L’ARTE DELLO SCANDALO

di - 31 Ottobre 2007
Dopo tante polemiche, la mostra riapre nella sua versione integrale. Cosa ne pensate? Quali sono le vostre aspettative?
Paolo Cassarà L’entusiasmo è forse un po’ passato dopo tutto quello che è accaduto, anche se mi ha fatto molto piacere che la mostra sia stata accolta da Firenze, una città nota in tutto il mondo per la grande tradizione artistica. È certamente uno smacco per il Comune di Milano e per una città ritenuta da sempre aperta e cosmopolita. Mi auguro che la mostra nella nuova sede fiorentina sia accolta con interesse e valutata per la qualità delle opere, al di là delle polemiche. Mi piacerebbe diventasse una mostra itinerante, un progetto esportato all’estero.
Paolo Schmidlin Dopo tante polemiche, discussioni e colpi di scena, la mostra mi sembrava quasi si fosse esaurita da sola. Dal mio punto di vista, la riapertura risulta per certi versi superflua. Tuttavia può essere una buona occasione per chi ne ha tanto sentito parlare ma non l’ha potuta visitare. Personalmente, a questo punto avrei preferito poter esporre la mia scultura in un Paese come la Svizzera o la Spagna; Paesi realmente liberi e democratici, e non così pesantemente influenzati dal potere della Chiesa. Non sono così ansioso di rivedere aperta questa mostra. Mi auguro che sia almeno l’occasione per presentarla con un allestimento più curato e che magari possa durare un po’ più a lungo che a Milano, dov’è stata aperta per una sola sera!

Come avete vissuto questa vicenda, sia dal punto di vista umano che da quello professionale?
P.C. Inizialmente ero contento ed eccitato per tutto l’interesse che la stampa ha creato intorno all’evento, cosa che avviene raramente per il mondo dell’arte. Poi la situazione è cambiata e sono stato travolto dalla rissa mediatica, che è andata ben oltre le opere. Come artista mi sono sentito per molti versi strumentalizzato e del mio lavoro se ne è parlato troppo in modo distorto, con interpretazioni molto lontane dalle mie intenzioni. Siamo arrivati a letture delle opere univoche e paradossali, estremismi che sono arrivati a intitolare la mia opera Pietà lesbo.
P.S. In un primo momento mi sono un po’ preoccupato per il putiferio sollevato dalla mia opera, che si poteva al massimo considerare irriverente ma certamente non blasfema. L’utilizzo di un linguaggio ironico è da sempre un elemento intrinseco al mio lavoro. Poi, vista la situazione farsesca che andava sviluppandosi, ho cominciato a divertirmi; lo scatenarsi della frenesia censoria della signora Moratti è stato uno spettacolo davvero surreale. Alla fine ha preso il sopravvento un senso di nausea per questa polemica così sconclusionata e fuori luogo. Ne è uscita un’immagine di arretratezza culturale che ha fatto davvero una pessima pubblicità a una città come Milano. Sono convinto che il Sindaco abbia sottovalutato l’intelligenza e l’apertura mentale dei suoi cittadini. Questo è un fatto di cui tener conto. Personalmente, c’è stato un momento in cui avrei proprio preferito sottrarmi alla bagarre mediatica.

Alcuni hanno pensato che sia stata un’operazione di scandalo pianificata a tavolino, un modo per alcuni artisti di promuovere la propria arte…

P.S. Mi dispiace che molti possano aver pensato che lo scandalo sia stato intenzionale e costruito. Nel mio lavoro c’è da sempre un tono ironico e dissacrante, ma assolutamente mai alcuna strategia da parte mia, né alcuna intenzione di cavalcare uno scandalo per autopromuovermi. Ritengo triste pensare che questo sia il modo migliore per diffondere la conoscenza dell’arte. Comunque, non voglio certo negare che questa singolare vicenda abbia portato molta pubblicità al mio lavoro, facendolo conoscere in un modo che non avrei mai previsto. È stata una sorpresa gradita e inaspettata.
P.C. Nel preparare l’opera ho volutamente puntato sulla provocazione, attraverso la sua simbologia e con la citazione indiretta di una nota iconografia religiosa. Il mio intento originario era provocare in modo costruttivo, per sensibilizzare il pubblico sul tema dell’omosessualità, e non certo una forma di promozione personale.

