Parigi, su “le Figaro” il 20/2/1909, Manifesto
del Futurismo con: amore per il pericolo, energia, temerarietà, coraggio, audacia,
ribellione, velocità, elettricità, modernità… Dove si intuisce che “il
mezzo è il messaggio” (Mac Luhan, 1964). Difatti, nel 1912 hanno 350 articoli
su giornali, riviste, cifra impressionante anche per oggi in cui disponiamo di
migliaia di riviste, giornali…
Futurismo che mette al centro la città, luogo e non
luogo della tecnica, elettrico cantiere del presente-futuro, realtà temporanea,
come Sant’Elia che parla di “un’architettura effimera”, punto non terminale di un
processo, continuo flusso che, come la vita, non sta mai ferma. Luogo della
comunicazione, come sottolineeranno le opere degli architetti radicali che
progettano architetture “inutili”, nuovi manifesti critico-semiotici: No
Stop City>Archizoom, Monumento Continuo>Superstudio, City moving>Archigram, o le nuove architetture
di Mendini,
Fuksas,
Nouvel,
Hadid,
Cook, Gehry, ribaltando l’idea
moderna de “la forma segue la funzione” in favore di quella postmoderna
in cui “la forma segue la comunicazione”.
Avanguardia che guarda al futuro e che, unica, ne
porta anche il nome: Futurismo. Anarchici dalla tradizione, per cui bisogna “prostituire
sistematicamente tutta l’arte classica sulla scena, rappresentando per esempio
in una sola
serata tutte le tragedie greche, francesi, italiane condensate e comicamente
mescolate. Vivificare le opere di Beethoven, di Bach, di Bellini, di Chopin,
introducendovi delle canzonette napoletane” (Marinetti). Dichiarazioni che
sembrano detti e azioni della postmodernità, dove l’opera futura è fatta anche
di frammenti anarchici del passato e dal passato, e/o di campionatura di musica
e suoni come nella contemporanea, o nell’elettro-pop, hip hop, rap rumorista e
dalle parole in libertà. Arte giovane fatta da giovani che porta Marinetti a
dire: “I più anziani fra noi hanno trent’anni: ci rimane dunque almeno un
decennio, per compiere l’opera nostra. Quando avremo quarant’anni altri uomini
più giovani e più validi di noi, ci gettino pure nel cestino, come manoscritti
inutili. – Noi lo desideriamo!”.
se stessi, in cui inserire Work n° 2931/10 (2003) di Martin Creed, un foglio di carta A4
ridotto a una pallina accartocciata, che mette in opera il desiderio di
accantonamento generazionale marinettiano.
Anarchici e non fascisti, come scrive Gramsci su “L’Ordine
Nuovo” del 5 gennaio 1921 nell’articolo Marinetti Rivoluzionario?: “È avvenuto questo
fatto inaudito, enorme, colossale […] A Mosca, durante il Congresso, il
compagno Lunaciarsky [Ministro della Cultura e poeta, N.d.R.] ha detto in un suo
discorso ai delegati italiani […] che in Italia esiste un intellettuale
rivoluzionario e che egli è Filippo Tommaso Marinetti […] Molto spesso è
avvenuto (prima della guerra) che dei gruppi di operai difendessero i futuristi
dalle aggressioni di cricche di ‘letterati’ e di artisti di carriera […] Sì
la classe operaia aveva e ha la coscienza di dover fondare un nuovo Stato […]
I futuristi hanno svolto questo compito nel campo della cultura borghese: hanno
distrutto, distrutto, distrutto […] hanno avuto la concezione netta e chiara
che l’epoca nostra, l’epoca della grande industria, della grande città operaia,
della vita intensa e tumultuosa, doveva avere nuove forme di arte, di
filosofia, di costume, di linguaggio: hanno avuto questa concezione nettamente
rivoluzionaria, assolutamente marxista […] I futuristi nel loro campo, nel
campo della cultura, sono rivoluzionari; in questo campo, come opera creativa, è
probabilmente che la classe operaia non riuscirà per molto tempo di più di
quanto hanno fatto i futuristi”. A cui aggiungiamo il loro Primo Manifesto politico (1913), nel quale si
sostiene l’abolizione della monarchia, della chiesa, la contraddittorietà delle
banche e dei leader della moda, l’illegittimità dell’autonomia militare e si
chiedeva la socializzazione della proprietà della terra e dell’acqua, il
diritto al divorzio, la giornata lavorativa di otto ore, il diritto di
sciopero, il decentramento regionale, il diritto alla protesta del consumatore,
la pari retribuzione salariale tra uomo e donna.
