IL BASTONE E LA CAROTA

di - 9 Settembre 2010
***** ha sui 30 anni, è laureato, i suoi lavori sono
conosciuti sul web. Come tanti altri writer romani, è uno di quei “sedicenti”
artisti che invadono ogni notte le vie della Capitale per riempire i muri di
tag, di sticker, di poster. Anche a lui, insomma, si rivolge il piano del
Comune di Roma per ripulire i muri della città e per canalizzare il suo
“talento” all’interno di spazi circoscritti.

Parigi, Berlino e New York hanno debellato la piaga dei
writer con gli stessi mezzi, con le “vandal squads” da una parte e con i muri legali
dall’altra, ed è importante che in una città devastata dalle scritte come Roma
si inizi a pensare secondo queste stesse logiche. Qualche dubbio viene però a
leggere con attenzione le linee-guida di Alemanno. Artisti incompresi o vandali
da educare? Ma è possibile che il dibattito sulla street art in Italia debba
sempre ridursi a questo binomio?

Oggi la street art è un fenomeno largamente conosciuto.
Alcuni street artist sono tra gli artisti più conosciuti e seguiti al mondo. Istituzioni
museali internazionali aprono le porte a mostre di street art. Studi
sociologici hanno analizzato il fenomeno in gran parte delle sue forme visive e
sociali. Il problema – ma di problema si tratta? – della street art può quindi
essere inquadrato a dovere dalle amministrazioni locali italiane. Può essere
capito in tutte le sue forme e i sindaci e le loro giunte hanno oggi a
disposizione gli strumenti necessari per controllare sul proprio territorio le
forme più indigeste di street art. Parlare di street art secondo il binomio
arte/vandalismo non è quindi solo fuorviante, ma ostacola soprattutto la
comprensione di due problemi, l’uno politico e l’altro visivo, che la street
art mette a nudo nelle nostre città.

Il sociologo francese Alain Vulbeau, in Légendes des
tags
, spiega la
street art come una rivendicazione più esistenziale che materiale da parte di
gruppi sociali che vivono nelle grandi metropoli. La street art deriva nella
sua ottica dalla condizione precaria nella quale la società costringe una
fascia sempre più larga della popolazione, quella dei “giovani uomini”, cioè
dei ragazzi di età compresa tra i 20 e i 40 anni. Se la precarizzazione è un
processo strutturale delle nostre società, scrive Vulbeau, né i sindacati né i
partiti si sono però fatti carico di questo fenomeno di esclusione dei giovani.
La street art rappresenta in quest’ottica un rientro valorizzante nella
società.

Che la logica di questo rientro sia esistenziale e non
materiale, che non proponga ma dichiari solo la propria esistenza, poco
importa. Vulbeau fa riferimento a Gilles Deleuze e all’idea che le nostre
società non sono più strutturate secondo logiche di privazione, ma si fondano
sulla comunicazione istantanea. La posta in gioco è l’accesso agli spazi sociali
ed è quindi inutile stupirsi se una fascia della popolazione esclusa dalle
politiche delle nostre città si riappropria di spazi che sono anche i loro.

La street art mette inoltre a nudo
una serie di contraddizioni urbane irrisolte. Su quali basi si stabilisce il
diritto alla comunicazione visiva nelle nostre città? È lecito interrogarsi sui
principi che regolano visivamente la vita di una comunità urbana ed
eventualmente contestare l’idea che tutto dipenda dai soli parametri economici?
Come valutare infine l’impatto della street art a Roma, in una città nella
quale vige un regime di anarchia visiva e nella quale nessuna superficie è al
riparo dalle immagini?

La street art, per assurdo, nasce
e si sviluppa come una forma di ribellione all’assuefazione visiva dei nostri
paesaggi urbani. A Roma gli street artist sono forse più aggressivi che
altrove, ma solo a Roma le multinazionali si appropriano dei palazzi e degli
obelischi in centro, i cartellonari delle vie, i camion-bar delle zone
turistiche, i tifosi, le agenzie immobiliari e i politici dei nostri muri.


