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20
aprile 2010
FENOMENOLOGIA DI LUCA ROSSI
Politica e opinioni
Un emerito cialtrone o colui che sta mettendo con le spalle al muro il piccolo sistema dell’arte nostrano? L’ennesimo commentatore anonimo di siti e blog o un artista che fa arte attraverso riflessioni amare e preoccupanti? Il fenomeno Luca Rossi, commentatore compulsivo e blogger dissennato, divide gli animi da qualche mese a questa parte. Fabio Cavallucci dà la sua lettura...
Non si sa chi sia
realmente. In ogni caso, Luca Rossi è la personalità artistica più interessante
del panorama italiano di questo momento. Lo è perché, insieme ai contenuti,
rinnova anche il linguaggio. In prospettiva, potrebbe modificare anche il
sistema.
Ma facciamo un passo
indietro, riepiloghiamo i fatti. Circa una decina di mesi fa sui siti d’arte, e
in particolare su Exibart.com,
cominciano a fioccare i commenti di questo anonimo interlocutore.
Contrariamente alla maggior parte delle critiche a cui siamo abituati, quelle
di Luca Rossi sono dirette e personali. Dei giovani artisti è messa in luce la
pochezza, dei curatori sono rivelate le dinamiche che privilegiano i rapporti
amicali, quando non parentali. Ci sono molte imprecisioni, talvolta anche errori
gravi, ma quello che lentamente si costruisce sul blog whitehouse.splinder.com a cui rimandano i commenti è un quadro preoccupante del
sistema dell’arte italiano dove, per traslare le parole del suo autore, “la
mancanza di una vera urgenza artistica finisce per privilegiare solo le
relazioni”.
Le analisi pregnanti,
nel blog, sono tante. Si va dal “turismo culturale” di alcuni artisti di oggi, che senza la spinta di una
necessità profonda girovagano alla ricerca di qualche ideuzza su cui basare il
loro prossimo lavoro, all’“ikea evoluta”
di tanti altri che, sostenuta da qualche citazione modernista, offre come
prodotto artistico un design alla moda senza contenuto. Il blog rivela che gli
artisti più attivi appartengono alla “nonni-genitori foundation”, che in epoca di proliferare di fondazioni artistiche
definisce bene l’istituzionalizzazione del sistema di mantenimento familiare
per i più fortunati. I curatori si appoggiano sui rapporti di gruppo,
facilitano la promozione di giovani artisti in tutta fretta, senza la
necessaria selezione basata sul confronto. Tutti, a causa della loro
precarietà, manifestano armi spuntate, non certo favorevoli a una vera
evoluzione artistica. Insomma, ne esce l’immagine di un sistema che, prendendo
la citazione dai recenti fatti di cronaca giudiziaria, potremmo definire “gelatinoso”.
Di fronte alle critiche
di Luca Rossi, gran parte del mondo dell’arte si trincera dietro l’indifferenza
astiosa o l’aperta ostilità, favorite, ammettiamolo, da qualche analisi
imprecisa di quello che perlopiù viene liquidato come un bastian contrario,
come un artista fallito. Molti si mostrano unicamente curiosi di capire chi si
nasconda dietro al nome fittizio, sintomo di quanto il gossip, la notizia
piccante, sia ormai entrata visceralmente nel sistema dell’arte. Qualcuno,
piano piano, comincia a mostrare interesse, quando non aperta adesione ai
contenuti che Luca Rossi sta evolvendo sul blog whitehouse.
Fin qui la pars
destruens, la parte distruttiva del
sistema Luca Rossi. Ma l’aspetto più interessante è certamente quello
costruttivo, quello che finora ha raccolto la minor attenzione. A corredo dei
commenti e delle riflessioni che si assemblano nel blog, in una continua
riedizione che talvolta riporta a galla vecchie riflessioni e immagini, si sviluppa
il suo lavoro più prettamente artistico. Ciò accade quando Luca Rossi, ad
esempio, cancella le opere dalle immagini dei luoghi dell’arte e lascia gli
spazi vuoti, silenziosi. L’interno della Galleria Zero… con le opere rimosse
in Photoshop, o quello della Gagosian di New York fotografato – non si sa come
– di notte, manifestano un silenzio assordante. Il vuoto, l’assenza, l’attesa
sono il centro di questi semplici esercizi grafici di Luca Rossi. Che comunque
non vivono da soli, autonomamente, ma manifestano la loro esistenza ergendosi
sui piedistalli dei testi che li accompagnano, così da dare completa attuazione
a quella mescolanza di funzioni che ormai da tempo caratterizza il mondo
dell’arte, dove artista, curatore, gallerista sono ruoli intercambiabili, o
comunque sempre più confusi.
L’utente, di fronte
allo schermo luminoso del suo computer, entra in dialogo diretto con il lavoro,
in qualche modo partecipa alla costruzione mentale dello stesso. È come
un’opera peer to peer, basata sulla
partecipazione del singolo, che si espande con internet ma privilegia il
rapporto uno a uno. Talvolta questi lavori si materializzano all’esterno, nella
realtà: come quando Luca Rossi invita i lettori del blog a prenotare una pizza
per l’inaugurazione di una mostra alla Galleria T293 di Napoli o alla Galleria
De Carlo di Milano. Lo spettatore entra realmente nella costruzione dell’opera:
il momento dell’attesa della pizza, per il singolo utente che l’ha richiesta,
si riempie di un tempo ricco di aspettativa, e quel senso generico di attesa si
fa durata, intima partecipazione all’evento.