Ma Marinetti ispirò a Mussolini la capacità
oratoria di galvanizzare le masse anche roteando il busto da destra a sinistra
fermo sulla perpendicolare del corpo, quasi un’anticipazione pelvica
spiraliforme che sarà di Elvis Presley. Marinetti che richiamò Mussolini agli
ideali socialisti e fu anche grazie a esso che non seguì Hitler nel promulgare
l’arte degenerata e nemmeno la censura totale delle avanguardie. Anarchismo
ripreso dall’immaginazione al potere di Surrealismo, Lettrismo e Situazionismo
fino al Sessantotto. Processi della modernità, dove collocare artisti come Fabio
Mauri>indagatore
dell’estetica politica.
Futurismo che troverà ulteriori sviluppi fino alle
culture antagoniste del punk. Le provocatorie e rissose serate e il teatro
futurista erano opere di disturbo linguistico e comportamentale in cui,
nonostante il loro “disprezzo per il pubblico” e “il piacere di essere
fischiati”,
mostrano a specchio l’interesse per il pubblico stesso, che diventava nella
rissa parte dello spettacolo, provocazione non fine a se stessa, ma volta a
farsi pubblicità, diremmo oggi. Del Futurismo, che “è il solo che utilizzi
la collaborazione del pubblico. Questo non vi rimane statico come uno stupido
voyeur, ma partecipa rumorosamente all’azione cantando anch’esso, accompagnando
l’orchestra, comunicando con motti imprevisti e dialoghi bizzarri cogli attori.
Questi polemizzano rumorosamente con i musicanti” (Manifesto del teatro di
varietà).
Attitudine ritrovate in spettacoli-film come The
Rocky Horror Picture Show, dove il pubblico in sala mima le azioni di quanto
avviene sullo schermo o sulla scena. Opera postfuturdadaista e protopunk. Teatro
futurista con attori dai “capelli verdi, braccia violette, décolté azzurro,
chignon arancione, ecc. Interrompere una canzone facendola continuare da un
discorso rivoluzionario. Cospargere una romanza d’insulti, di parolacce, ecc.”. Fino al teatro
sintetico, atecnico-dinamico-simultaneo-autonomo-alogico-irreale fatto di
slogan e sketch; ce n’è quanto basta per capire quanto di tutto questo si è
riversato non solo nel teatro, ma nella pubblicità e televisione.
Dall’Umano, troppo umano Nietzsche parla di una
teoria della vita e della vitalità a cui si rifacevano i futuristi, in cui si
innesta la vita parallela alla vita che, con l’aiuto della tecnica, fa evolvere
l’uomo nella costruzione e nell’estensione della vita moderna dei moderni PPP. Paladini, Pannaggi, Prampolini, che nel 1923 scrivono il
Manifesto dell’arte meccanica in cui si legge: “Sentiamo meccanicamente, ci sentiamo
costruiti in acciaio, anche noi macchine, anche noi meccanizzati […] Dalla
macchina e nella macchina si svolge oggi tutto il dramma umano”. Poi, 1931, nel catalogo
della mostra futurista a Milano, Fillia, Oriani, Diulgheroff e Rosso dicono che le loro opere
parlano di “organismi aerei spirituali […] affermiamo cioè che la
macchina annulla tutto il vecchio mondo spirituale ed umano per crearne un
altro superumano e meccanico, dove l’uomo perde la propria superiorità
individuale fondendosi con l’ambiente“.
Marionette, robot, moloch, androidi, ginoidi,
mecha, cyborg, automi e fin dall’antichità doppi, alter ego di bisogni e
desideri dell’umanità. È il passaggio dalla
modernità meccanica a quella biologica postmoderna e non a caso Prampolini
dipinge nel ‘30 L’automa quotidiano e già nel ‘35 Apparizioni
biologiche.