In un contesto del genere dove il
rapporto tra cittadini e immagini è completamente denaturato, una reazione
forte da parte degli street artist è facilmente prevedibile. Siamo nell’ambito
della Teoria delle Finestre Rotte. I tag e i graffiti si moltiplicano e
continueranno a farlo fino a quando delle politiche chiare non faranno
rispettare un regime di democrazia visiva condivisa, attento al bisogno del
privato di vendere il proprio prodotto come a quello del politico di far
conoscere le proprie iniziative e come infine a quello del writer di
rivendicare la propria esistenza e il rispetto del suo campo visivo.

Ben vengano quindi iniziative come
lo Urban Contest
che Walls e 21 Grammi inaugurano – maltempo permettendo – il 10 settembre al Circo Massimo con il
sostegno del Comune di Roma. Sono momenti come questo che aiutano a superare il
binomio arte/vandalismo e che, in prospettiva, potranno persino trasformare la
street art in una risorsa per la città anche a Roma e in Italia. Ma
ricordiamoci comunque che sempre di primo passo si tratta e che la street art
rappresenta un punto di snodo di una parte importante dei problemi delle
metropoli contemporanee.

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christian omodeo

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  • A poco meno di 48 ore dall'evento, la società 21 grammi s.r.l. ha reso noto il rinvio dell'Urban Contest. Alla richiesta dei motivi di questo slittamento se non altro inusuale, ci è stato comunicato che "il rinvio è scaturito per definire tutti i dettagli del "Patto" con i writer, la prima intesa formale tra le Istituzioni capitoline e gli artisti della street art".
    Si è comunque scelto di pubblicare l'articolo nella speranza di poter contribuire al dibattito che il Comune di Roma ha avviato con i writers in queste settimane e nella convinzione che più voci permetteranno all'attuale giunta di capire la complessità del problema dei tags e dei graffiti nelle nostre città.

  • ottimo articolo, ben scritto, realistico e documentato.
    per quanto riguarda il rinvio di urban contest, spazi o non spazi, i writer hanno sempre trovato altre strade.

  • Manco da Roma da anni, ma stando a quel che vidi ai tempi e di cui mi informo oggi, penso che i gestori dell'Urbe non perdono un'occasione per manifestare di che pasta son fatti, ora poi che nei palazzi bivacca anche il KKK nostrano, assistiamo ad edificanti vicende di generosa emulazione, talchè non pare fuori luogo il gemellaggio con la metropoli padana che mi ospita, dove sindachessa e vice sceriffo si affannano ad intralciare il traffico, di vetture prevalentemente parcheggiate fin sui davanzali a pianterreno, con squadre di muropulitori, rigorosamente d'importazione, alla faccia dei deliri razziali di parecchi loro scherani.
    Questi contentini, come la gara di spray, peraltro rinviata, o la concessione di imbrattare un chiostro, sono patetici quanto lo sarebbe il regalare una scatola di pennarelli a Caravaggio, a patto che non si facesse beccare a far schiamazzo o a tirar di scherma.

  • Writing e streetart sono due cose diverse, hanno finalità,motivazioni e tecniche differenti. Il writing e le tag saranno sempre presenti sulle strade sulle metro e sui treni principalmente per manifestare la propria presenza e affermarla, tutte le politiche del mondo non rallenteranno mai il fenomeno al massimo lo sposteranno da una parte all'altra della città. La street art è una forma artistica che sta a cavallo fra l'arte pubblica e il writing, con gli streetartist si può trattare a livello pubblico ma non con i writer puri (o almeno non con la pate più aggressiva). Questa sovrapposizione di figure causa confusione, finchè non sarà definitivamente chiaro che vi è una differenza di fondo netta e precisa non si farà altro che discutere sul nulla.

  • @ste: che street art e writing siano due cose formalmente diverse nessuno lo mette in dubbio, ma che le finalità e le motivazioni del writer o dello street artist siano del tutto diverse ci credo poco e non solo perché spesso si tratta delle stesse persone.
    Credo ancora meno all’idea che graffiti e tag saranno sempre presenti nelle strade e sulle metro, perché ovunque nel mondo chi ha voluto farle sparire ci è riuscito. Costa caro e non è una soluzione definitiva, ma questo è un altro problema.

