-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
CINEMA DELL’IRREALTÀ
Politica e opinioni
di christian caliandro
Nostalgia. Amnesia storica. Tutti tic iper attuali. Che si sublimano in ‘stili’ cinematografici votati –lo diceva pure Rosalind Krauss in tempi non sospetti- all’artificalità. Insomma, il cinema è tutto fatto al computer. C’è da rassegnarsi alla manipolazione?
Nostalgia. Amnesia storica. Tutti tic iper attuali. Che si sublimano in ‘stili’ cinematografici votati –lo diceva pure Rosalind Krauss in tempi non sospetti- all’artificalità. Insomma, il cinema è tutto fatto al computer. C’è da rassegnarsi alla manipolazione?
È ormai un dato acquisito. Gli effetti speciali e l’animazione digitale hanno invaso il cinema contemporaneo, e con quello la vita quotidiana di qualche miliardo di esseri umani, contribuendo ad acuire sempre di più lo scarto tra realtà fisica e artificialità a favore di quest’ultima. A modificarsi velocemente, infatti, è la percezione stessa che l’individuo -preferibilmente giovane o giovanissimo- ha del mondo circostante e del suo funzionamento. [1]
In riferimento al cinema come territorio principale di questa trasformazione, già sette anni fa la critica e teorica dell’arte Rosalind Krauss si era posta il problema del pensionamento anticipato di questo medium concepito in senso tradizionale: “Nello stesso momento in cui ha reso l’animazione CEL completamente fuori moda, il computer ha anche sorpassato il cinema basato sulla fotografia, il tipo di film che aveva dichiarato il suo legame indicale con le contingenze di tempo e presenza, il genere che Cavell ha chiamato ‘proiezioni automatiche del mondo’. (…) Il rintocco funebre che oggi risuona da ogni parte, che il cinema sia invaso o sostituito dalle tecnologie digitali, segnala il suo rapido passaggio all’obsolescenza”. [2]
A questo va aggiunto il problema, ancora poco studiato, dell’ “obsolescenza prematura” dei nuovi effetti digitali. Basti notare come appare oggi sul piccolo schermo, per esempio, Il Signore degli Anelli (2001-2003) di Peter Jackson: le figure sembrano letteralmente incollate sugli sfondi, e l’intera trilogia, dal punto di vista formale, ha già un’aria terribilmente lontana e fuori moda. D’altra parte, Il Signore degli Anelli ha inaugurato l’ondata di fantasy -non solo cinematografico ma anche, per esempio, letterario- che ha caratterizzato gli ultimi anni.
C’è infatti nella nostra epoca una fortissima esigenza di evasione verso mondi immaginari, colta prontamente anche da un esperto in materia come Bruce Sterling: “La fantascienza può fare benissimo a meno del futuro. Anzi, sul nostro mercato spesso il futuro è un peso morto: le opere che vendono meglio al botteghino della fantascienza contemporanea non sono vicende avveniristiche ma storie fantasy – Guerre stellari, Harry Potter, Il Signore degli Anelli. Sono spettacoli di massa a base di mitologie fiabesche, effetti speciali fantastici e favolose scenografie. Tutta roba che la gente divora avidamente e che già solo grazie alla vendita dei gadget da collezione dà profitti colossali, ma che non ha nulla a che vedere con le pressanti realtà del domani.” [3]
La tendenza all’evasione alla base del boom recente della fantasy e gli effetti speciali ad essa collegati rappresentano i corrispettivi tematici e tecnologici di altre pulsioni tipiche di questo periodo, come la nostalgia e l’amnesia storica. L’evasione consente il disimpegno, soprattutto nei confronti della progettazione del futuro. In quest’ottica è possibile riconoscere ed inquadrare un vero e proprio filone cinematografico, che intreccia proprio fantasy e realtà storica. Alcuni esempi sono I fratelli Grimm e l’incantevole strega (The Brothers Grimm, 2005) di Terry Gilliam, Il labirinto del fauno (2006) di Guillermo del Toro, ambientato nella Spagna del 1944, e soprattutto lo strabiliante 300 (2007), versione cinematografica della celebre graphic novel di Frank Miller ad opera di Zack Snyder, già autore dell’ottimo remake romeriano L’alba dei morti viventi (Dawn of the Dead, 2004).