Come avete vissuto il rapporto con l’ideatore dell’iniziativa Vittorio Sgarbi e il curatore Eugenio Viola?

P.C. Sgarbi ha fatto quello che ha potuto nel prendere le difese della mostra con grande entusiasmo, ma alla fine la situazione è sfuggita di mano. L’Assessore ha per certi versi preso il sopravvento sul curatore, prendendosi carico dell’iniziativa e di tutte le sue conseguenze. Ha coperto il ruolo del curatore, mettendolo un po’ da parte e quindi, globalmente, c’è stato poco dialogo con loro. La spettacolarizzazione mediatica ha poi cancellato tutti i ruoli in un gran polverone polemico.
P.S. In primis il gesto di Sgarbi, che ha sostenuto e ha voluto esporre la mia opera, mi è sembrato coerente e coraggioso, considerando anche il rischio di una simile scelta e le critiche che poteva attirarsi. Poi, nella seconda fase, mi è sembrato adottare un atteggiamento forse anche troppo diplomatico nel tentativo di salvare la situazione con le istituzioni. Devo comunque riconoscere che l’Assessore mi ha sempre difeso come autore e scultore, anche quando ha cominciato a prendere cautamente le distanze dall’opera incriminata. La situazione era talmente delicata che capisco l’esigenza di dover mediare. Eugenio Viola è una persona di grande capacità, intelligenza e coerenza, che però si è trovato un po’ schiacciato dalla rissa mediatica che si è scatenata. Ha avuto non poche difficoltà nel portare avanti il suo progetto originario, che era davvero eccellente. Sappiamo anche che ha dovuto accettare parecchi compromessi sulla scelta delle opere esposte.

Che ne pensate del titolo della mostra, Vade Retro. Arte e Omosessualità?

P.C. Il titolo Vade Retro ha senza dubbio un tono istrionico, è uno slogan provocatorio. E come tale dev’essere inteso.
P.S. Il primo titolo Ecce [H]omo era sicuramente più raffinato ed evocativo. Soprattutto più in sintonia con il messaggio originario della mostra. Trovo Vade Retro un titolo ambiguo e un po’ di cattivo gusto, che forse ha danneggiato l’immagine della mostra. Mostra che poteva comunque osare di più. A mio avviso, le opere erano molto edulcorate e le scelte direi come minimo poco coraggiose, vedi ad esempio le immagini castigatissime di Mapplethorpe, del quale conosciamo tutti foto di ben altro impatto. La mostra presentata era, secondo me, davvero incensurabile: una mostra da educande. Abbiamo visto in tempi recenti, proprio in spazi pubblici milanesi, lavori ben più forti e senz’altro più vicini al concetto di “blasfemo” della povera Miss Kitty. Pensa alla mostra di Serrano al Pac, con foto di grandissimo formato in cui il crocefisso e altre immagini sacre erano immerse nell’urina dell’artista. Mi chiedo come mai, in quel caso, nessuno abbia battuto ciglio. Dov’erano in quel momento i crociati della morale cattolica?

