mi è piovuta addosso un’alluvione di incoraggiamenti, di stima e … di attese, cosa che un po’ mi preoccupa e per cui spero di essere all’altezza. La fiera ArtVerona è una cosa che ho imparato ad apprezzare in tre anni di collaborazione e che non voglio deludere nella fiducia accordatami.
Ora però non è la sede per parlarne, oggi voglio salutare il mio Exibart, sebbene in questa maniera un po’ irrituale e forse addirittura sbagliata. I lettori prima di tutto, i collaboratori, gli amici. Questo bellissimo mondo che mi ha dato tanto e che ho tanto amato. Grazie a tutti, vi abbraccio forte e a presto!
Adriana Polveroni
potevi far meglio. ma molto meglio.
Grazie Adriana, per la sempre tua gentilezza , professionalità e disponibilità . Ti auguro buon lavoro.
Saluti e tante belle cose ancora
Carissima Adriana,
un grazie sincero per il tuo lavoro “invisibile” di questi anni. Noi usufruitori della testata online quando leggiamo e approfondiamo le notizie pubblicate poniamo poca attenzione al nome di chi le firma; e non va bene perchè è solo grazie a Voi e al vs. lavoro che possiamo approfondire le ns. conoscenze. Exibart è una testata molto ben realizzata, sempre puntuale nel ricordarci mostre e manifestazioni. Io mi interesso di fotografia e solo grazie ad Exibart ho potuto visitare mostre, acquistare libri, conoscere nuovi artisti.
Grazie ancora, e buona fortuna per la nuova avventura.
Luigi Ciannamea
Cara Adri, mi dispiace che non sei più il mio capo di exibart. Ricordo ancora quando parlasti, anni fa a Siena di editoria web da allora il tuo sguardo e il tuo sorriso sono sempre stati un riferimento di affidabile tenacia e intelligente ironia ti seguirò ancora come amico e come fan. Un abbraccio e in bocca al lupo. Marcello