Si potrebbe pensare che
si tratti, come in tanti altri casi, di institutional critique, di una critica dall’interno del sistema. Invece questo è
solo il primo livello di lettura, perché il lavoro di Luca Rossi è metafora
della situazione generale della nostra società. Non sono forse l’assenza e
l’attesa gli aspetti che più contraddistinguono oggi la nostra condizione? Non
viviamo tutti forse sentendo che qualcosa ci manca, nell’aspettativa di
un’epifania, di un cambiamento che ci sollevi dallo stato di malessere
individuale e sociale? In questi anfratti si insinua il lavoro di Luca Rossi,
che ora medita anche sulla lontananza. E realizza una preghiera quotidiana
perché accada qualcosa dall’altra parte dell’Oceano. Partecipa senza invito
alla Biennale del Whitney: il lavoro è una preghiera di quando era bambino,
nella convinzione che il pensiero, da solo, possa muovere le cose.
Dunque, stiamo a
vedere, magari qualcosa accadrà. In fondo qualche cosa è già successa.
realmente. In ogni caso, Luca Rossi è la personalità artistica più interessante
del panorama italiano di questo momento. Lo è perché, insieme ai contenuti,
rinnova anche il linguaggio. In prospettiva, potrebbe modificare anche il
sistema.
Ma facciamo un passo
indietro, riepiloghiamo i fatti. Circa una decina di mesi fa sui siti d’arte, e
in particolare su Exibart.com,
cominciano a fioccare i commenti di questo anonimo interlocutore.
Contrariamente alla maggior parte delle critiche a cui siamo abituati, quelle
di Luca Rossi sono dirette e personali. Dei giovani artisti è messa in luce la
pochezza, dei curatori sono rivelate le dinamiche che privilegiano i rapporti
amicali, quando non parentali. Ci sono molte imprecisioni, talvolta anche errori
gravi, ma quello che lentamente si costruisce sul blog whitehouse.splinder.com a cui rimandano i commenti è un quadro preoccupante del
sistema dell’arte italiano dove, per traslare le parole del suo autore, “la
mancanza di una vera urgenza artistica finisce per privilegiare solo le
relazioni”.
Le analisi pregnanti,
nel blog, sono tante. Si va dal “turismo culturale” di alcuni artisti di oggi, che senza la spinta di una
necessità profonda girovagano alla ricerca di qualche ideuzza su cui basare il
loro prossimo lavoro, all’“ikea evoluta”
di tanti altri che, sostenuta da qualche citazione modernista, offre come
prodotto artistico un design alla moda senza contenuto. Il blog rivela che gli
artisti più attivi appartengono alla “nonni-genitori foundation”, che in epoca di proliferare di fondazioni artistiche
definisce bene l’istituzionalizzazione del sistema di mantenimento familiare
per i più fortunati. I curatori si appoggiano sui rapporti di gruppo,
facilitano la promozione di giovani artisti in tutta fretta, senza la
necessaria selezione basata sul confronto. Tutti, a causa della loro
precarietà, manifestano armi spuntate, non certo favorevoli a una vera
evoluzione artistica. Insomma, ne esce l’immagine di un sistema che, prendendo
la citazione dai recenti fatti di cronaca giudiziaria, potremmo definire “gelatinoso”.
Di fronte alle critiche
di Luca Rossi, gran parte del mondo dell’arte si trincera dietro l’indifferenza
astiosa o l’aperta ostilità, favorite, ammettiamolo, da qualche analisi
imprecisa di quello che perlopiù viene liquidato come un bastian contrario,
come un artista fallito. Molti si mostrano unicamente curiosi di capire chi si
nasconda dietro al nome fittizio, sintomo di quanto il gossip, la notizia
piccante, sia ormai entrata visceralmente nel sistema dell’arte. Qualcuno,
piano piano, comincia a mostrare interesse, quando non aperta adesione ai
contenuti che Luca Rossi sta evolvendo sul blog whitehouse.
Fin qui la pars
destruens, la parte distruttiva del
sistema Luca Rossi. Ma l’aspetto più interessante è certamente quello
costruttivo, quello che finora ha raccolto la minor attenzione. A corredo dei
commenti e delle riflessioni che si assemblano nel blog, in una continua
riedizione che talvolta riporta a galla vecchie riflessioni e immagini, si sviluppa
il suo lavoro più prettamente artistico. Ciò accade quando Luca Rossi, ad
esempio, cancella le opere dalle immagini dei luoghi dell’arte e lascia gli
spazi vuoti, silenziosi. L’interno della Galleria Zero… con le opere rimosse
in Photoshop, o quello della Gagosian di New York fotografato – non si sa come
– di notte, manifestano un silenzio assordante. Il vuoto, l’assenza, l’attesa
sono il centro di questi semplici esercizi grafici di Luca Rossi. Che comunque
non vivono da soli, autonomamente, ma manifestano la loro esistenza ergendosi
sui piedistalli dei testi che li accompagnano, così da dare completa attuazione
a quella mescolanza di funzioni che ormai da tempo caratterizza il mondo
dell’arte, dove artista, curatore, gallerista sono ruoli intercambiabili, o
comunque sempre più confusi.
