ECONO-MIA

di - 7 Novembre 2010
Prendere in considerazione “l’ente pubblico o qualsiasi altro fenomeno
della società (ad esempio le associazioni di volontariato o in generale il no
profit) come azienda, non significa affatto far prevalere i principi, la logica
e i criteri di scelta economici (come spesso pensano, auspicano o temono,
scrivono e dichiarano molte persone che hanno responsabilità decisionali nella
società o influenzano la cultura della società e le decisioni di altre persone)
ma significa affermare che il maggiore o minore grado di razionalità con cui si
svolgono i processi di acquisizione di beni economici e di loro destinazione al
soddisfacimento dei bisogni possono contribuire in termini positivi o negativi
al perseguimento dei fini istituzionali, ad esempio di garantire la dignità
della persona umana, la pacifica convivenza di diversi gruppi sociali,
l’esercizio di varie libertà (politica, di libera espressione delle idee, di
mobilità, di tutela dei gruppi deboli, ecc.)
”.

Perché nessun giornalista,
commentatore od operatore culturale, nell’esprimersi circa l’appropriatezza dei
recenti decreti legge (il n. 64 sullo spettacolo e il n. 78 sul contributo alle
istituzioni), parte dal presupposto espresso chiaramente dal professore
bocconiano Elio Borgonovi nel 2000?

Sono convinto che ragionare
sulle caratteristiche economiche di un’istituzione culturale non per forza
debba trascendere il presupposto che tale dimensione rimanga strumentale al
perseguimento delle finalità istituzionali, che nel caso delle organizzazioni culturali
risiede nel contributo che queste danno allo sviluppo umano di una comunità o
di un territorio. Come dice Borgonovi, il fatto di metterlo in dubbio è un
gioco reciproco che fa comodo al legislatore così come al destinatario di tali
provvedimenti governativi.


Il recente libro di Lucio Argano
dal titolo Nuove Organizzazioni Culturali
(Franco Angeli) è tutto concentrato sul tema del change management: la
società è cambiata, radicalmente, e sta continuando in questa evoluzione in
alcuni tratti anche in forme imprevedibili. Le organizzazioni culturali,
proprio per la loro primaria dimensione sociale, hanno il dovere di seguire –
se non anticipare – questo cambiamento.

Bisogna farsene una ragione,
questa strada non può non passare anche per la “razionalizzazione
dell’organizzazione e del funzionamento
sulla base dei principi di efficienza, corretta gestione, economicità ed imprenditorialità” (D.L. n. 64 del 30 aprile 2010, art. 1
comma 1 lett. a).

fabio severino

vicepresidente dell’associazione economia della cultura


*articolo pubblicato
su Exibart.onpaper n. 67. Te l’eri perso? Abbonati!

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