L’ARTE E LA SENSORIALITÀ DEI NEW MEDIA |

di - 9 Ottobre 2008
La sensorialità sta avendo il predominio sulla materialità del mondo, e nel prossimo futuro questo accadrà sempre di più. L’avvento di una sollecitazione sensoriale quotidiana e massiccia, a opera delle tecnologie telematiche che producono sempre più informazioni e oggetti immaginari e immateriali, sta conferendo una centralità preminente al corpo umano che è diventato il contenuto dei new media.
If the medium is the message, the user is the content” (“Se il medium è il messaggio, il fruitore è il contenuto”), così il sociologo Derrick De Kerckhove ha parafrasato il celebre aforisma di Marshall McLuhan prefigurando, sulla scia di pensiero del maestro, un presente futuro in cui l’uomo vivrà ancora più in simbiosi con la tecnologia.
Grazie alle nuove possibilità di movimento e di azione che i new media consentono al corpo umano – ubiquità, comunicazione e telepresenza istantanee, memorie e stoccaggio illimitati delle informazioni e delle immagini, creazione di beni immaginari – i nostri sensi si sono trasformati in raffinati strumenti di penetrazione della realtà e di conoscenza del mondo. Lavorando sulla sub-muscolarizzazione e sulle risposte automatiche delle cellule specchio, la tecnologia si sta trasformando in un dispositivo altrettanto sensoriale quanto l’arte: come l’arte, essa opera direttamente un massaggio sui nostri sensi stimolando sia il corpo che la mente; ma ancora più dell’arte, oggi si sta imponendo come interfaccia tra noi e il mondo.
Un’interfaccia importante non solo rispetto allo spazio e al tempo esterni al corpo. I new media non solo consentono una maggiore estensione tattile del corpo proiettata nell’ambiente, ma interagiscono anche con l’interiorità dell’uomo reinventando il desiderio e la sua sublimazione. Se la telerealtà (la televisione) ha sfruttato in questi anni le pulsioni umane portando alla distruzione del desiderio e alla creazione di un immaginario-feticcio, tecnologie come internet permettono invece di ricostituire quelle relazioni associative tra produttore e fruitore, che da spettatore passivo è diventato attore, interprete.
Sempre De Kerckhove individua nel bluetooth e nel cellulare la nuova “aura” dell’uomo, in quanto sono dispositivi che segnano una presenza, uno spazio dell’essere esterno al corpo (il campo di ricezione) e interno (un’identità ubiqua).
Questo “rinascimento” a opera dei new media, in cui il corpo partecipa direttamente delle immagini e delle informazioni prodotte, trova una corrispondenza antica nell’arte. L’arte è un dispositivo che da sempre integra gli esseri umani, ma mai come oggi l’opera d’arte si apre a una totale integrazione del fruitore nelle modalità di produzione di senso. Questa nuova cultura, che ha generato in anni recenti le pratiche open source nell’arte e l’autorialità multipla, è resa possibile grazie all’opera di mediazione congiunta di arte e nuovi media.
Due esempi artistici, uno risalente a oltre trent’anni fa e uno recente, mostrano come l’arte abbia saputo sempre “vedere” oltre l’impiego meramente utilitaristico delle tecnologie e rappresentare il loro spettro d’azione sulla sensorialità e sulla creatività.
Con Esposizione in tempo reale nr. 4: Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio (1972) e Film disseminato (1973-76), Franco Vaccari ha rivelato in tempi non sospetti il desiderio istintivo di apparire nel mondo, di “mettersi in mostra” accettando anche la propria sparizione nella presenza-assenza fotografica. Le centinaia di strip realizzate con la Photomatic e apposte nel padiglione della Biennale di Venezia del 1972, insieme a quelle ricevute dall’artista per Film disseminato, sono un corrispettivo originario dei milioni d’immagini scattate oggi con i telefoni cellulari e messe in rete. Anche se la tecnologia è diversa, l’uomo continua a essere il contenuto di un’opera di mediazione tra scenari vecchi (i desideri istintuali, i comportamenti sociali) e scenari nuovi (l’immaterialità della telepresenza e la perdita d’identità del mondo).
Sia per Vaccari che per l’artista messicano Rafael Lozano-Hemmer, la tecnologia non va celebrata né demonizzata. È parte dell’uomo, della sua cultura, del suo inconscio. Semmai, il linguaggio della globalizzazione (dalla fotografia al bluetooth) va meditato e ripensato attraverso l’arte, l’unica forma d’integrazione capace di realizzare un nuovo equilibrio sensoriale e mentale tra umano e artificiale.

Lozano-Hemmer è un artista elettronico che crea coinvolgenti installazioni interattive tra l’architettura e la performance grazie alla robotica e ai network telematici. In Pulse (2007) l’artista ha chiesto al pubblico di “dar vita” all’opera attraverso la registrazione computerizzata del proprio battito cardiaco, segnalato nello spazio dall’accensione di una lampadina. La registrazione avveniva impugnando un manubrio, i cui sensori inviavano un impulso elettronico alla lampadina che si accendeva. Entrando nell’installazione si veniva accolti da cento lampadine appese al soffitto dello spazio, cento tracce del passaggio di altrettante persone che, con la loro “luce”, creavano un ambiente magico e vibrante di presenze nell’assenza. L’arte può anche quando l’unica materialità è espressa dalla tecnologia.

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marinella paderni


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 52. Te l’eri perso? Abbonati!

[exibart]

Storica d’arte contemporanea e curatrice indipendente. Attualmente è direttore dell’ISIA di Faenza, scuola universitaria di alta formazione nel campo del design, dove insegna anche Storia dell’Arte Contemporanea e Antropologia culturale. Insegna altresì all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove tiene un corso sulla curatela presso la Laurea Magistrale in Didattica dell’Arte. È corrispondente per Exibart e Flash Art. Dal 2009 al 2013 ha collaborato con Frieze. Fa parte del comitato scientifico della Biennale del Disegno di Rimini.

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