Qual è il ruolo e quali gli obiettivi del direttore di un museo in Italia? Il ruolo è quello di amministrare, auspicabilmente al meglio; gli obiettivi moltissimi. Dall’incremento del numero di visitatori alla conservazione e movimentazione delle opere, dalla ricerca fondi (sani) all’individuazione di nuove modalità e politiche nella promozione di attività diversificate. Sintetizzato in due parole: tempo e attenzione.
C’è chi decide di instaurare buoni rapporti di vicinato, con altre istituzioni limitrofe, adottando politiche per e con il territorio, anche venendo incontro alle aspettative dei cittadini e non solo degli addetti ai lavori. C’è chi invece strategicamente strizza l’occhio a una programmazione di nicchia ma apprezzata e seguita dal sistema dell’arte, per solidificare contatti con gallerie, curatori, collezionisti (anche stranieri) in vista di futuri incarichi. C’è chi lavora full time come curatore a migliaia di chilometri dall’Italia che viene invitato ad organizzare una mostra dislocata su un territorio specifico nel sud Italia e che, pare, non sia riuscito a trovare neanche il tempo di fare (di persona) il sopralluogo. In quegli stessi luoghi dove avrebbe poi dovuto collocare le opere degli artisti invitati e creare sinergie o cortocircuiti.
C’è anche chi — richiamata a ricoprire un ruolo dirigenziale comunale per un ufficio dedicato all’arte pubblica, e sottolineo arte pubblica e quindi da progettare e installare negli spazi pubblici — ha dichiarato in un’intervista di lavorare, in remoto, a più di 10 ore di volo (diretto).
Ma ci sono per fortuna anche direttori che, con molta probabilità, occupano le loro 24 ore giornaliere a prendersi cura esclusivamente del museo che dirigono. Ne cito due: Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi e James Bradburne, direttore generale della Pinacoteca di Brera. Basta andare a vedere l’incremento e la diversificazione dei visitatori dal loro insediamento, le numerose attività intraprese fuori e dentro Internet, dentro e fuori dal museo, per avere un quadro cristallino del loro operato, del loro impegno e della loro dedizione. Ricordo che Bradburne mi disse che, appena arrivato a Milano, chiedeva ai tassisti se conoscessero la Pinacoteca di Brera e forniva loro informazioni sull’istituzione che dirigeva, uno dei fiori all’occhiello della città — paradossalmente ai tempi ancora poco frequentata dai milanesi e dai giovani — e quindi anche dei suoi cittadini, tassisti compresi. Insomma, i due direttori, entrambi stranieri ma residenti rispettivamente a Firenze e Milano, hanno preso molto seriamente il loro impegno.
I curatori d’arte contemporanea diventati direttori invece hanno probabilmente giornate di 48 ore o sono supereroi o hanno il dono dell’ubiquità. Succede infatti che un neodirettore di un museo statale della capitale, oltre al suo ruolo istituzionale e pubblico, curi o co-curi contemporaneamente mostre in altre istituzioni o segua anche la programmazione espositiva di una fondazione privata. E sottolineo, contemporaneamente. Succede purtroppo anche oltreoceano dove un noto curatore italiano, che ricopre a New York un ruolo chiave di un importante museo (in questo caso sostenuto principalmente da fondi privati), curi mostre per potenti collezionisti che sono anche nel Board of Trustees o tra gli International Leadership Council Members dello stesso museo per cui lavora. La domanda è: come è possibile, anche solo in termini di tempo a disposizione, di energia, di visione, dirigere, e sottolineo al meglio, un museo, che è una macchina complessa, e allo stesso tempo occuparsi di altre realtà (private o meno) e co-curare mostre in altre istituzioni? Fare il direttore di un museo (statale o privato che sia) non prevede che non vi debbano essere potenziali conflitti d’interesse e sovrabbondanza di cariche? In poche parole, un direttore di un museo (pubblico o privato che sia) non dovrebbe fare, responsabilmente, il direttore del museo che è stato chiamato a dirigere? Per poter ovviare a questo forse basterebbe inserire nei bandi di direzione museale una semplice clausola di esclusività. Non è cervellotico: alcuni ligi direttori stranieri in Italia lo fanno già, e molto bene.
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