La parola ‘burlesque’ (vedi l’italiana ‘burla’)
evoca il corpo femminile, alludendo a liquorosi spogliarelli, teatrini
ridanciani, siparietti edulcorati e seducenti teriomorfismi (piume di struzzo,
boa vaporosi, movenze feline, coloratissime livree e manicure artiglianti). Ma
tra numeri di varietà, piccoli carnevali e freak show, il burlesque ha un lungo
genetliaco.
Imparentato con le apparizioni vaudeville
(seconda metà dell’Ottocento), il burlesque è una parodia teatral-musicale nata
nell’Inghilterra vittoriana (sotto l’egida di Madame Vestris). Considerato
intrattenimento d’evasione risqué, non perché basato sullo
striptease (peraltro assente in origine), ma perché dedito alla spettacolarizzazione
dell’ambiguità importata direttamente dalle opere popolari, nelle quali si
scritturavano attrici da inserire in ruoli maschili.
In un suo saggio sulla cultura della working
class londinese, G.S. Jones identifica nella natura del burlesque vittoriano
uno spirito di evasione che celebrava i piccoli piaceri della vita delle classi
lavoratrici, in compensazione a impotenze sociali e politiche. Commedia, vaghi
motivetti e mosse di danza sfidavano l’arte intellettuale e la politica, i
vezzi e i passatempi delle classi alte, attraverso una coraggiosa derisione
delle norme femminili dell’epoca. Solo negli anni ‘20 del Novecento, quando il
burlesque era già stato sdoganato negli Usa, in questi tipi di spettacoli il
corpo della donna venne usato per risollevare cali di audience.
Nel 2007, sempre nel Regno Unito, il Consiglio
Comunale del Nord di Londra ha decretato che tutti i club di burlesque, dato
che “offrivano nudità, proprio come i locali lap-dance”,
avessero bisogno di una licenza per adult-entertainment.
Questo fatto ha riacceso il dibattito sul New Burlesque,
diviso tra l’arte o il semplice stripping. Persino il ben noto Alex Proud
(Proud Galleries) è stato forzato a ridurre drasticamente il numero delle
serate a tema. Ma facciamo un passo indietro.
Negli anni ‘90 alcune artiste spostano l’attenzione dal corpo del
tempo osceno e della presenza del puramente viscerale in sé al rappresentare
come l’era contemporanea creasse corpi senza sé; corpi usati in una dimensione
post-umana, contenitori mediatizzati e pretesti tecnologici (Amelia Jones in Body
Art/Performing the Subject, 1998). In termini di performance, questi concetti erano
tradotti in operazioni artistiche che attraversavano i generi del corpo,
mescolando il suo potenziamento costitutivo (Orlan), le sue nevrosi (Marina Abramovic), le sue impressioni
(Tracey Emin), le sue indecisioni sulla realtà (Vanessa Beecroft), i suoi
maltrattamenti digitali (Merritt), i suoi ritratti di auto-rigetto (Jenny Saville) e le sue denudazioni
(Jemima Stehli). Senza dimenticare Jo Spencer, o I Object di Hannah Wilke, è la nudità del corpo
a renderlo attivatore di estetica e luogo di radicalizzazione dei modi di
vederlo; o di pensarlo. Q
unico oggetto sessuale rappresentato, hanno cercato un’alternativa erotica
della fisicità femminile (cfr. J. Wilson, The Happy stripper. Pleasures and
Politics of the New Burlesque, 2008).
È così che, all’inizio del nuovo millennio, grazie alla
sensibilità avanguardista di alcune performer, la donna ha sperimentato sul
corpo quanto l’immagine del desiderio maschile fosse legata, in maniera
ambivalente, alla rappresentazione sessualizzata del sé. Oggi la scena
dell’arte interpretativa parla di femme,
direttamente dal palcoscenico. Citando humour, parodia, pastiche e commedia come elementi di rilettura delle attuali forme
del desiderio. Attraverso fiere, raduni, contest show e festival (da Londra a
Parigi, da Vancouver a Glasgow, da Helsinki all’Italia, con il recente Roma B.
Festival del Micca Club), la rievocazione interpretativa registra nuovi luoghi
della femminilità.
Figure iconiche come Mistinguett, Gypsy Rose Lee, Blaze Starr,
Lili St. Cyr, Chesty Morgan e Tempest Storm (vedi l’Exotic World Museum),
passando da Miss Sherri Champagne a Sally Rand per arrivare a Immodesty Blaize
o alla ben nota Dita Von Teese, sono diventate modello di messa in scena,
portatrici di codici estetici e politiche del femminile applicate al sorriso
del corpo nudo. È per questo motivo che il Neo Burlesque, in tutto il
mondo, può vantare interventi dal vivo in musei e ambiti dedicati all’arte
contemporanea. Il
fattore dello striptease, ad esempio, è diventato pretesto per una nuova
cultura dell’ispirazione nelle Drawing lessons al Museum of Contemporary Arts di
Sydney. Mentre il corpo satirico del Neo Burlesque, attraverso pose, muse e le loro
coreografie, è diventato commentario sociale delle influenze culturali, anche
per artisti come Lisa Kereszi, Vik Muniz, Orly
Cogan, David Croland, Jessica Craig-Martin, Simone Shubuck o Timothy
Greenfield-Sanders.
Oggi il Neo Burlesque non è più mero
intrattenimento, ma è diventato performing art della strizzata d’occhio,
diorama della rappresentazione, scenografia dello sguardo che alterna la
propria attitudine eversiva alla creazione di convenzioni espressive
dell’esibizione fisica femminile.
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