Il racconto per immagini, l’“album ideale” di Silvio Berlusconi, a cui lei dedica il suo libro, accompagna la costruzione di una narrazione che coinvolge trent’anni di storia del nostro Paese. Come si riflettono reciprocamente questi due racconti?
Dovrei scrivere un altro libro per rispondere, ammesso che ci riesca. Berlusconi e la commedia all’italiana, Berlusconi e i personaggi interpretati da Sordi e Gassman… E poi la questione della Commedia dell’arte; e ancora il tema del comico e del tragico. La “commedia” è l’essenza stessa dell’identità italiana. Il nostro massimo autore ha scritto un testo che si chiama Commedia: dopo Dante bisogna ragionare su questo aspetto. Berlusconi incarna perfettamente lo stereotipo dell’italiano medio: è Albertone al potere. Nei difetti, come nei pregi, in modo abietto ma anche sublime.
Ed esprime allo stesso tempo i desideri consci e inconsci degli italiani, i loro istinti animali, ma anche la loro parte idealistica, spesso ipocrita e cinica: la Mamma, la Famiglia, la Donna, i Figli, le Amanti. Il tema del kitsch, il “cattivo gusto” di Berlusconi, dai regali alla villa sarda, sarebbero tutti argomenti di uno studio a sé, in cui Berlusca è il perfetto specchio degli italiani, ma anche il contrario: oggi sono gli italiani, popolo pigro e mammone, a specchiarsi in lui. L’album di Una storia italiana è la vera bibbia dei poveri, il fotoromanzo di una nazione.
Dal suo lavoro e da quello di altri studiosi emerge chiaramente come il racconto del corpo coincida con una profonda rivoluzione culturale che ha investito gli italiani. Secondo lei questo progetto è stato consapevolmente perseguito fin dall’inizio, o piuttosto si è trattato di un processo caratterizzato anche da elementi di casualità?
Tutte e due le cose. Da un lato c’è il portato delle grandi trasformazioni economiche: il capitalismo degli anni ‘80, il “Dancing day”, il riflusso, il ritorno al privato, tutti effetti dell’orgia degli anni ‘60 e ‘70. Ma poi c’è l’influenza delle televisioni di Berlusconi. Silvio Berlusconi è il “Masscult” al potere, con un po’ di “Midcult”, per usare vecchie espressioni di Macdonald, il critico americano che ha affrontato il problema negli anni ‘60. La politica culturale di Berlusconi è doppia: televisione per le masse, editoria più colta per le masse di palato più fine; e poi settimanali e riviste per tutti. Badi bene che ad aiutarlo in questo sono state tutte persone provenienti dalla sinistra; molti dall’estrema sinistra, e qualche ex comunista: Gramsci a Segrate.
Come mai, secondo lei, la sinistra italiana non è riuscita nel tempo a elaborare un vero progetto culturale alternativo e appetibile? Scarso adeguamento degli strumenti culturali, scarsa conoscenza dei media o scomparsa delle idee dall’orizzonte della cultura e della politica?
Tutte e tre le cose. Primo, la sinistra ha il complesso della maggioranza. Si preoccupa sempre di dire cose che siano moderne, adeguate, condivise, come se la democrazia attuale fosse davvero un valore e non tanto, o non solo, una perversione della democrazia proposta come valore nel Novecento. I media non sono neutrali, ma neppure vanno demonizzati. Ora come ora non esiste più un’idea non-berlusconiana della televisione. Tutti si adeguano: devono fare i numeri, avere successo, e su questa strada Berlusconi-Warhol batte tutti.
Quindi niente da fare. La sinistra non sarà mai maggioranza, questo deve metterselo in testa. Nella moderna democrazia mediatica sono le minoranze che contano, non le maggioranze. Le minoranze fanno cultura, inventano idee, parole d’ordine, creano valori condivisibili. Ma sempre cercando di forzare l’idea della maggioranza. Le idee ci sono sempre; anzi, direi che l’essenza del berlusconismo culturale sono le idee di sinistra sviluppate in termini consumistici.