Come doveva essere interpretata originariamente la vostra opera e com’è nata l’idea?
P.C. L’idea è nata dal voler giocare su una simbologia nota a tutti. Per questo l’ho intitolata Pietà, e non come riferimento alla celebre opera di Michelangelo. La mia opera rappresenta una donna che stringe tra le braccia una bambola gonfiabile, dove è forte l’ambiguità e lo scambio dei ruoli in queste figure androgine. Il lavoro si può interpretare secondo livelli diversi e non solo in senso lesbo o religioso. Nelle mie intenzioni vuol essere una denuncia dei disagi della società attuale: un’allegoria della mercificazione della donna, considerata alla stregua di una bambola gonfiabile, della decadenza dei rapporti e del sesso, della solitudine che pervade le persone. Tutte tematiche che noi viviamo e su cui mi piaceva far riflettere.
P.S. Nel mio lavoro parto sempre da soggetti che m’intrigano e non è mia intenzione lanciare messaggi. Mi piace che lo spettatore sia libero di leggere l’opera in modi diversi, come diverse sono le sensibilità di ciascuno. Della mia scultura, a cui ho dato il titolo Miss Kitty -volutamente neutro e privo di riferimenti-, è stata data una lettura univoca. La mia ricerca è però da sempre improntata sull’ambiguità delle somiglianze, sulla confusione delle identità (anche sessuali). Tutti elementi con i quali mi piace giocare in modo ogni volta diverso. Spesso nelle mie opere mi diverto a rielaborare immagini di volti noti, collocandoli in situazioni anomale e a volte spiazzanti. È solo un gioco, prendiamolo con un po’ d’ironia! Alla base di tutto c’è sempre l’idea di far riflettere sui lati oscuri e un po’ scabrosi dell’animo umano e della sessualità. Miss Kitty è stata subito bollata come scultura blasfema, ma in realtà la mia creatura era solo il ritratto ironico di un vecchio travestito ammiccante e un po’ maligno.

Qual è l’aspetto della mostra che non vi è piaciuto e quale invece l’opera che vi ha fatto riflettere?
P.S. La mostra è stata forse mortificata da un allestimento frettoloso e da alcune opere certamente non troppo pertinenti. Ho trovato molto affine alla mia ricerca l’opera fotografica di Basilè, dove ritrovo molti degli elementi che mi affascinano, dall’ambiguità sessuale al glamour hollywoodiano. Direi che le opere fotografiche erano la parte più interessante, con nomi d’importanza mondiale e foto “storiche”. Un percorso di grande spessore e interesse.
P.C. Molti i lavori validi e ricchi di spunti; l’aspetto penalizzante è stato l’allestimento. La fotografia era forse la parte del progetto che restituiva un’idea di vera e propria estetica contemporanea. Tra le foto mi viene in mente quella di Paul Smith per il grande impatto emotivo e l’effetto spiazzante.

In futuro dove vi augurate di esporre le vostre opere censurate?
P.S. La collocazione ideale per Miss Kitty sarebbero i Musei Vaticani! È un vero peccato che la Chiesa sia così totalmente priva di ironia. Comunque, viste le difficoltà incontrate da quest’opera in Italia, sto volgendo il pensiero all’estero e ho già avuto una serie richieste dalla Spagna. Con tutto il clamore generato, l’intera mostra avrebbe comunque avuto grandi possibilità di essere esportata con successo. È stata davvero un’occasione perduta.
P.C. La mostra meritava di essere esportata all’estero. Avrebbe potuto essere un progetto internazionale e di grande risonanza se il caos mediatico fosse stato gestito meglio. È stata un’occasione mancata. Vedremo ora cosa accadrà a Firenze. La città, da sempre culla per l’arte, è senza dubbio all’altezza e si è dimostrata molto più aperta e accogliente di Milano.

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Intervista con Eugenio Viola

a cura di federico poletti


dal 26 ottobre 2007 al 6 gennaio 2008
Arte e Omosessualità. Da von Gloeden a Pierre et Gilles
a cura di Eugenio Viola
Palazzina Reale
Piazza Adua, 50 (zona stazione) – 50123 Firenze
Orario: da martedì a giovedì ore 14-22; venerdì ore 14-24; sabato e domenica ore 11-22
Ingresso: intero € 7; ridotto € 5
Catalogo Electa
Info: tel. +39 0422410886; www.artematica.tv

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  • cosa me ne frega dell'arte dei froci? o dei negri? o delle donne? o degli obesi? o dei cinesi? o degli italiani? o degl'interisti? datemi dell'arte che parla a tutti questi o state zitti!!!

    forse non agl'interisti tutto sommato...