L’utente, di fronte
allo schermo luminoso del suo computer, entra in dialogo diretto con il lavoro,
in qualche modo partecipa alla costruzione mentale dello stesso. È come
un’opera peer to peer, basata sulla
partecipazione del singolo, che si espande con internet ma privilegia il
rapporto uno a uno. Talvolta questi lavori si materializzano all’esterno, nella
realtà: come quando Luca Rossi invita i lettori del blog a prenotare una pizza
per l’inaugurazione di una mostra alla Galleria T293 di Napoli o alla Galleria
De Carlo di Milano. Lo spettatore entra realmente nella costruzione dell’opera:
il momento dell’attesa della pizza, per il singolo utente che l’ha richiesta,
si riempie di un tempo ricco di aspettativa, e quel senso generico di attesa si
fa durata, intima partecipazione all’evento.
Si potrebbe pensare che
si tratti, come in tanti altri casi, di institutional critique, di una critica dall’interno del sistema. Invece questo è
solo il primo livello di lettura, perché il lavoro di Luca Rossi è metafora
della situazione generale della nostra società. Non sono forse l’assenza e
l’attesa gli aspetti che più contraddistinguono oggi la nostra condizione? Non
viviamo tutti forse sentendo che qualcosa ci manca, nell’aspettativa di
un’epifania, di un cambiamento che ci sollevi dallo stato di malessere
individuale e sociale? In questi anfratti si insinua il lavoro di Luca Rossi,
che ora medita anche sulla lontananza. E realizza una preghiera quotidiana
perché accada qualcosa dall’altra parte dell’Oceano. Partecipa senza invito
alla Biennale del Whitney: il lavoro è una preghiera di quando era bambino,
nella convinzione che il pensiero, da solo, possa muovere le cose.
Dunque, stiamo a
vedere, magari qualcosa accadrà. In fondo qualche cosa è già successa.
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Pro
e contro Luca Rossi
Luca
Rossi “parla” a Bologna
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L’audio
dell’incontro bolognese
fabio cavallucci
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n.
64. Te l’eri perso? Abbonati!
[exibart]
… mah!
io dopo Hong Kong per ora sono a Tokio Con un’urgenza precisa di esserci: devo fare un omaggio a Gillo (Dorfles…)
A proposito di persone che “non si sa bene chi siano” ma diventano fenomeni…(???) dico solo che si può fare di tutto e di più oggi senza però incuriosire davvero più di tanto a meno che non si decida di far girare voce che debba farlo. Ci vuole qualcosa di meno e solo un po’ di Arte in più. Forse.
Una NON turista. Dioy
Triste… nessuno si preoccupa di chiarire il “mistero” buffone dell’identità di Rossi… chissene… tanto di personaggi che scrivono che “Gesù è cattivo” (oppure che è bravo..) sui muri ce ne son milioni… Rossi scrive sui muri… ma nelle sue scritte purtroppo non ci sono contenuti… nè politici, nè artistici, nè morali… nè nessun altro.
Di fatto, come i ns politici le mozioni concettuali non portano un PROPRIA natura di contenuto, ovvero NON sono vettori di un significato – sono esclusivamente SIGNIFICANTI… bene bene… questo, seppure malino, lo dice anche Cavallucci… ma a che serve un significante in sè… privo di significato?
Di fatto Rossi (che poi lo sappiamo ben tutti è ENRICO MORSIANI che, in una terribile accusation non petita, fugge anche davanti agli altri artisti… lol… stimolato… e ben remunerato mediaticamente… da Cavallucci e da Baldini) – costruisce un teoretica del vuoto… critica, arringa, morde… ma chi? cosa? un sistema che si auto denuncia ad ogni piè sospinto quale delegittimato?
Morsiani, smettiamo di chiamarlo Rossi please…, non è un artista fallito…
Per essere falliti, sia pure necrofori, bisogna aver mal tumulato il morto… ovvero agito e mai aver raggiunto la meta prefissa…
in una dimensione perfettibile… siamo tutti falliti…
Ma Morsiani… lui NO… perchè il suo lavoro di artista… non lo ha mai cominciato.
il lavoro pesa… le parole.. nient’affatto… soprattutto se vuote.
Exibart pubblica questi articoli del niente… per racimolare ulteriori polemiche… non gli sarebbe necessario…
Morsiani scrive… fiumi di pessimo italiano… gli è necessario? per esistere…?
si dovrebbe potelo domandare a lui…
Ma l’interazione bilaterale non è mai rispettata… insomma… se la canta e se la suona… e ci prenda o non ci prenda con la rima baciata… fa solo Eco a se stesso.
I suoi colleghi… certo… sono troppi per essere tutti artisti… questa è opinione condivisa… ma sparare come un cecchino contro i pochi che hanno una professionalità fattuale e riconosciuta internazionalmente… odora terribilmente di invidia biliosa e logora.
Morsiani… Cavallucci… Baldini… fate il vostro lavoro, sempre ne abbiate tuttora uno… San Benedetto dice ORA ET LABORA… non SPARA ET
In italia siamo bravissimi ad idolatrare le personalità ultraottantenni o i ventenni, in una spirale giovanilistica. Non c’è la capacità di supportare e puntare su personalità “intermedie” che potrebbero dare potenzialmente molto. Luca Rossi mi sembra una di queste. E quindi arriviamo sempre troppo presto, sfasciando ogni maturazione proficua, o troppo tardi….
