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16
giugno 2012
Il mondo alla rovescia di Art Basel
Politica e opinioni
Per i ricchi sempre più ricchi la fiera svizzera è un must, dove l'unico guaio è non riuscire ad accaparrarsi l'opera desiderata. Perché le vendite vanno alla grande, artisti di nicchia e giovani compresi. E per le opere oltre il milione di euro bisogna mettersi in fila. Soddisfatte anche le gallerie italiane. A Basilea, insomma, la crisi non sanno neanche che è [di Paola Ugolini]
Tempi tristi di crisi economica globale, di recessione e di spread ma non a Basilea dove lunedì 11 giugno alle 11 del mattino i cancelli della quarantatreesima edizione di Art Basel si sono aperti per accogliere i più importanti collezionisti di arte contemporanea del mondo che, muniti di una preziosa tessera nera “vip first choice”, hanno potuto aggirarsi, senza la solita e spesso inutile folla che ingolfa i corridoi delle fiere, fra gli stands delle 300 gallerie migliori del pianeta. Io sono potuta entrare solo alle 15 e già l’aria che si respirava era di grande fermento e ottimismo, le facce dei galleristi tutte super sorridenti e quelle dei collezionisti pure. Gianenzo Sperone, direttore della galleria italo-americana Sperone-Westwater, mi ha detto che alle 11.15, cioè solo 15 minuti dopo l’apertura, aveva già venduto ben sette opere e che contava di vendere tutto entro martedì sera, non male davvero!
Al piano terra, come consuetudine, le gallerie storiche, come Aquavella e Zwirner di New York, Tucci Russo di Torino e, ovviamente, la multinazionale del contemporaneo “main stream” Gagosian, hanno presentato una selezione di capolavori museali da Picasso a Lucien Freud, da Chamberlain a Jeff Koons per non parlare della Galleria Marlborough che è riuscita a lasciare tutti a bocca aperta esponendo un meraviglioso olio di Rothko del 1954 da 78 milioni di dollari, l’opera era piantonata da una guardia armata, un pezzo straordinario giocato sui toni arancio, rosso e giallo che il direttore della Galleria era sicuro di riuscire a vendere in due giorni. Anche Alfonso Artiaco, gallerista napoletano, dopo la prima giornata ha dovuto sostituire con un bellissimo Sol Lewitt, un grande lavoro di Kounellis venduto poche ore dopo l’apertura. Il secondo piano, con le gallerie più “giovani”, davvero strepitoso con una serie di proposte che avrebbero allettato anche il collezionista meno passionale. Da White Cube, Londra, una coperta ricamata di Tracy Emin fronteggiava una bellissima fotografia lunga tre metri di Andreas Gursky per non parlare della bellezza di una gigantesca farfalla tutta di ali di farfalle blu di Damien Hirst che ha affascinato una piccola folla.
Moltissima pittura, poca fotografia, un grande ritorno al passato, in particolare agli anni Settanta e al collage, confesso di essere rimasta letteralmente a bocca aperta dai prezzi raggiunti da alcune opere, che non sono mai state di “mass market”, come i sofisticati collage di Marta Rosler, una storica artista americana molto impegnata politicamente, per una piccola opera 50×60 ormai ci vogliono ben 50mila dollari, anche i lavori concettuali del trio canadese General Idea o degli inglesi Art and Language, entrambi figli di quell’arte sociale emersa dopo il ’68, molto proposti, molto richiesti e ormai costosissimi.
Un ritorno al passato quindi, ma non a un passato qualsiasi bensì a quel recente passato denso di femminismo, politica e impegno che sembrava superato dall’edonismo economico degli ultimi vent’anni e che la crisi globale ha riportato in auge. Pochi i collezionisti italiani che hanno fatto acquisti ma, e questo mi ha reso felice, tanti i collezionisti stranieri che si sono rivolti ai lavori dei grandi maestri dell’Arte Povera italiana come Pierpaolo Calzolari, presente anche ad Unlimited con un lavoro portentoso, forse il più bello della sezione: cinque materassi allineati in verticale a formare un muro bianco di brina ghiacciata. Presi letteralmente d’assalto anche i lavori di Giuseppe Penone, una delle star di (d)OCUMENTA 13 a Kassel, e di Alighiero e Boetti.
Grande successo commerciale anche per i nostri “artisti giovani”, chi ha avuto il coraggio di portarli è stato premiato, non esagero se scrivo che nello stand della galleria Zero di Milano c’è stata la fila per acquistare una delle sculture in bronzo che riproducono a grandezza naturale i pali di legno consunti dal mare degli imbarcaderi veneziani di Giorgio Andreotta Calò, vincitore del premio Italia 2012, per il momento solo tre collezionisti sono stati accontentati e per tutti gli altri una lunga lista di attesa. Mauro Nicoletti, direttore della romana Galleria Magazzino, ha venduto il primo giorno i lavori di Daniele Puppi, Alessandro Piangiamore e Gianluca Malgeri a tre collezionisti stranieri ed io ho sentito con le mie orecchie un’importante “advisor” parigina, di quelle snobbissime con la borsa di Chanel e il tacco 12, raccontare entusiasta ad una collega di quanto le fosse piaciuto il lavoro video di Puppi e anche degli “autres jeunes italiens” e, conoscendo bene lo storico sciovinismo dei francesi, quelle parole sono state musica per le mie orecchie.
Le tre giovani star dell’arte pittorica pop-informale americana Nate Lowman, Dan Colen e Dash Snow hanno subito fatto il tutto esaurito, per non parlare degli specchi di Pistoletto, ormai i lavori storici con le veline hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 800mila euro ed è difficile trovarli, dei tagli di Fontana, dei sacchi e delle combustioni di Burri, dei dipinti surrealisti di Magritte e Dalì e dei mobiles di Calder, in effetti un noto gallerista italiano mi ha spiegato che il problema non è trovare i compratori ma avere i lavori, di capolavori ce ne sono troppo pochi e sono in tanti, troppi a volerli, i prezzi salgono in maniera vertiginosa e, paradossalmente, è più facile vendere super opere da milioni di euro che un lavoro a 100mila.
Dopo tre giorni passati dentro la fiera per ritornare con i piedi per terra sono dovuta rientrare a Roma, dove mi sono resa conto di aver vissuto in una sorta di bolla extraterrestre in cui l’unico problema è avere abbastanza merce di grande qualità da offrire a un mercato di pochi eletti molto esigenti e, a dispetto della crisi, sempre più ricchi.
Il Rothko “untitled,1954” forse è affidato alla Marlborough dal collezionista? che l’aveva acquistato in asta a N.Y. nel 2007 pagandolo 27 milioni di dollari.
Brava paola!!!! Mi piacerebbe condividere questo tuo articolo su fb!!! buon lavoro!!!