  • Be', insomma, abbiamo capito che il signor Viola la mostra se l'è fatta per quelli come lui, che la pensano come lui, hanno i suoi gusti e frequentano i suoi bar preferiti (al massimo li esime dall'obbligo di essere gay!). Alla faccia dell'universalità dell'arte...

  • A volte si parla di sproposito. È normale. Forse naturale. E la naturalezza quando diventa normalità è una forma di insufficienza critica. Orientamento che genera, tra l’altro, un giudizio sempre più ottuso, devitalizzato e, cosa pericolosa, conformistico.
    È semplice puntare il dito (quell’indice che indica bisognerebbe tagliarlo a volte). Concede quasi sicurezza – particolarmente a chi ha una struttura mentale abbastanza “cavallina”.
    Accusare è quasi un godere; forse è un orgasmo, una perversa soddisfazione direbbe una psicanalista francese. (Il “noi”, quel noi conformistico di cui sopra, quell’abito blu, è cosa assai comoda al tempo d’oggi).
    Ora, sono davvero risibili le accuse mosse alla mostra di Eugenio Viola. Strambe poi, se le accuse vengono mosse da chi non ha orientamenti specifici nel campo dell’arte e che un po’ per logorrea (un po’ per diarrea vocativa, diciamolo pure) parla tanto per stare al centro dell’attenzione.
    Ma la nostra è una democrazia, naturalmente – e per fortuna –, accettare le fatue critiche di qualcuno non può che far piacere: “parlarne, bene o male, l’importante è parlarne”.

    Bisogna però sottolineare:
    1) Eugenio Viola – a me pare, e ne sono convinto – è un critico d’arte intelligente, ed è capace di affrontare, appunto con intelligenza, ogni situazione. E non dimentichiamo che non parliamo di un novellino: Viola è uno studioso.
    2) La mostra Arte e omosessualità che per me resta Ecce [H]omo ha un’organizzazione impeccabile: e muove le proprie mosse da una visione artistica e da un principio estetico che apre uno scenario pulito (almeno quello offerto da Viola) che segue una linearità tecnica e nel contempo si ramifica nei luoghi della corporalità. È un vero e proprio elogio dell’uomo. Dell’umano. Di quell’Umano, troppo umano da diventare necessariamente oltre-umano (tanto che, volendo seguire una traccia foucaultiana, definirei eteroumano), e anche super-umano; nel senso più strettamente nietzscheiano: ovvero di oltreumano che va al di là del bene e del male e al di là della stessa condition humaine.
    3) L’allestimento è rigoroso, toccante, acutamente organizzato, attento ad ogni citazionismo (che va, ad esempio, da Gustave Courbet a Marcel Duchamp).

    Poi, voglio dire…, e basta con queste emerite “str*****e” che l’omosessualità è autre, e che l’omosessualità è, come dice Alberto Agazzani che si sente «profondamente offeso», «tormento ed estasi» e bla bla bla… non se ne può più!
    Ma non sono moralismi retrò? E che diamine! È una vergogna!

    In ogni modo: cum sid est causa que mi associo sensibilmente alla linea di Viola, non posso non dire con lui che ognuno, all’interno della società, deve avere – e mantenere – il proprio ruolo attivo: «all’artista libertà di espressione, al critico di opinione, al pubblico di selezione»…

  • Caro Tolve, l'amicizia è un gran valore e apprezzo davvero molto il tuo vano sforzo in difesa del tuo caro amico e compagno di scuola Viola. Questo ti fa molto onore e denota un coraggio davvero ammirevole. Il resto un po' meno, soprattutto quando ti rivolgi a persone che non conosci e che, permettimelo, sono "sul marciapiede" (accademico, storico, critico, umano e personale) da un po' più anni di te. Di più non aggiungo perchè non mi pare che il tono, il linguaggio e i contenuti decisamente scarsini del tuo appassionato intervento non meritino altro e si commentino da soli. Amen e cordialità.