Giuseppe Genna, nel suo ultimo romanzo, Italia De Profundis, a un certo punto scrive: “L’Italia non sta affatto regredendo: sta al contrario avanzando. L’Italia, in questo momento, è la punta di diamante del mondo sviluppato nell’accelerazione verso la trasformazione antropica impulsata da quella che si potrebbe definire ‘malattia occidentale’ e che consiste nell’autoespropriazione dell’umano, attraverso gradi sempre più intensi di assunzione di finzione non retroattiva…”. È d’accordo con quest’affermazione?
Come paradosso funziona. Ma siamo sempre nel pop. Certo, l’Italia è tornata a essere un laboratorio in Europa, nel senso che qui si sperimenta un postmodernismo dei poveri, in sé unico, fondato sulla figura di Silvio B., ma non c’è solo questo. Forse Genna allude alla storia passata dell’Italia, alla sua eterna crisi post-rinascimentale: già Guicciardini scriveva cose del genere.
Dalle sue riflessioni traspare la convinzione che questo processo di continua spettacolarizzazione della politica e della sfera pubblica sia destinato a concludersi, e che a esso seguirà una nuova consapevolezza e un’assunzione di responsabilità…
Ho scritto il libro per le mie tre figlie: due adolescenti e una piccolissima. Perché ricordino una cosa che è stata. Finirà, credo, perché si fonda solo ed esclusivamente su Berlusconi, che è causa ed effetto della situazione attuale. Finirà perché tutto ha fine, anche la vita umana. Forse può fondare una dinastia, lo ha detto più volte nel corso degli anni ‘80. Vuol essere il nostro Kim-il-Sung… Tutto il suo sistema si regge sul piede di una ballerina, ovvero su di lui, sulla sua salute ed energia. Penso che Berlusconi non possa sfidare e vincere i principi della termodinamica. Quando non ci sarà più, capiremo e vedremo meglio molte cose: l’imbarbarimento della nostra vita comune, le ingiustizie, gli egoismi, i fallimenti…
Ma poi dovremo ancora fare i conti con la nostra antropologia e con la nostra storia che comincia e va ben oltre Re Silvio. Qui sta il punto vero. E io non so rispondere sino in fondo alla domanda: quanto c’è di permanente e di perituro nella nostra attuale situazione. Io ho provato a dire cosa c’è di duraturo e insieme di perituro: l’istante che dura per sempre. Siamo ipnotizzati oppure viviamo già nel Matrix del Cavaliere? I prossimi anni ci risponderanno di sicuro. C’è nell’aria un’attesa della tragedia che mi colpisce: tutti aspettano qualcosa. Che cosa sia non si sa.
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non credo che l'autore abbia bisogno di complimenti dato che mi pare ci terrebbe di piu a suscitare in noi un briciolo di intelligenza
il libro è chiaro acuto ed efficace
forse la giovane critica d'arte italiana dovrebbe imparare qualcosa da questo invece di rincoglionirsi a leggere robaccia
come i proclami di pistoletto o le banalità di bourriaud
....."little ITALY".....
(la diseducazione arriva dall'alto)....ASPETTANDO
ASPETTANDO...che qualcosa cambi
ASPETTANDO...babbo Natale per prenderlo a
calci nel culo
ASPETTANDO...che i delinquenti la smettano
di mettersi giacca&cravatta
ASPETTANDO...di essere al MOMA
ASPETTANDO...di non dover morire in
autogrill xke` un pirla mi
spara
ASPETTANDO...di pagare meno tasse di un
gioielliere
ASPETTANDO...che la si smetta di chiamare
le prostitute come l`auto
di punta della FORD
ASPETTANDO...una donna che mi passi a
prendere che mi offri una
cena e che mi faccia
ASPETTANDO...che mi paghino per quello
che faccio
ASPETTANDO...di non dover bruciare in casa mia
mentre un treno deraglia
ASPETTANDO...di non dover crollare con
pavimento e soffitto
ASPETTANDO...che la furbizia diventi un vizio e non una virtu`
ASPETTANDO...
ASPETTANDO...
ASPETTANDO...
ASPETTANDO...