FENOMENOLOGIA DI LUCA ROSSI

di - 20 Aprile 2010
Non si sa chi sia
realmente. In ogni caso, Luca Rossi è la personalità artistica più interessante
del panorama italiano di questo momento. Lo è perché, insieme ai contenuti,
rinnova anche il linguaggio. In prospettiva, potrebbe modificare anche il
sistema.
Ma facciamo un passo
indietro, riepiloghiamo i fatti. Circa una decina di mesi fa sui siti d’arte, e
in particolare su Exibart.com,
cominciano a fioccare i commenti di questo anonimo interlocutore.
Contrariamente alla maggior parte delle critiche a cui siamo abituati, quelle
di Luca Rossi sono dirette e personali. Dei giovani artisti è messa in luce la
pochezza, dei curatori sono rivelate le dinamiche che privilegiano i rapporti
amicali, quando non parentali. Ci sono molte imprecisioni, talvolta anche errori
gravi, ma quello che lentamente si costruisce sul blog whitehouse.splinder.com a cui rimandano i commenti è un quadro preoccupante del
sistema dell’arte italiano dove, per traslare le parole del suo autore, “la
mancanza di una vera urgenza artistica finisce per privilegiare solo le
relazioni
”.
Le analisi pregnanti,
nel blog, sono tante. Si va dal “turismo culturale” di alcuni artisti di oggi, che senza la spinta di una
necessità profonda girovagano alla ricerca di qualche ideuzza su cui basare il
loro prossimo lavoro, all’“ikea evoluta
di tanti altri che, sostenuta da qualche citazione modernista, offre come
prodotto artistico un design alla moda senza contenuto. Il blog rivela che gli
artisti più attivi appartengono alla “nonni-genitori foundation”, che in epoca di proliferare di fondazioni artistiche
definisce bene l’istituzionalizzazione del sistema di mantenimento familiare
per i più fortunati. I curatori si appoggiano sui rapporti di gruppo,
facilitano la promozione di giovani artisti in tutta fretta, senza la
necessaria selezione basata sul confronto. Tutti, a causa della loro
precarietà, manifestano armi spuntate, non certo favorevoli a una vera
evoluzione artistica. Insomma, ne esce l’immagine di un sistema che, prendendo
la citazione dai recenti fatti di cronaca giudiziaria, potremmo definire “gelatinoso”.
Di fronte alle critiche
di Luca Rossi, gran parte del mondo dell’arte si trincera dietro l’indifferenza
astiosa o l’aperta ostilità, favorite, ammettiamolo, da qualche analisi
imprecisa di quello che perlopiù viene liquidato come un bastian contrario,
come un artista fallito. Molti si mostrano unicamente curiosi di capire chi si
nasconda dietro al nome fittizio, sintomo di quanto il gossip, la notizia
piccante, sia ormai entrata visceralmente nel sistema dell’arte. Qualcuno,
piano piano, comincia a mostrare interesse, quando non aperta adesione ai
contenuti che Luca Rossi sta evolvendo sul blog whitehouse.
Fin qui la pars
destruens
, la parte distruttiva del
sistema Luca Rossi. Ma l’aspetto più interessante è certamente quello
costruttivo, quello che finora ha raccolto la minor attenzione. A corredo dei
commenti e delle riflessioni che si assemblano nel blog, in una continua
riedizione che talvolta riporta a galla vecchie riflessioni e immagini, si sviluppa
il suo lavoro più prettamente artistico. Ciò accade quando Luca Rossi, ad
esempio, cancella le opere dalle immagini dei luoghi dell’arte e lascia gli
spazi vuoti, silenziosi. L’interno della Galleria Zero… con le opere rimosse
in Photoshop, o quello della Gagosian di New York fotografato – non si sa come
– di notte, manifestano un silenzio assordante. Il vuoto, l’assenza, l’attesa
sono il centro di questi semplici esercizi grafici di Luca Rossi. Che comunque
non vivono da soli, autonomamente, ma manifestano la loro esistenza ergendosi
sui piedistalli dei testi che li accompagnano, così da dare completa attuazione
a quella mescolanza di funzioni che ormai da tempo caratterizza il mondo
dell’arte, dove artista, curatore, gallerista sono ruoli intercambiabili, o
comunque sempre più confusi.
L’utente, di fronte
allo schermo luminoso del suo computer, entra in dialogo diretto con il lavoro,
in qualche modo partecipa alla costruzione mentale dello stesso. È come
un’opera peer to peer, basata sulla
partecipazione del singolo, che si espande con internet ma privilegia il
rapporto uno a uno. Talvolta questi lavori si materializzano all’esterno, nella
realtà: come quando Luca Rossi invita i lettori del blog a prenotare una pizza
per l’inaugurazione di una mostra alla Galleria T293 di Napoli o alla Galleria
De Carlo di Milano. Lo spettatore entra realmente nella costruzione dell’opera:
il momento dell’attesa della pizza, per il singolo utente che l’ha richiesta,
si riempie di un tempo ricco di aspettativa, e quel senso generico di attesa si
fa durata, intima partecipazione all’evento.