Io invece apprezzo Luca Rossi e non mi importa chi sia. Condivido in pieno l’opinione di Cavallucci. Chi cerca di indicare l’autore di Luca Rossi, teme (evidentemente) l’efficacia dell’operazione. E soprattutto ne testimonia l’efficacia, perchè di contenuti ben motivati ce ne sono eccome!!! E anche per la parte artistica mi sembra l’unica novità italiana degli ultimi 10 anni..e anche nel mondo non vedo operazioni ugualmente “originali”.
Billy sei patetico o patetica… Stai facendo la stessa operazione di Luca Rossi (anonimato e accuse)….con la differenza che non stai motivando le tue accuse. Io non apprezzavo Rossi, ma poi, frequentando il blog, ho sempre trovato un tono moderato ed opinioni ben argomentate.
Qui il travaso di bile mi sa che ce l’hai solo tu, caro Billy. Non hai altro di meglio da fare che commentare notizie che, pare, ti feriscono così tanto? Come mai tutta questa rabbia?
Sono domande importanti, ma smettere di puntare il dito sugli altri è dura, difficile, cosa da pochi. Sarebbe l’unico modo per crescere davvero, come artisti, ma ancor di più come persone (e, di conseguenza come artisti). Chi se ne frega se Luca Rossi spara a zero su quegli artisti italiani a cui ti riferisci e che, a tuo dire, si sono conquistati fama internazionale(e con questo, suppongo, tu alluda alla loro bravura)? Tutto questo livore mi puzza un pò perchè mi sembra davvero tanto. Io ci rifletterei.
Sarebbe bello che quando si commenta (o si scrive qualsiasi cosa valga la pena di leggere) sarebbe bello, dicevo… si capisse chi scrive lasciando una traccia di chi si è dando modo agli altri, cliccando sul link del nome/nick, di risalire all’autore. Potresti infatti essere, così anonimo (o sono io che non ti conosco?) l’autore stesso dell’articolo o addirittura lo stesso Luca Rossi… Ehm, Ehm…
purtroppo per Paolo Rossi, se la pars destruens può nascondere un certo interesse, la pars costruens si rivela vecchia e putrida….meglio continuare a scrivere, parlare, giocare con le identità sul web e nella vita reale…nulla di nuovo neanche li, ma la volontà di applicarlo all’arte mi sembra non funzionare in questo caso. Dovremmo interessarci a queste foto solo perchè chi le ha prodotte ha avuto una pensata semi-originale che incuriosisce? Potrei accettare quelle foto solo se ci volessero ricordare in maniera ironica la piattezza e pochezza di certe proposte artistiche concettualoidi autoreferenziali, prive di contenuti, chiuse al mondo.
stacco musicale…
http://www.youtube.com/watch?v=ALyuYOvgOac
Rispondo a Margherita e ad altri che mi definiscono patetico/ca o consimili…
se leggete con attenzione, il mio commento purtroppo non è completo, non mostro livore…
io non sono tra i target di Morsiani… se lo fossi, significherebbe che “il sistema” si cura di me e del mio lavoro…
Morsiani non ha tempo per me, per voi, nemmeno per se stesso… in un certo senso…
Morsiani parassita tristemente il “fare” altrui.
Codesto “fare” non è necessariamente Buono, può pure essere cattivo… pessimo… penoso o furbino… in crescendo.
Il dramma sta proprio in questa dislocazione di interesse.
Focalizzare su/contro un sistema – di artisti –
tacendo poi sistematicamente di veri abusi e vere vergogne… si concilia con la condizione dell’artista che guarda solo il microcosmo cui non ha accesso…
Gli artisti- non contano per nulla
– sono la fascia debole
– sono, sì interscambiabili (ma non solo per operato artistico, soprattutto per il sistema)
Per questa ragione, Morsiani, se vuol essere il Torquemada della situazione, lo faccia par de vrai.
Inutile intestardirsi ad accusare i colleghi, che stanno, magari a sproposito, dove LUI vorrebbe stare… si occupi di considerare (se gli riesce) le ragioni specifiche della flessione, questa sì patetica, di un sistema… che più se ne parla, senza precisione e nella sporca coscienza di gravi omissioni… più si fa cospiquo…
L’ho detto parecchie volte:
il sistema è marcio… e come la materia marcia… è fragilissimo e precario…
ci sono parecchie realtà divergenti o parallele al sistema… povere in canna, ma vivaci…
smettete di pregare o maledire il sistema… e trovate il vostro posto altrove… se non vi riesce di trovarlo… costruitelo da voi.
TUTTO IL RESTO è NOIA e palate di cretinate.
una litania, un complaint chant che serve solo a ricordarci le miserie dell’infanzia…
life is now, belli…
chi non salta per sè, salta per Morsiani, Cavallucci (un luogotente del SistemA appunto… e per il BRAVO Baldini…)
Sveglia belli…!!!…LA vita vi sorride… sì anche a MArgherita ed ai suoi amici Rossiniani…
Sigh…
Billy che non è difficile… se si ha una minima frequentazione della realtà artistica professionale… si sa bene chi sia.
Il dibattito che si è creato intorno alle critiche sul sistema dell’arte (a volte decisamente condivisibili) mi sembra interessante… ma constatare che ci sia una mancanza ed un’attesa nella società contemporanea, non mi basta. Spero che i giovani artisti trovino il modo di riempirla questa mancanza… quindi facciamo un altro passettino avanti e allora… prosit!
