Fuori dall’ingresso la scritta “Macro Asilo”. Il Museo ospitale accoglie i visitatori che entrano da via Nizza senza pagare biglietti, per fare una passeggiata all’interno di quello che un tempo è stato il Museo d’arte Contemporanea della città di Roma, ed ha ospitato mostre di artisti internazionali come Tony Cragg, Mario Merz, Wolfgang Laib, Jenny Saville e tanti altri. Ma era il passato: oggi l’edificio dell’ex birreria Peroni, inaugurato nel 2001 e ampliato dall’architetto francese Odil Deq nel 2010 ha cambiato pelle.
Non più museo ma laboratorio, anzi, secondo la definizione del curatore Giorgio De Finis, “Un dispositivo d’incontro tra l’arte e la città”, non più parte del “sistema dell’arte ma del mondo dell’arte”: “Aperto, inclusivo, collaborativo, partecipato, muldisciplinare, pubblico” ma non più museo, almeno secondo l’accezione condivisa del termine.
Non un luogo dove le opere d’arte fanno riflettere, dove il pensiero degli artisti si esprime attraverso le mostre (bandite dall’Asilo) ma uno spazio dove succedono cose e si incontrano persone, dove “si riparte dall’ABC per sospendere le regole del mondo adulto”.
Il colpo d’occhio della parete di fondo della “quadreria” nell’ex sala Enel è forte; le 50 opere tirate fuori dai depositi del museo fanno la loro figura, peccato che non ci sia l’ombra di una didascalia che dia informazioni al pubblico sulla paternità delle opere. Sotto, una cassettiera è piena di cataloghi di mostre, che si possono sfogliare liberamente come le riviste nella sala d’aspetto di un dentista. Accontentiamoci del colpo d’occhio e passiamo oltre: l’Asilo è un luogo vivace e attivo (lo visito due giorni dopo l’inaugurazione alle 5 del pomeriggio, e incontro una cinquantina di persone, di cui alcuni addetti ai lavori ma anche pubblico comune) e l’atmosfera è piacevole e rilassata, molto meno seria che quella di un museo tradizionale.
Negli ambienti al primo piano ci sono due installazioni, Voices di Piero Mottola e Io sono Giordano Bruno di Ria Lussi: non sono mostre ma ci somigliano, tranne che per l’assenza totale di apparati didattici, riassunti nel volumetto gratuito 1 Macro Asilo 10/18 che contiene il palinsesto dell’Asilo fino al 31 ottobre.
Nelle sale al primo piano l’archivio ventennale degli Stalker (presenti anche con il Tappeto Volante in sala Enel) ospita il laboratorio artistico Cittadinanza Planetaria, mentre il video del giorno, proiettato nel foyer, è The guardians di Adrian Paci, ma riscuote scarso interesse, mentre le sale del secondo piano ospitano gli atelier, dove operano in questo momento Pietro Ruffo, Gianfranco Notargiacomo, Tommaso Cascella e Danilo Bucchi.
Ogni stanza ha una sorta di spazio vetrato dove lavorano artisti e assistenti mentre il resto dello spazio serve ad esporre le opere prodotte, su una rete metallica che risulta leggermente superata come soluzione di allestimento. Fuori da ogni atelier non ci sono indicazioni perché l’Asilo non sembra interessato ad appesantire i suoi ospiti con pannelli didattici o altro: qui si viene per stare insieme, senza porsi domande. Si parla, si guarda, si commenta, si prende un caffè al bar, in totale libertà, senza quella strana sensazione di soggezione che si respira nei musei, dove paghi il biglietto e ti senti obbligato ad imparare qualcosa, a riflettere sulle opere che osservi, a leggere gli apparati didattici, magari ad ascoltare anche l’audio guida o addirittura partecipare ad una visita guidata. Qui no, l’arte entra a far parte di un quotidiano con la tendenza a restare in superficie.
È colorata, divertente e decorativa, e hai anche la possibilità di vedere l’artista che lavora davanti a te: insomma è tutto molto piacevole perché nessuno ti chiede di pensare ma solo di distrarti. In fondo, a noi italiani l’arte impegnata non è mai piaciuta troppo: con tutti i problemi che abbiamo mica dobbiamo andare al museo per porci domande sul mondo in cui viviamo!
Se abbiamo occasione di accostarci all’arte di oggi dev’essere leggera, decorativa, conviviale: non la pensavano così anche i nostri politici di prima, che hanno inaugurato i musei ma li hanno frequentati solo all’inaugurazione, per farsi fotografare e intervistare? Hanno sempre guardato il contemporaneo con diffidenza e a distanza, senza mai avere l’umiltà di ascoltare le necessità degli artisti. In fondo a noi italiani l’arte contemporanea sembra un corpo estraneo, abbiamo Caravaggio e Bernini nelle chiese, che andiamo a fare nei musei pieni di opere che capiamo poco e ci tocca leggere tanto per capirle? L’Asilo è il nostro luogo, ci sentiamo bene, c’è tanto da vedere ed è anche gratis. E non ci raccontino che l’arte è come il calcio, che ci sono artisti di serie A, B, C e così via. All’Asilo sono tutti uguali, e ai romani va bene così.
Ludovico Pratesi
Visualizza commenti
Macro Asilo, lo zoo sale e pepe con foto Finis
Le parole degli artisti (i numerosi talk), le opere che vengono citate nell'articolo e, ad esempio, la continua presenza degli Stalker, si sostiene, non fanno pensare?
Ma a far pensare sarebbero invece gli apparati didattici, le didascalie? Gli artisti non servirebbero a niente insomma.
Anche Pirri (lo cito ad esempio, spero non scomodandolo) che ha dichiarato di aderire nella sola forma di una conferenza in cui contestualizzerà storicamente il suo lavoro (pur critico), secondo questa visione d'insieme, non servirà dunque a nulla. Non produrrà pensiero, non farà pensare.
Ebbene obiettivamente la formula di questa progettualità del Macro al contrario di quanto si sostiene permetterà proprio il pensiero più che il godimento artistico.
Queste considerazioni, gentile Pratesi, sembrerebbero valide solo screditando tutte le attività.
Forse non si tratta di un museo da attraversare passeggiando ma un luogo in cui attivarsi e attivare il proprio pensiero in rapporto a quanto succede, standoci.
Una piattaforma di punti di vista diversi che, se non per i critici che hanno un diretto contatto privilegiato con gli artisti, permette, quanto meno agli altri, di accedere e di riflettere.
Un luogo, il Macro oggi, da frequentare assiduamente per poterlo approfonditamente criticare, giorno per giorno, per le sue manifestazioni.
Altrimenti del libro collettivo, che è, si legge poco più della copertina, facendo torto non al curatore ma ai contributori.