Si potrebbe pensare che
si tratti, come in tanti altri casi, di institutional critique, di una critica dall’interno del sistema. Invece questo è
solo il primo livello di lettura, perché il lavoro di Luca Rossi è metafora
della situazione generale della nostra società. Non sono forse l’assenza e
l’attesa gli aspetti che più contraddistinguono oggi la nostra condizione? Non
viviamo tutti forse sentendo che qualcosa ci manca, nell’aspettativa di
un’epifania, di un cambiamento che ci sollevi dallo stato di malessere
individuale e sociale? In questi anfratti si insinua il lavoro di Luca Rossi,
che ora medita anche sulla lontananza. E realizza una preghiera quotidiana
perché accada qualcosa dall’altra parte dell’Oceano. Partecipa senza invito
alla Biennale del Whitney: il lavoro è una preghiera di quando era bambino,
nella convinzione che il pensiero, da solo, possa muovere le cose.
Dunque, stiamo a
vedere, magari qualcosa accadrà. In fondo qualche cosa è già successa.


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e contro Luca Rossi

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Rossi “parla” a Bologna

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dell’incontro bolognese

fabio cavallucci


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n.
64. Te l’eri perso? Abbonati!

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Visualizza commenti

  • Io sono d'accordo con Fabio Cavallucci, soprattutto alla luce degli sviluppi successivi a questo articolo. La parte di critica al sistema e' irrilevante in modo proporzionale a quanto e' irrilevante il sistema italiano (posta in gioco bassa, pochi operatori oligarchi con un pubblico analfabeta). La parte migliore (anche se tutto e' fuso e confuso) sono i progetti esterni al blog. E anche a livello internazionale non vedo operazioni simili.

  • In italia il pubblico dell'arte contemporanea è fatto in grandissima parte da addetti ai lavori e artisti. E come se in un paese il popolo fosse formato dagli stessi parlamentari. Pensateci. Ogni nuova proposta, da parte di un cittadino-parlamentare, viene vista in termini competitivi e concorrenziali e quindi osteggiata. Nel momento in cui un Luca Rossi qualsiasi propone un "programma" diverso e critico verso la parte dominante del parlamento (il sistema) abbiamo una parte del parlamento che sostiene Rossi (quella avversa al sistema). Quando Rossi viene riconosciuto parzialmente (Cavallucci) la parte del parlamento che lo sosteneva (quella avversa al sistema) lo vede adesso come un concorrente, un competitor, mentre la parte che veniva criticata (il sistema) continua a osteggiarlo. Risultato: tutti lo osteggiano.

    Aggiungo che il sistema in Italia è piccolo (fatto da pochi operatori per una posta in gioco molto bassa) e strabico ( ci si divide tra interessi nazionali ed esterofilia). Il vero dato è l'assenza di un opinione pubblica alfabetizzata. Quindi si potrebbe parlare di:

    "oligarchia (governo di pochi senza opinione pubblica) disinteressata (posta in gioco bassa) e poco interessante (se il sistema non conta perchè parlarne?)". Personalmente ne ho parlato perchè, in un prima fase, era giusto fotografare la situazione.