    albertoagazzani

  • Gentile Agazzani,
    visto che vengo tirato in causa inutilmente, non posso non rispondere alla sua. E mi pesa molto perché ho tante, troppe cose da fare.
    L’amicizia è un gran valore, ma questi vani scarsi sforzi di cui lei dice fanno parte soltanto d’un pettegolezzo lascivo e isterico.
    In ogni modo rivolgo la mia critica ad una ottusità dilagante (e spero che lei non sia tra queste dilacerazioni pseudointellettuali).
    Per ciò che concerne il mio giudizio, e i miei strumenti d’analisi, le permetto tutto quel che vuole; non mi interessano certo le critiche (anche se le “critiche delle critiche” per dirla con Filiberto Menna, sono molto interessanti).
    Il mio certo “non” appassionato intervento è semplice: come saprà, la semplicità (è Nietzsche ad insegnarcelo) contiene in sé ogni tipo di complessità.
    Su quello “scarsino” di cui dice, preferisco sorvolare poiché mi pare cosa assai improbabile e “genuina” come la sua analisi. E naturalmente, visto che le cose si commentano da sole, come dice, lasciamo che tutto si naturalizzi da sé.
    Non se la prenda e non si senta attaccato, accusato o messo in questione quando parlo di retroattività critica e di moralismi. È lo stato delle cose, ne prenda coscienza.
    E spero che lei non me ne voglia se le consiglio di dare una rinfrescata alle sue nozioni di Storia della Critica d’Arte, poiché il complesso dei suoi interventi denota una pericolosa amnesia di questa disciplina fondamentale per il nostro non facile lavoro.
    Gentilmente suo, Antonello Tolve.

  • Caro Tolve, colpito nel vivo reagisci con le offese, il che denota, soprattutto per un giovane ventenne come te, una rigidezza ed una mancanza d'ironia davvero notevoli. Per non parlare dell'educazione. Ma quella è un'altra storia. Ti auguro che il tempo sappia donarti quella profondità e quella saggezza senza le quali la carriera che ti accingi a intraprendere, al pari di tante altre, non può avere senso. Ci risentiamo tra vent'anni (e tra più di 200 mostre realizzate, 85 pubblicazioni, 25 anni di giornalismo, e troppo altro), augurandoti la fortuna che ho avuto io. E molta, molta di più ancora. Ad majora! E ancora amen.

  • PS Caro Tolve, scusa il poscritto: nel 2008 terrò un nuovo, corposo ciclo di lezioni, invitato dall'Università degli Studi di Bologna. Tu e il tuo amico Viola sarete graditi ospiti se vorreste e se vi degnereste di onorare la più antica università del mondo (ed il sottoscritto) di avere cotanta vostra sapienza e cultura tra i suoi miseri banchi tarlati dai secoli. a..

  • Intanto si dice "parlare a sproposito" e non "di sproposito". L'italiano, per favore. E mi fa specie che sia un critico d'arte a non conoscerlo. Secondo, in base alla teoria per la quale “la naturalezza quando diventa normalità è una forma di insufficienza critica”, allora uno che fa con la massima naturalezza e spontaneità la radice quadrata di 2953946424879574674 in tempo reale, e per lui è normale, automaticamente è un povero idiota. Ah, va be', se lo dice Antonello Tolve... Terzo, lasci Nietzsche a noi filosofi e non s'inerpichi in astruse elucubrazioni pseudo-teoriche. Quarto, ho paura che sia proprio chi taccia il prossimo di 'struttura mentale abbastanza “cavallina”' a doversi dare all'ippica...

  • Quanto rumore e parole e polemiche inutili, per nulla! Per un avvenimento che non è!

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