Sottile passaggio dall’uomo meccanico all’umano biologico. Passaggio che va dal
moderno uomo d’acciaio Superman al postmoderno biologico Uomo Ragno, dall’uomo
venuto dal pianeta Kripton che vola, sale e scende mantenendo solo tre
posizioni moderniste come in un quadro suprematista – verticale, orizzontale e
diagonale – al terrestre Uomo Ragno che, usando la tela di ragno, la rete, si
muove con la flessibilità e la spiralità dell’acrobata e del funambolo come il
vortice di un quadro e/o scultura futurista.
genetica del Dna e alla sua messa in immagine scientifico-anatomica, la doppia
elica a cui non a caso sono state assegnate forme e colori futuristi. Siamo
appena stati nel XX secolo, avanzando in un territorio in cui la tecnica come
fabbricazione e concettualizzazione del mondo si generalizza, estendendosi a
tutto il corpo sociale. Significativo è che i futuristi chiameranno diversi
loro manifesti Manifesto tecnico…
Tempo tecnico moderno, dove il tempo non è più
lineare, ma sostituito dalla rete dell’instant future, multitemporalità e sicretismo
anch’essi dal sapore futurista. Plank, teoria dei quanti, 1900 e Einstein,
teoria della relatività, 1905 aprono la matematica all’infinito e
all’indeterminato, alla geometria non euclidea, permettendo nel 1925 a J.W. Sullivan
di dire che la matematica è soggettiva quanto l’arte e a Marinetti – ne La
matematica futurista su “La Gazzetta del Popolo” del 2 febbraio 1940 – che “il
Futurismo italiano rinnova oggi anche la matematica. La verità scientifica non è
unica quindi è variabile. Il suo spirito creatore Platone credeva nelle
idee viventi, noi nelle immagini poetiche viventi. La nostra matematica
antifilosofica antilogica antistatica […] Applichiamo dunque la meccanica
razionale alla valutazione dei quadri e delle sculture togliendo così
l’osservatore dalla solita posizione statica verticale obbligandolo invece a
girare vorticosamente […] Cinepittura e cinescultura sintetica”. E non sorprende che il
futuro del Futurismo è anche l’arte cinetica che apre all’estetica della
ricezione, dove l’osservatore è dinamicamente impegnato nella realizzazione
dell’opera d’arte, che essendo anche figlia del Futurismo è pur sempre un’opera
aperta.
L’immaginazione senza fili e le parole in libertà (1913) è il manifesto
riferito a poesia e letteratura, ma utile anche per opere video e
cinematografiche, immagini create dalla luce alla velocità della luce. Il
cinema vede la luce nel 1895 prima della radio, 1896, anticipate dalla
fotografia, 1826, e quindi è l’immagine nella modernità ad avere precedenza
sulla parola, rovesciando così lo statement biblico de “al principio era
il verbo”
con “al principio della modernità era l’immagine”. Così il padre della videoarte, Nam
June Paik,
dice che “il Futurismo […] è interessante, perché fu il primo movimento
artistico che esponeva la componente ‘tempo’ e il video è Immagine più Tempo.
Così il Futurismo è stato importante anche teoricamente. Il tempo influenza
l’arte, così nella storia del video occorre ricordare il contributo del
Futurismo”.
Del montaggio parlano nel 1933 su “La Gazzetta del
Popolo” Filippo Tommaso Marinetti-Pino Masnata nel manifesto La Radia: “Noi futuristi
perfezioniamo la radiofonia destinato a centuplicare il genio creatore della
razza italiana, abolire l’antico strazio nostalgico delle lontananze e imporre
dovunque le parole in libertà come suo logico e naturale modo di esprimersi”. Per cui in una civiltà
continuamente fotografata, filmata, registrata, osservata, ascoltata,
intercettata si aggiunge la foto+scrittura+film+disegno, lettere, immagini,
icone, loghi di sms e mms, nuova forma di comunicazione ad ampio spettro
socio-logo-globale, dove pare avverarsi l’idea del futurista Buzzi di film+parole. È la
civiltà postindustriale, o informatica fatta dei nuovi media: cinema, radio,
tv, computer, stampanti, fax, sintetizzatori, fotocopiatrici, registratori,
cellulari che mediano tra noi e il mondo, una psicogeografia mediatica attuata dal
détournement mediale del Blob di Giusti e Ghezzi.
Medialità su cui, ai suoi inizi, prima di questa
capillarità d’info>comunicazione>estetica il Futurismo, sempre ne La
Radia,
diceva: “Possediamo oramai una televisione di cinquantamila punti per ogni
immagine grande su schermo grande. Aspettando l’invenzione del teletattilismo,
teleprofumo, telesapore […] Un’arte senza tempo né spazio senza ieri e senza
domani. La possibilità di captare stazioni trasmittenti poste in diversi fusi
orari”. È
l’odierno instant future dove il Futurismo sembra non esistere, perché quasi tutto
quello di cui parlava è diventato realtà.
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