    Questa situazione fa sì che gli artisti italiani siano assenti dalla scena internazionale che conta (cit. Pier Luigi Sacco, Flash Art). Non c'è approfondimento (precarietà, posta in gioco bassa) e non c'è capacità di promuovere gli artisti (forse nemmeno interesse). Questo crea un circolo vizioso che negli anni porta ad una bassa qualità delle proposte; al limite abbiamo un buon manierismo, una sorta di buon "artigianato" della migliore arte contemporanea di ieri (vascellari, tadiello, trevisani, biscotti, rubbi, di massimo, andreotta calò..i primi giovani che mi vengono in mente).

  • Va bene tutto peró non è propriamente vero che gli artisti italiani siano assenti dalla scena internazionale. Gli artisti promossi da massimo de Carlo e zero (per fare due esempi), sono tutti o quasi presenti in gallerie internazionali anche importanti.

  • Partecipate a gallerie straniere non significa molto purtroppo. Soprattutto negli ultimi anni quando ad una sovraproduzione di opere e' coinciso un appiattimento del linguaggio. La galleria dovrebbe essere la seconda fase di un percorso e non la prima e unica. Per scena internazionale intendo mostre incidenti, ma soprattutto partecipare con linguaggi incidenti che possano confrontarsi senza perdersi in un calderone di proposte similari.Francamente apparte Cattelan, non vedo artisti italiani con queste caratteristiche. Vedo forzature che il sistema internazionale deve assicurare all'Italia come fossero quote rosa in parlamento. Penso a Bartolini (lavoro che passa da suggestioni sempre diverse, citazioniste e confuse), Roccasalva (installazioni complesse come stampella per una pittura ammiccante che coniuga De Dominicis e Bacon), Tadiello di T293 (riproposizione didattica di ingredienti stravisti), Assael (ennesima declinazione dell'arte povera), Perrone (bel sapore, ma anche lui debitore di un certo poverismo), Grimaldi (il lavoro di emergency crea tensione ma un po' poco e mal supportato), Frosi ( decine e decine di artisti similari)...poi?? Sicuramente il problema centrale non e' il CV ma il linguaggio proposto.

  • luca rappresenta davvero l'impoverimento dell'arte contemporanea ed è il segno tangibile dell'orrore del sistema dell'arte italiano e non solo.

  • caro luca rossi, se mi dici a che indirizzo scriverti ti invio un pò di materiale di artisti che usano un linguaggio originale. non è per niente vero che in italia non ce ne siano, il problema è, semmai, che non vengono considerati.

  • @osvaldo rossi: potresti spiegarti meglio? Perchè rappresento questo "impoverimento"? Queste dichiarazioni buttate lì così dimostrano qualche problema, e viene da pensare che la verità sia il contrario...ma se argomenti forse capisco meglio e potresti anche avere ragione.

    xxxxx: il mio indirizzo è housewhite1@gmail.com, sono curioso..attendo.

  • caro luca rossi le mie parole sono da intendere così come sono, se dici che cattelan è l'unico artista degno di questo nome in italia significa che non hai gli strumenti per capire che oltre ad essere un semplice copista è un pagliaccio che ha avuto successo unicamente per fortuna. il dito che ha esposto in piazza a milano potrebbe benissimo inserirlo nel suo posto più appropriato.
    tanti artisti molto bravi tu e tanti altri altri come te non avete gli strumenti per guardarli, quindi risparmiateci i vostri stupidi giudizi, grazie

  • La produzione di Cattelan si può dividere in due decadi, e la prima (poco conosciuta) e' la mia preferita. Ma la seconda e' coerente e in linea con il presente. L'unica risposta a Catty sta nel linguaggio che si sviluppa.
    Non ho detto che Cattelan sia l'unico, Grimaldi non sarebbe male..anche se un po' algido...Arienti, Marisaldi (la tracey emin della via Emilia)...

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