La battaglia delle Termopili (191 a. C.) viene completamente trasfigurata, al punto che non ha alcun senso -e diventa addirittura controproducente- cercare tracce di fedeltà storica. Tecnicamente, il film si inserisce nella linea già tracciata da Sin City (2005) di Robert Rodriguez e dello stesso Frank Miller, ed indica in modo indubbiamente efficace la strada che con ogni probabilità seguirà il cinema futuro, almeno nei prossimi dieci anni.
Ma, sulla falsariga della manipolazione dell’oggetto reale, in contemporanea è uscito finalmente in Italia un altro film, indubbiamente con meno fracasso ma con potenza equivalente, se non maggiore, sullo spettatore: si tratta dell’ultimo lavoro di Gabriel Range, Death of a President (2006), definito prontamente da Hillary Clinton -senza che la candidata alla presidenza degli USA l’abbia guardato neanche di striscio- “disgustoso e disprezzabile” [4]. Il regista inglese è ormai un veterano nel genere relativamente giovane del “mockumentary” -che riconosce consapevolmente i suoi illustri antenati nello strafamoso Quarto potere (Citizen Kane, 1941), ma soprattutto in F for Fake (1974) di Orson Welles-, e spiega così il senso della sua operazione: “Una delle cose eccitanti nel fare un film del genere è il fatto di aver usato molto materiale di repertorio e quindi capire quanto si può fare attraverso il montaggio di immagini preesistenti mettendole in un contesto diverso. E forse questo film vuole rendere tutti consapevoli di questo, di questa potenza del montaggio.” [5]
In qualche modo appare chiaro che, in un cinema e in un mondo sempre più dominato da costose e compiacenti operazioni di lifting effettuate sulla realtà, l’unica prospettiva credibile di manipolazione critica delle informazioni si sviluppa secondo la logica debordiana del détournement, vera base del linguaggio creativo contemporaneo.
christian caliandro
[1] Cfr. in proposito V. Tubino, Hollywood e le leggi della fisica, in http://www.corriere.it, 7 marzo 2007: “In effetti nei film sono molte le leggi della fisica che vengono del tutto ignorate. In particolare con l’avvento degli effetti speciali la gente, quasi senza rendersene conto, ha aggiunto al proprio bagaglio di conoscenze alcune convinzioni del tutto erronee, mistificazioni che non potranno mai verificarsi nella vita reale. Ad esempio, durante il terremoto di San Francisco, nel 1989, un autista si è trovato di fronte a una spaccatura nella strada e, invece di inchiodare, ha accelerato tentando di saltarla. Non ce l’ha fatta, perché non stava girando una scena d’azione, e la forza di gravità lo ha fatto cadere dentro la faglia”.
[2] R. Krauss, “La roccia”: i disegni per la proiezione di William Kentridge (2000), in Reinventare il medium. Cinque saggi sull’arte d’oggi, Bruno Mondadori, Milano 2005, p. 146. Su questo argomento cfr. anche S. Cavell, The World Viewed: Reflections on the Ontology of Film. Enlarged Edition, Harvard University Press, Harvard 1979
[3] B. Sterling, Tomorrow Now. Come vivremo nei prossimi cinquant’anni (2002), Bruno Mondadori, Milano 2005, p. 3.
[4] La stessa Hillary, peraltro, è finita vittima di un divertente ed ingegnoso détournement di sapore orwelliano, visibile su YouTube (http://www.youtube.com/watch?v=WF80A4QQ_HE)
[5] G. Perrone, Intervista a Gabriel Range. Prima parte, in: http://www.nocturno.it
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 38. Te l’eri perso? Abbonati!
[exibart]