Largo ai vecchi!

di - 24 Ottobre 2013
Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Jannis Kounellis, Marisa Merz, Maurizio Mochetti. E poi Calzolari, Claudio Verna, Boetti, Gastone Novelli e Luigi Ghirri. Alcuni sono più anziani degli altri, qualcuno addirittura è scomparso da tempo, ma sono tutti sulla cresta dell’onda.
Che l’Italia non sia un Paese per giovani lo abbiamo capito da tempo, e forse ormai ci abbiamo fatto anche un po’ il callo. Eppure spesso ci si chiede perché nelle fila del contemporaneo siano i “nonni” ad avere la migliore visibilità. Proviamo a seguire qualche traccia, con qualche esempio illustre.
I Leoni d’Oro alla carriera dati dalla Biennale di Venezia, per esempio, non possono andare a giovanissimi o mid-career (lo dice la parola stessa), ma ecco che i vecchi dell’arte “beatificati” dal sistema, come scherzò Michelangelo Pistoletto sul suo conto a proposito della mostra al Louvre, diventano assi-pigliatutto. Fondazioni, gallerie, interventi pubblici zeppi della partecipazione di “over”. La lista è lunga, e di certo non si può farne una colpa agli artisti, piuttosto forse ad un sistema che ragiona sull’effetto “nuda proprietà”. Che c’entra l’immobiliarismo? La metafora è semplice, e ha a che fare con una promozione che mostra dopo mostra, catalogo dopo catalogo, pagina dopo pagina, si gonfia. E una “bolla” con decine d’anni alle spalle, “canonizzata” anche dal tempo, è più sicura per collezionisti, investitori e promotori d’arte, pubblici o privati che siano. Niente a che vedere con le “bolle” create intorno ai “miti” giovani di cui sono sovraffollate le pagine quotidiane delle cronache contemporanee.
Marisa Merz è stata chiamata ad inaugurare, insieme a Adrián Villar Rojas (che invece è nato nel 1980), la sua prima personale nel Regno Unito, nei nuovi spazi della Serpentine Gallery di Londra, creati da Zaha Hadid (e anche sugli architetti il discorso fatto sugli artisti potrebbe calzare a pennello). Ma la Merz ha recentemente avuto anche una mostra da Barbara Gladstone a New York, galleria che rappresenta “la prima Lady dell’Arte Povera”, come è stata definita dal Guardian, già da parecchi anni e, non lo abbiamo certo dimenticato, ha vinto il Leone d’Oro alla Carriera alla Biennale di Venezia, insieme alla collega austriaca Maria Lassnig, classe 1919. Qui l’Espressionismo e di là l’Arte Povera, il movimento che oggi più che mai una serie di grandi eventi sembrano definire il vero timbro della modernità. Di una modernità forse istituzionale, probabilmente un po’ ingessata, ma che comunque ha portato la bandiera tricolore, con i suoi artisti, ad invadere il mondo dell’arte occidentale che conta.
Che dire di Giuseppe Penone, che dopo essere finito a Versailles è ora al Madison Square Park della Grande Mela? Entrambi i progetti hanno richiesto anni di progettazione, e di fondi da recuperare. Ma uno dei risultati per l’artista, nato a Garessio nel ’47, è stata anche una selling exhibition “When man meets nature” da Sotheby’s, sempre a New York, durata quasi un mese a cavallo tra settembre e ottobre.
Di Alighiero Boetti ormai i riconoscimenti sono più che noti: la scorsa estate è stato protagonista al DIA:Beacon, prima ha avuto un lungo omaggio al MAXXI, preceduto dalla tripletta MoMA, Tate e Reina Sofia del 2012, carte e disegni che escono da tutte le parti (tra cui a Milano, da Repetto Project, in una bella mostra che termina il 16 novembre) e un nuovo catalogo generale, curato da Anne-Marie Sauzeau con il coordinamento di Jean Christophe Ammann: quattro tomi, divisi in periodi da otto anni, a tracciare una storia “orizzontale” di un Boetti meno da schedario.
Poi c’è Gastone Novelli, altro grande che passa dal MACRO alle Gallerie d’Italia di IntesaSanpaolo di Napoli, corrisposto a sua volta da un nuovo volume, curato da Marco Rinaldi. Peccato che Novelli e Boetti siano scomparsi troppo giovani, e che attualmente non possano assistere alla creazione di quella “bolla solida”, più che giustificata in entrambi i casi, intorno alla loro produzione.