Luca Rossi è un astuto “camaleonte” di memoria dadaista Nulla di nuovo sotto il sole. E’ giunto ormai il momento opportuno che gli artisti e gli addetti all’arte, acqusiscono nozioni di agricoltura biologica e conoscessero la saggezza popolare di qualche superstite contadino. Un ritorno alla terra farebbe molto bene alla salute fisica, sessuale e mentale. Queste continue masturbazioni mentali, condite di arditi funambolismi sull’arte “concettuale”, con cui si vorrebbe giustificare ciò che giustificabile non è, non fanno altro che rafforzare i meandri di coloro che controllano il sistema dell’arte. Un potere politico, clientelare, burocratico a vantaggio di pochi artisti, a scapito di interessi non collettivi. Un potere culturale che discrimina e penalizza non solo gli artisti meritevoli con tranquillo imperio, ma la buona fede dei contribuenti. Senza una vera democrazia partecipativa, l’arte e la civiltà muore e diventa solo barbarie. Non resta che una speranza concreta: la cività contadina, esempio “concettuale” di equlibrio tra benessere psicofisico, arte e rispetto del creato.
SAVINO MARSEGLIA
Ciò che condivido del discorso di Cavallucci è l’inqudramento di Luca Rossi nell’institutional critique che è poi, secondo me, ciò che lo rende così interessante agli occhi di diversi addetti ai lavori. Io oltre questo faccio fatica a trovare altro, anche nei suoi lavori che trovo oltremodo ruffiani.
ma dico scherziamo? c’è bisogno di un Luca Rossi per capire, vedere, spettegolare su quello che succede o che non succede nel sistema dell’arte nostrano? io non ho niente contro di lui, forse però (e mi riferisco anche a chi lo attacca o cerca di capirne presunte o reali profondità di pensiero) si dovrebbe iniziare a scrivere su cose piu serie. Poi sul suo lavoro non commento, in ogni caso non mi sembrano opere così ardite, nuovi dispositivi o come vi va di chiamarlo…vabbè siamo alle solite! a proposito, ma come mai lui/lei non commenta questa volta? ah ah ah a
io non ho mai parlato di sistema marcio o casta. Le critiche agli artisti sono assolutamente legittime e normali in qualsiasi sistema normale. Scegliere di mostrarsi implica l’accettare critiche positive e negative. Il sistema italiano scimmiotta quello internazionale creando illusioni e delusioni da circa 15 anni. Gli artisti sono le prime vittime di questo. Gli unici artisti italiani riconosciuti realmente fuori dall’Italia sono partiti fuori dall’Italia (e sono 4, non contano le quote “rosa” che l’estero deve riconoscere tappandosi il naso).Le motivazioni le ho spiegate mille volte nel blog e negli spazi su flash Art. Ho sempre sviluppato una critica costruttiva. Molti la pensano come me ma tacciono perché hanno paura di mettere a repentaglio la loro carriera. Visto che nel piccolo sistema italiano tutti sono collegati con tutti. Allo stesso tempo una crisi del linguaggio investe
non solo l’Italia ma il tutto il sistema internazionale. Gli artisti sono i primi ad essere criticabili perché sono loro che possono determinare un rinnovamento.
Il vero coraggio sarebbe parlare di sistema marcio, ma tu non lo fai, tu critichi gli artisti del sitema e in questo modo fai il loro gioco dandogli maggiore valore. Così non ti giochi i collegamenti di cui parli, che esistono, e vai avanti con la tua carriera e a farti nuove e interessanti e interessate amicizie.
Il fatto che gli artisti italiani siano poco noti all’ estero non è colpa del loro del linguaggio ma del fatto che le gallerie con cui lavorano hanno capitali minori da investire rispetto a quelle d’oltreoceano(o li investono peggio). Se domani Gagosian mette sotto contratto un pittore di fiorellini naif il giorno dopo diventa una star internazionale e dopo due giorni probabilmente ne parli anche tu.
questa cosa del supporto e’ in parte vera. anche se all’estero sistemi piu’ aperti al confronto e piu’ ricchi permettono maggiori picchi qualitativi. L’italia in fondo propone uno standard mal supportato. Secondo me queste difficolta’ sarebbero arginabili da parte di gallerie,istituzioni e artisti.