    @Vito De Meo: non credo sia solo una questione di colore politico. Ho visto comuni amministrati dal centro-destra fare scelte illuminate in materia, ad esempio non inasprendo a dismisura le pene nei confronti dei writers, mentre ci sono comuni di centro-sinistra che concedono a stento un muro in periferia agli street artists.
    Non credo neanche che i muri legali siano solo dei patetici contentini. Magari sbaglio, ma non sarò di certo io a contestare chiunque riesca a far dipingere uno dei muri del mio quartiere da uno street artist come Blu o da qualche altro grande nome della scena internazionale.

  • Credo che il reale problema della street art stia nell’ostinarsi, da parte di critica e pubblica, a dare chiavi di lettura di tipo sociologico al fenomeno. Vulbeau descrive la street art come un necessario riappropriarsi di spazi di visibilità da parte di chi ne è escluso, una visione probabilmente valida sino ai primi anni Novanta ma che oggi sembra non tenere conto del fatto che la street art è un fenomeno mainstream a tutti gli effetti. Attorno ad esso infatti gravitano enormi interessi ed è parte integrante di un movimento globale come la street culture, mediaticamente, culturalmente ed economicamente autonomo. Paradossalmente però, proprio questa autonomia assieme alle letture sociologiche (giustificatorie?) distolgono l’attenzione da una analisi di tipo artistico e rendono inevitabilmente arduo -fatta eccezione di esempi virtuosi come BLU- l’ingresso nel mondo dell’arte contemporanea a molti validi artisti. La street art è di fondo stereotipata e canonizzata secondo codici ed estetiche presenti ovunque (dalla pubblicità ai diari per le scuole medie) riducendosi a semplice fenomeno di costume e allontanandosi drasticamente da alcuni principi fondamentali del fare artistico quali la ricerca di nuove forme espressive ed estetiche, l’apertura di scenari inaspettati, l’indagine di tematiche solitamente non affrontate. In tutta sincerità e nel rispetto assoluto degli organizzatori, credo che un evento come quello previsto al foro italico possa solamente addomesticare ed annacquare una realtà, se non morta, già piuttosto piatta e noiosa. Per gli amanti del genere piuttosto, sarà sempre più necessario considerare gli artisti che provengono da questa scena guardando ai loro percorsi individuali, facendosi carico di indagini più approfondite, abbandonando semplicistiche visioni di insieme e senza troppo considerare ragioni di movimento o corrente.

  • @christian omodeo
    non si tratta quasi mai delle stesse persone..certo molti street artist son partiti dal writing e poi sono approdati alla streetart per portare il loro lavoro fuori dalla strada e entrare nel mercato. Fra i writer la streetart è detestata, e te lo posso assicurare. Quando nel 98,99 si sono iniziati a vedere poster e stancil quei soggetti erano presi per il culo da tutta italia, calcola che anche chi faceva i figurativi in quegli anni veniva definito writer solo perchè non esisteva un altra definizione: il writer è e sarà sempre scrivere il nome, diffonderlo il più possibile e acquisire uno stile riconoscibile, la street art è usare la strada per creare un opera d'arte (o dovrebbe esserlo, spesso è solo usare la strada per farsi promozione). sarebbe come dire che tutti i pittori sono uguali perchè dipingono tutti delle tele, e dire che so che pollock e lotto alla fine si equivalgono. Artisti ibridi ci sono e ci saran sempre ma questo vale per ogni forma artistica, il vero problema è che su queste tendenze manca totalmente la critica e ci si trova ad affiancare con incompetenza estrema artisti che nn centran nulla con l'unico denominatore comune la fantomatica strada.
    Che poi riusciranno a debellare i graffiti ho qualche dubbio, magari non vedrai le metro girare dipinte ma ci sarà sempre qualcuno che scenderà in tunnel a farli per guardarsi la foto: ormai non importa se gira il treno deve girare la foto sul web.

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