Ma che dire poi di Luigi Ghirri, passato dalle sale di Matthew Marks, ancora a New York, all’Arsenale del Padiglione Italia curato da Bartolomeo Pietromarchi e transitato con la prima completa antologica al MAXXI (finissage giusto domenica 27 ottobre) che da Roma tornerà negli States? O di Pistoletto, già Leone d’oro nel 2005, che passa con nonchalance dalle sale del più grande museo francese, e forse mondiale, a Biella?
Ci sono poi le gallerie italiane, che hanno costruito il proprio successo con le collaborazioni dei senior, o che talvolta hanno deciso di virare le loro programmazioni a favore di poetiche più “formate”, se ci si passa questo termine. Caso emblematico, nel tessuto romano, è quello di Giacomo Guidi, che da Maurizio Mochetti a Jannis Kounellis ha sfoderato negli ultimi tempi una serie di esposizioni di alta fattura, in tutti i sensi del termine. Ma perché un gallerista giovane lavora con artisti parecchio più grandi di lui e non con i coetanei? «Finora non ho incontrato una generazione migliore di questa che va dai 50 passati ai 70 anni. Sono in gamba, pieni di energie, rapidi, seri, non fanno capricci. Mi ci trovo benissimo e non intendo cambiare», taglia corto Guidi.    
Bianconi, a Milano, tra i prossimi progetti rivela una nuova personale di Giacomo Zaza, dopo una serie di mostre con un timbro più sperimentale e orientate alla promozione di artisti più giovani. E a Roma c’è anche Monitor, trendy e apprezzata per la scoperta di parecchi giovani; Vascellari, Arena, Rä di Martino, Rovaldi ecc che lo scorso maggio  ha tirato fuori dal suo cilindro un italiano decisamente senior, Claudio Verna, classe 1937.
Dulcis in fundo, un’altra sorpresa è stata data dalla Prometeo Gallery di Ida Pisani, che sempre a Milano ha mixato Rossella Biscotti e Louise Nevelson, Nunzio e Burri. «Per un progetto culturale, in cui i “grandi vecchi” possano servire come stimolo ai giovani, che spesso replicano inconsapevolmente il lavoro dei propri “antenati”, con risultati meno felici», ci aveva spiegato la gallerista. Per uscire dall’ignoranza, insomma, e forse per creare un cuscinetto sicuro alla voce “vendite”. Perché se c’è una cosa che i grandi vecchi possono dimostrare, al di là della loro freschezza attuale o meno, è la continuità del percorso. Checché se ne dica, l’arte contemporanea non è il concatenarsi di una serie di fenomeni effimeri giustificabili o meno. Questo il mercato lo sa bene, da sempre. E la sicurezza di un “nonno”, la sua esperienza e le sue rassicurazioni (anche il suo portafoglio), non sono mai state apprezzate tanto, probabilmente, come in questo periodo storico. E i giovani? Forse le vendite del tesoretto di famiglia potranno portare benefit anche a loro. Nell’attesa potranno sempre fare il tifo per il nonno preferito.

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  • solo rinnegando i padri-nonni si cresce iniziando un proprio percorso nuovo;il tempo dei nonni non è più il nostro tempo (GIOVANI) solo i GIOVANI-VECCHI seguono ancora i nonni.....ogni rivoluzione si trasforma in conservazione,i nonni vivono di ricordi del vecchio tempo glorioso che fù,e paternalisticamente proteggono i nipoti superficiali nati vecchi,insicuri,poco lucidi, che vogliono vivere all'ombra di miti creati ad arte.....NON GUARDATE PIù ALL'INDIETRO,QUESTO BISOGNA DIRE AI GIOVANI,CERCATE IL NUOVO.

  • Caro Ferdinando ma se guardando avanti vedi le stesse cose di tuo nonno cosa fai? le riproponi tali e quali,le rielabori e personalizzi, o cammini ancora un pò per cercare e vedere altro?

  • caro Angelo,la risposta l'hai detta,si continua a perchè l'arte vera è in divenire continuo,infine quello che i nonni hanno visto non è più quello che noi stiamo vedendo e vedremo in futuro....perchè l'arte vera è TECKNè, la quale è in continuo divenire.

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