Caro Luca Rossi, la tua analisi critica sul sistema dell’arte attuale e sul pubblico, apparentemente brillante, in realtà, si manifesta sterile, vecchia e demagocica: non è una requisitoria ben argomentata, dettagliata sui problemi che affliggono l’arte, il pubblico e gli artisti. Non affronta i meccanismi perversi imposti dalla “casta” mercantile dell’arte, che spesso è avvalorata, proprio dai critici, curatori, artisti, direttori, mercanti ecc. Non affronti le dinamiche sul sistema subdolo, arbitrario, che si cela dietro una finta cultura della partecipazione democratica. Ma al di là delle tue anomime elucrubazioni mentali, sulle modalità di successo commerciale di un nugolo di fortunati “artisti internazionali”, trovo oggi, le tua riflessione critica non discordante da quella conservatrice e provinciale di parte della critica d’arte italiana e in genere dei detentori del monopolio della cultura italiana. Quest’ultimi, pur di non crearsi nemici nei confronti del potere economico, politico, si sottomettono, passivamente, in modo da non perdere la loro posizione di “intellettuali” privilegiati. Credo, che la cultura e la crtica d’arte, debba farsi carico di problemi molto più gravi e urgenti, anzichè inseguire i “capricci e le mode culturali effimere” di una borghesia sempre più alienata al suo interno, chiusa e decatente-distante dai reali bisogni materiali e spirituali della maggioranza della popolazione. Una borghesia capitalistica che sostiene e giustifica con l’inganno, una produzione di merci inquinanti, di creazioni artistiche fine a se stesse che riproducono, cosapevolmente il mondo alienato della borghesia: “opere d’arte” che si presentano svilite nel loro ruolo etetico, sociale e nella forza comunicativa del cambiamento. L’arte che si basa solo sul valore di scambio, diventa solo morte annunciata. E’ inutile continuare a giustificare ragionameti di artisti che hanno successo commerciale o disqusizioni sul sistema malato dell’arte italiano. Il sistema dell’arte globale, ormai è tutto marcio. Ciò non funziona più. Per questo, bisogna prima lottare per cambiare le strutture economiche e le sovrastrutture culturali della società, poi pensare ad una nuova critica, a nuove forme d’arte ed infine ad una nuova funzione. Come dice, Paul Werner: “Un giorno ci sarà una storia dell’arte che non si esimerà dal suo ruolo critico, che affronterà le opere in funzione di ciò che rappresentano e del ruolo che rivestono nel presente, che rivestivano nel passato e rivestono nel futuro”.
SAVINO MARSEGLIA
“la borghesia, la lotta di classe,cazzo” G. Gaber
DEDICATO A TUTTI VOI……..
“Apri le braccia, apri le braccia / fiore di roccia nel tuo cuore / libera amore. / Dove andavi fratello / come il fiume così il tempo va / dietro la notte c’è un castello / corri fratello. / Dentro al mare la terra non ha polvere nel cuore no / torna la luce e nasce un fiore / fiore di serra. / Con il cielo e l’acqua del mare (libera amore) / la sua ombra è luce di sole (libera amore) / apri la terra / dalla terra nasce un fiore. / Apri le braccia, apri le braccia / fiore di roccia nel tuo cuore / libera amore. / Dentro al mare la terra non ha polvere nel cuore no / torna la luce e nasce un fiore / fiore di serra. / Re dei fiori grande signore (libera amore) / re della terra sei fatto d’amore (libera amore) / dalle tue mani nasce il giorno cresce il sole. / Apri le braccia, apri le braccia / fiore di roccia nel tuo cuore / libera amore, libera amore, libera amore….”
Le parole dell’oblio fanno onore a Ivano Fossati…
Il valore di un uomo, o di un’artista, si misura dalle cose che crea in silenzio, non dal rumore della propaganda. Ti consiglio di leggere “La vita a credito” di Marcel Duchamp.
Caro Savino ti do gratis un’informazione che credo ti rattristerà molto Silenzio è morto!…. Ma purtroppo nessuno ha scritto niente semplicemente perché nessuno lo ha mai saputo…. del resto nessuno sapeva che era vissuto, come nessuno sapeva dove abitava, pensa che addirittura nessuno sapeva bene cosa avesse mai fatto o scritto, come nessuno sapeva neanche cosa avesse mai detto, del resto il povero Silenzio era talmente silenzioso che nessuno si è mai accorto di lui, era così taciturno al punto tale che c’è ancora qualcuno che dubita che sia mai esistito, ma io e te sappiamo bene non è cosi…. Il fatto è, che Silenzio era cosi silente che è semplicemente morto in silenzio ma cosi silenziosamente, come nel suo stile del resto, che nessuno se né accorto, proprio come nessuno si era mai accorto che viveva. Caro Silenzio spero che tu ora riposa finalmente in pace ed in silenzio, nel tuo elemento preferito nel quale tutto tace, del resto sono anche un po contento perché quel tuo silenzio era talmente assordante e fastidioso che qui siamo quasi tutti contenti che tu non ci sia più… fattelo dire la terra dei morti ti s’addice molto di più e lascia a noi che silenziosi non siamo vivere vivere vivere facendolo sapere agli altri ma sopratutto facendolo sapere a noi stessi.
Condoglianze sincere a tutti i pareti ed amici di Silenzio
A molti cafalchi viventi il funerale è il triste e dovuto evento silenzioso che commenora il silenzio del più o meno amato esofago vivente. Tuttavia il catafalco vivente è vivo e prospera sempre tra di noi. Perchè a venire celebrata è la cultura del niente, è la viva memoria dell’estinto vivente. I veri protagonisti sono in realtà i ripetitori dell’ovvio, del banale quotidiano, coloro che che credono di custodire “verità”, cioè i tromboni. Tu parli di silenzio, intanto continui a parlare a scrivere a mangiare e digerire, come tutti noi mortali. Tu parli di silenzio; ma devi sapere che anche i morti continuano a parlare dentro di noi. Basta ascoltarli in silenzio. Così alla stregua di ogni funerale o rito mondano, soprattutto nella nostra epoca di superconsumo di silenzio e apparenza funerea, l’infelice e triste silenzio è sempre vivo. Diviene opera d’arte per palati fini. Il silenzio, nella terra, al fresco, può ascoltare la musica preferita, in un tempo illimitato. Fra argute riflessioni artistiche e accadimenti paradossali, per ripensare in silenzio che nel mondo dei viventi e dei morti non c’è nessuna diffenza. Il funerale del silenzio, richiede onestà intellettuale e una certa predisposizione caratteriale. La questione del dolore poi, riguarda un sentimento così profondo per i catafalchi viventi, deve essere cercata nei minimi particolari. Ma, volendo può essere lasciata anche al caso. La razza degli artisti futuri, sarebbe una razza di asceti ZEN. Allora, invitiamo tutti quelli come te ed io a diventare saggi asceti che viaggiano in silenzio nell’oblio.
