I love ancora cultura

di - 13 Luglio 2012
Gli italiani investono ancora in attività di svago e ricreazione culturale? Ebbene si, secondo quanto emerge dal rapporto annuale di Federculture, mostrando addirittura un margine di crescita rispetto al 2010.
Quello del potenziamento dell’industria culturale è un appello che ormai, dati alla mano, le maggiori realtà del settore stanno sostenendo da più mesi. Si tratta di un nuovo modo di sfruttare una materia che vede lo Stivale ai primi posti della scala mondiale, ma non è sufficiente possedere il maggior numero di siti Unesco (47 su 936), o la più alta concentrazione di musei, chiese e città d’arte. Occorre potenziare questo bacino fruttifero, ma come? Se è superfluo accennare al progressivo salasso dei finanziamenti pubblici, ciò che chiedono i privati è l’abolizione della parola sponsorizzazione. «Noi non siamo mecenati», tuona il presidente di Federculture Roberto Grossi, frase che farebbe pensare all’ennesimo allineamento su un atteggiamento di rigore e prudenza, come si conviene in tempi di economie stagnanti. E invece no: le stime di Federculture dimostrano che se le elargizioni di privati diminuiscono, quelle degli enti bancari restano invariate.

Questo vuol dire che un’azienda pretende ritorni di visibilità e compartecipazione ed è qui il vero nodo da sciogliere: i ringraziamenti nei titoli di coda o il logo a bordo pagina non bastano più, pertanto quella della sponsorizzazione deve assumere sempre più le forme di una partnership condivisa piuttosto che una donazione a fondo perduto, come è stato fino a questo momento: «Oggi enti come le Fondazioni bancarie non svolgono più un’attività di erogazione. Da tempo ormai è terminata la pratica dei finanziamenti indiscriminati, in un momento di risorse scarse è obbligatorio selezionare le iniziative che garantiscono maggiore innovazione  e sviluppo», affermano dalla Fondazione Crt che intende il rapporto pubblico-privato soprattutto collaborativo: la metodologia di fondo, infatti, è quella di affiancare le istituzioni nelle fasi iniziali dei progetti, con l’obiettivo di permettere loro di proseguire autonomamente negli anni a venire «in un’ottica di venture philanthropy, senza alcun fine dirigistico».

Il territorio, appunto: questa sembra essere la legge prima del privato, imposta prima di tutto da un imprescindibile bisogno di visibilità e che ovviamente vede il nord in pole position. Da questo punto di vista Milano si conferma il vertice di triangolo sempre più cult-industriale, come dimostra Estate al Museo, l’iniziativa finanziata da Eni che permette per tutto il periodo estivo l’ingresso gratuito nei musei civici: «insieme ai nostri stakeholder progettiamo, partendo dalle esigenze del territorio, momenti di cultura che siano coinvolgenti per il pubblico e rispondano ad una richiesta che oggi, in tempo di crisi, si è fatta più forte», afferma Lucia Nardi, responsabile dei servizi culturali Eni e braccio destro dell’assessore Stefano Boeri nel progetto in atto. Ma non finirà tutto con l’estate, prosegue ancora Nardi «come ogni anno ripeteremo l’esposizione di Natale a Palazzo Marino, in partnership con il museo del Louvre. Più in generale Milano rimane uno dei nostri territori di presenza storica e certamente un territorio di interesse».

Altra prospettiva quella di un altro colosso, Enel, nelle parole di Gianluca Comin, Direttore Relazioni Esterne che ridisegna il rapporto pubblico privato sulla base di un rigore tutto aziendale: fattibilità tecnica del progetto e raggiungimento degli obbiettivi sono le parole chiave, oltre a trasparenza nei bilanci e possibilità di stabilire rapporti a lungo termine. «Cinque anni fa cercavamo qualcosa che avesse i caratteri di innovazione e internazionalità e l’arte attuale sembrava incarnare queste caratteristiche, così è nato il premio Enel Contemporanea».

Ovviamente per l’Italia resta il problema della barriera legislativa: la legge 122, che impone ai Comuni una spesa inferiore al 20 per cento in cultura, è una spada di Damocle che limita l’indotto economico e la possibilità di confidare in risorse private, alla quale si aggiunge il recente e poco chiaro provvedimento riguardo le fondazioni contenuto nella spending review. Senza contare ovviamente che la consistente riduzione di contributi da parte di enti locali trasforma il ruolo delle fondazioni bancarie in organi di supporto: nella ricerca di sponsor, oppure affiancando le singole istituzioni nella revisione dei budget e avviando azioni tese a contenere le spese, come dimostra ancora l’esperienza di Crt.

Sostanzialmente d’accordo con una ridefinizione del rapporto pubblico-privato è anche il Ministro per i Beni e le Attività Culturali Lorenzo Ornaghi che accenna da più tempo alla defiscalizzazione come un sentiero impervio ma d’ora in poi obbligato. Un sottile scetticismo sulle fondazioni «cui sono state attribuite speranze maggiori rispetto a quelle che potevano mantenere, ma è indubbio che si tratta di una buona novità –prosegue il ministro- per cui occorrerà filtrare le buone dalle meno virtuose».

Su un nuovo tipo di rapporto tra pubblico e privato dunque, si giocherà la partita dei prossimi anni, ma a determinate condizioni: il privato non interviene sulle spese di gestione, che pertanto non potranno più subire tagli a iosa da parte del Ministero. In sostanza non si finanziano mostre in musei chiusi, o peggio ridotti a un’esistenza spettrale per la mancanza di fondi e personale.

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