ERGO SUM

di - 1 Novembre 2010
Molti ricorderanno che Videocracy di Erik Grandini fu ostacolato in
tutti i modi. Dava “un’immagine falsa della realtà”, si diceva. Dopo poco più di un
anno il film si prende la sua silenziosa rivincita. La tesi del documentario è
semplice: è bastato immettere nel circuito mediatico una lenta ma costante
serie di spettacolini fatti di idiozie, che si sono propagati irrimediabilmente
fin nelle abitudini quotidiane, per sottomettere un’intera popolazione. È stato
sufficiente provvedere ad alimentare pian piano miti, sogni e desideri,
depoliticizzandone le potenzialità sovversive. Non si desidera più cambiare il
mondo, anche quello personale, ma partecipare a un reality show accompagnati
magari dalle mamme.

Più che il ’68 o il ’77, con le loro utopie rivoluzionarie
di cui si sono perse le tracce, è stato lo spettacolo di massa l’agente che
lentamente ha rovesciato un Paese, mettendolo nelle mani di un manipolo di
affaristi senza scrupoli. È stata la chirurgia estetica dello spettacolo, la
sua violenza psichedelica, la lenta assuefazione al peggio, che ha generato la
più spettacolare mutazione antropologica di un paese. Perché la lenta
trasformazione, come quella che avviene dedicando quotidianamente parte del
proprio tempo alla televisione, non contrasta con nulla, non trova ostacoli, e
dal momento che è anche depoliticizzata e a domicilio, viene assimilata senza
riserve. Non sono i campi di forze contrapposte a generare il profondo
mutamento di uno stato di cose, ma proprio l’assenza di forze visibili,
l’assenza di un progredire immediato ma proiettato sulla lunga durata: è solo
dopo un lavoro di corrosione costante e silenzioso che si avverte la presenza di
un tumore.


Oggi assistiamo increduli all’eversione paramafiosa che
avrebbero praticato i “servizi segreti deviati” collaborando con i mafiosi ad
assassinare i magistrati “scomodi” (altro che “anarco-insurrezionalisti”!),
assistiamo impotenti al collasso dell’economia per estorsione del profitto,
alla difesa della censura per il “bene del popolo”, alla sinistra che
suggerisce alla destra di fare leggi un tantino meno “porche”… I gesti
eclatanti scompaiono subito dopo la loro apparizione, la controriforma silenziosa,
invece, va avanti imperiosa non soltanto nell’economia, ma anche
nell’obbedienza sociale, nei modi di vita. Il fascismo, lentamente, in forma
soft, dopo anni e anni di manipolazione di significati e di linguaggio, di
forzature revisionistiche della storia, di vie e monumenti dedicati ai
truffatori di stato (per la realizzazione dei quali non si sottraggono neanche
gli “artisti”), non è più il nostro male storico, e ritorna non con l’olio di
ricino o col confino, ma sotto forma di corruzione come stile di vita
politicamente condiviso, socialmente ramificato, moralmente tollerato.

Se le rivoluzioni erano catalizzatori di ideali, i regimi
controriformisti a struttura mediatica lavorano per erosione progressiva della
democrazia. Hitler non era un pazzo, ha attuato una Weltanschauung: è stato il nome col quale si
sono materializzati d’un colpo oltre mezzo secolo di lento e progressivo
antisemitismo, di costante culto della storia in termini nazional-patriottici,
di mitologie Volk neoromantiche, di parole chiave come “sangue e terra” quale
culto estremo della “radice germanica”. Tutti ingredienti somministrati a dosi
omeopatiche nell’educazione e nell’immaginario collettivo. L’invenzione della
Padania obbedisce a regole analoghe, i “padani” hanno pure un “nemico” che li
assilla: il “clandestino”.


La censura, si sa, è uno dei pezzi forti delle
trasformazioni silenziose, omettendo di far sapere si priva un popolo di essere
presente agli avvenimenti, lo si priva della “contemporaneità” rifilando
l’intemporalità mitica della propaganda di stato. Stalin lo sapeva, lo sa pure
Putin coinvolto nell’assassinio della giornalista Anna Politkovskaja, che
faceva indagini sulle violazioni dei diritti umani in Cecenia. E lo sa bene
pure il suo grande amico italiano, il “Premier”, che fa sogni da incubo per
ogni Annozero
messo in onda.

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