secondo me ha ragione puleggio, qualsiasi artista venga pompato dal sistema e diventi mainstream alla fine diventa perfettamente giustificabile e inattaccabile, anche se produce fiorellini disegnati con le dita dei piedi, e questo grazie allo smart relativism che luca rossi ha descritto alla perfezione. se però si reagisce a questo smart relativism producendo altro smart relativism per denunciare il primo all’inizio ha senso ma dopo un po’ mi sembra si trasformi solo in una mossa per autosponsorizzarsi, alla fine è il giochetto furbetto che ha fatto anche cattelan cfr torno subito, il gallerista scotchato al muro etc
Il sistema non è il male. Si tratta di una serie di convenzioni che servono per “poter fare delle cose”. Se no ci sarebbe l’anarchia, e l’impossibilità di fare: anche il treno ha bisogno di un binario (vincolo) per arrivare da qualche parte.
In questi mesi ho cercato di definire una problematica e proporre un’alternativa concerta. Chiunque potrebbe farlo. Alcuni si lamentano e basta, altri (come sigolo e sacco) la pensano come me ma essendo critici non riescono a muoversi totalmente. Ecco perchè credo sia utile sintetizzare ogni ruolo in uno (ma non in modo didattico).
Il mio non è smart relativism perchè ogni intervento discende da una sola idea assoluta. Ogni intervento non è “smart” ma decide di prendersi un rischio; di azzardare la messa in discussione di alcuni codici; è cretino nel senso etimologico della parola (da “cristiano”). A tale proposito è molto loquace il personaggio di Peter Sellers in Oltre il Giardino.
Il fatto che il sistema si chiuda è in parte positivo e in parte negativo .
Negativo perchè si preferisce eliminare il confronto: molto più facile sorridere e compiacere che avanzare una critica. Positivo perchè significa che il sistema ha paura ed è infastidito.
Luca Rossi, ma quanto sai!? Ma chi sei? Ma quanto scrivi ! E chi sei…er Tosto de la Guera e Pace, bono… e statte zitto ali m… me fai andà in tiltè er cervelo…. Bono statti bono.
Che Doman si Ricomincia.
L’ultimo commento del gent.le Pino Boresta si può, a ragione, affermare riesca a salvare in toto il commentario dalla noiosa deriva cui pareva destinato; pertanto: urrà per Pino!
A chi non avesse avuto il piacere di leggere il succitato commento propongo di provvedere immantinente, magari utilizzando come appropriato sottofondo: http://www.youtube.com/watch?v=BQPbLMmuThQ
ualà!
@lucarossi
ok io sono d’accordo con quello che scrivi, solo che alcune tue opere (soprattutto le ultime) per denunciare lo smart relativism mi sembra che lo stiano riproducendo, in particolare la sedia che cigola avanti e indietro sul pavimento di marmo che senso ha? potrebbe essere giustificata in molti modi no? basta aggiungerci una citazione colta sopra *grin* magari rappresenta un’anti-ikea zoppa e destrutturata
HM
la sedia è solo una presentazione per il lavoro di carrara. E non è SR perchè presenta cosa può succedere se si rimane “trattenuti” sulla poltrona del comunicato stampa. Stesso presupposto che abbiamo visto in altri interventi: I’m not Roberta, One Calder, Gagosian e De Carlo project, ecc. ecc. Quello di Firenze sarà diverso.
Bravo Savino! La tua analisi sul sistema attuale dell’arte è impeccabile. Contrariamente a quello che sostiene luca rossi, condivido con te: la critica non attiene solo a disquisizioni e conflitti sul linguaggio dell’arte o sul successo degli artisti. Anzi, essa consiste nel dar forma a nuovi linguaggi comunicativi al servizio della collettività e a prese di posizioni chiare degli artisti nel denunciare lo strapotere delle gerarchie culturali e del mercato globale.
…la lotta di classe, il proletariatocazzo
Eppure credo che Luca Rossi sia una grossa farza come quasi tutta l’ Arte Contemporanea !
Luca Rossi é un artista noto o uno stra noto curatore che gioca con facili dissacranti affermazioni per creare il mare mosso !
Serve perché l’ arte contemporanea é , quasi sempre in Italia , un mare piatto nel quale riesci a scogere le solite barche e Luca Rossi é una di queste .
Io sono d’accordo con Fabio Cavallucci, soprattutto alla luce degli sviluppi successivi a questo articolo. La parte di critica al sistema e’ irrilevante in modo proporzionale a quanto e’ irrilevante il sistema italiano (posta in gioco bassa, pochi operatori oligarchi con un pubblico analfabeta). La parte migliore (anche se tutto e’ fuso e confuso) sono i progetti esterni al blog. E anche a livello internazionale non vedo operazioni simili.
In italia il pubblico dell’arte contemporanea è fatto in grandissima parte da addetti ai lavori e artisti. E come se in un paese il popolo fosse formato dagli stessi parlamentari. Pensateci. Ogni nuova proposta, da parte di un cittadino-parlamentare, viene vista in termini competitivi e concorrenziali e quindi osteggiata. Nel momento in cui un Luca Rossi qualsiasi propone un “programma” diverso e critico verso la parte dominante del parlamento (il sistema) abbiamo una parte del parlamento che sostiene Rossi (quella avversa al sistema). Quando Rossi viene riconosciuto parzialmente (Cavallucci) la parte del parlamento che lo sosteneva (quella avversa al sistema) lo vede adesso come un concorrente, un competitor, mentre la parte che veniva criticata (il sistema) continua a osteggiarlo. Risultato: tutti lo osteggiano.
Aggiungo che il sistema in Italia è piccolo (fatto da pochi operatori per una posta in gioco molto bassa) e strabico ( ci si divide tra interessi nazionali ed esterofilia). Il vero dato è l’assenza di un opinione pubblica alfabetizzata. Quindi si potrebbe parlare di:
“oligarchia (governo di pochi senza opinione pubblica) disinteressata (posta in gioco bassa) e poco interessante (se il sistema non conta perchè parlarne?)”. Personalmente ne ho parlato perchè, in un prima fase, era giusto fotografare la situazione.
Questa situazione fa sì che gli artisti italiani siano assenti dalla scena internazionale che conta (cit. Pier Luigi Sacco, Flash Art). Non c’è approfondimento (precarietà, posta in gioco bassa) e non c’è capacità di promuovere gli artisti (forse nemmeno interesse). Questo crea un circolo vizioso che negli anni porta ad una bassa qualità delle proposte; al limite abbiamo un buon manierismo, una sorta di buon “artigianato” della migliore arte contemporanea di ieri (vascellari, tadiello, trevisani, biscotti, rubbi, di massimo, andreotta calò..i primi giovani che mi vengono in mente).
Va bene tutto peró non è propriamente vero che gli artisti italiani siano assenti dalla scena internazionale. Gli artisti promossi da massimo de Carlo e zero (per fare due esempi), sono tutti o quasi presenti in gallerie internazionali anche importanti.
Partecipate a gallerie straniere non significa molto purtroppo. Soprattutto negli ultimi anni quando ad una sovraproduzione di opere e’ coinciso un appiattimento del linguaggio. La galleria dovrebbe essere la seconda fase di un percorso e non la prima e unica. Per scena internazionale intendo mostre incidenti, ma soprattutto partecipare con linguaggi incidenti che possano confrontarsi senza perdersi in un calderone di proposte similari.Francamente apparte Cattelan, non vedo artisti italiani con queste caratteristiche. Vedo forzature che il sistema internazionale deve assicurare all’Italia come fossero quote rosa in parlamento. Penso a Bartolini (lavoro che passa da suggestioni sempre diverse, citazioniste e confuse), Roccasalva (installazioni complesse come stampella per una pittura ammiccante che coniuga De Dominicis e Bacon), Tadiello di T293 (riproposizione didattica di ingredienti stravisti), Assael (ennesima declinazione dell’arte povera), Perrone (bel sapore, ma anche lui debitore di un certo poverismo), Grimaldi (il lavoro di emergency crea tensione ma un po’ poco e mal supportato), Frosi ( decine e decine di artisti similari)…poi?? Sicuramente il problema centrale non e’ il CV ma il linguaggio proposto.
luca rappresenta davvero l’impoverimento dell’arte contemporanea ed è il segno tangibile dell’orrore del sistema dell’arte italiano e non solo.
caro luca rossi, se mi dici a che indirizzo scriverti ti invio un pò di materiale di artisti che usano un linguaggio originale. non è per niente vero che in italia non ce ne siano, il problema è, semmai, che non vengono considerati.
@osvaldo rossi: potresti spiegarti meglio? Perchè rappresento questo “impoverimento”? Queste dichiarazioni buttate lì così dimostrano qualche problema, e viene da pensare che la verità sia il contrario…ma se argomenti forse capisco meglio e potresti anche avere ragione.
xxxxx: il mio indirizzo è housewhite1@gmail.com, sono curioso..attendo.
caro luca rossi le mie parole sono da intendere così come sono, se dici che cattelan è l’unico artista degno di questo nome in italia significa che non hai gli strumenti per capire che oltre ad essere un semplice copista è un pagliaccio che ha avuto successo unicamente per fortuna. il dito che ha esposto in piazza a milano potrebbe benissimo inserirlo nel suo posto più appropriato.
tanti artisti molto bravi tu e tanti altri altri come te non avete gli strumenti per guardarli, quindi risparmiateci i vostri stupidi giudizi, grazie
La produzione di Cattelan si può dividere in due decadi, e la prima (poco conosciuta) e’ la mia preferita. Ma la seconda e’ coerente e in linea con il presente. L’unica risposta a Catty sta nel linguaggio che si sviluppa.
Non ho detto che Cattelan sia l’unico, Grimaldi non sarebbe male..anche se un po’ algido…Arienti, Marisaldi (la tracey emin della via Emilia)…
vi invito leggere il mio contributo
http://blog.studenti.it/samlowry/cme-diventare-un-artista-visivo-di-successo