Lettera da Londra |

di - 11 Agosto 2005

Salire i gradini della scaletta di un aereo diretto alla volta di una città per la seconda volta in un mese sotto il fuoco degli attentati, più o meno gravi dal punto di vista del bilancio di morti-e-feriti, non è propriamente euforizzante. Ma il proverbiale self-control inglese non si smentisce nemmeno in quest’occasione, almeno a guardare la Soho del 21 luglio, coi pub straripanti di boccali di birra e relativi effimeri proprietari, con lo stuolo di vocianti flâneur che con le pinte hanno a che fare ormai da qualche ora.
Va da sé che anche il mondo dell’arte, dei coloratissimi mercatini del weekend e delle librerie specializzate non si è fatto prendere dal panico, tutt’altro. Le vernici sono confermate, i controlli appena più visibili, la cortesia indefessa e senza segni di nervosismo.
Così è per esempio nella zona di Brick Lane, dove fra le bancarelle si affollano vecchi numeri di riviste d’architettura e design, con l’apoteosi per i magazine addicted in quel dell’Ofr Bookshop. I proprietari sono francesi –gestiscono altri punti vendita, ovviamente anche a Parigi– e l’ex magazzino è arricchito da pubblicazioni periodiche e libri provenienti da mezzo mondo, anche con qualche chicca d’annata come i primi numeri di Permanent Food a prezzi abbordabili. (Se qui il vostro lato fashion sarà senz’altro appagato, per dar fondo anche ai desideri più design oriented, fino alle avanguardie della tipografia, non si può mancare l’appuntamento con magma, a Covent Garden.) A pochi passi, in un’altro capannone ridipinto in un bianco abbacinante, i neolaureati del Kent Institute of Art and Design hanno allestito Hidden Character, dove i lavori hanno una qualità media francamente inaspettata per una mostra di fine corso. Almeno un nome va fatto, ed è quello di Sophie McCann, che ha installato una candida tavola le cui stoviglie recano letteralmente impresse frasi che forse i commensali non vorranno/potranno mai scambiarsi.
Dai giovanissimi alla storia recente, ossia le temporanee allestite alla Tate Modern. La mostra per fare botteghino durante l’estate-autunno è dedicata a Frida Khalo, con un nutrito corpus di lavori che datano dal 1925 al 1949, in parte provenienti dalle istituzioni messicane e raramente visti in Europa. Sicuramente più stimolante, almeno dal punto di vista critico, è la seconda grande temporanea, Open Systems. Il sottotitolo scelto dalla curatrice Donna De Salvo, “Rethinking Art c1970”, definisce meglio l’oggetto dell’analisi. Il percorso presenta i lavori di circa 25 artisti che, fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo, hanno ripensato radicalmente l’arte come oggetto. Una mostra dal saldo approccio teorico-critico, che tuttavia non si sotanzia solo nei dotti saggi a catalogo, bensì anche nell’esposizione dei lavori (e ciò non è affatto scontato in proposte curatoriali del genere). Scorrono così il cubo seppellito da Sol LeWitt e quello gremito dalla condensa di Hans Haacke, le misurazioni dello spazio espositivo operate da Mel Bochner e una straordinaria installazione fotografica di Gilbert & George, risalente al 1972 (ahimé, fossero ancora a quell’altezza!). Straordinario il contributo di Marcel Broodthaers –con due “classici” come Un Jardin d’hiver (1974) e Bateau Tableau (1973)-, nonché la relazionalità intersoggettiva o essere umano-oggetto proposta dagli esperimenti sensoriali di Lygia Clark, o ancora l’inchiesta di Haacke sugli immobili posseduti a Manhattan dal mecenate del Guggenheim, che valse l’esclusione dell’artista e del curatore dalla mostra che si sarebbe dovuta inaugurare a NYC dopo poche settimane. Un radicalismo che recuperava il grande giornalismo americano; e che in un altro ambito rende ben più attuali le strategie critiche di una Sanja Iveković (la parodia autoreferenziale della pubblicità su sé stessa) piuttosto che il sesso ostentato di Valie Export. Le altre due temporanee vedono l’intervento di Meschac Gaba, incentrato sul valore della pace, con i visitatori invitati a tappezzare i muri delle sale espositive in cambio di un multiplo e della possibilità di usufruire di un juke-box a suon di discorsi storici sull’argomento; e la retrospettiva un po’ obbligata per Herzog & de Meuron, ineccepibile ma inadatta allo spazio gigantesco della Turbine Hall.
Per restare in ambito architettonico, il tradizionale padiglione estivo della Serpentine Gallery quest’anno è stato realizzato da Álvaro Siza ed Eduardo Souto de Moura, un carapace preistorico che rivela una inaspettata ariosità all’interno. Mentre i locali della galleria ospitano la retrospettiva dedicata a Rirkrit Tiravanija, con la consueta compartecipazione richiesta al pubblico, per esempio nel ricomporre un enorme puzzle, e la miscela fra vita individuale e gestione di una galleria.
A prova del fatto che ormai solo in provincia si chiudono i battenti, le tradizionali summer exhibition testimoniano di un elevato livello medio e molte gallerie restano aperte. Ovviamente c’è sempre qualche eccezione, con Gagosian che chiude la sede di Heddon Street con oltre un’ora di anticipo proprio il sabato. Ma fortunatamente l’arroganza dei grandi galleristi non è così diffusa, almeno in quel di Londra. Allora ci si può consolare col secondo capitolo del Triumph of Painting da Saatchi, ossia: Albert Oehlen, che è passato in Italia con una personale da Artiaco nel 2003 e che qui propone una pittura che supera le tradizionali distinzioni fra astratto e figurativo, con un sentore di naturalismo padano; Thomas Scheibitz, cioè la metà meno entusiasmante del padiglione tedesco alla Biennale veneziana; il polacco Wilhelm Sasnal con un approccio pop ben poco ottimistico; Kai Althoff, con tele che riprendono stile e contenuti di certe avanguardie storiche tedesche; Dirk Skreber, con visioni aeree che magnificano la tecnica ad aplats tecnicamente impeccabili; e Franz Ackermann, il globetrotter acido che alla Biennale era presente nell’edizione del 2003. Dunque, cinque tedeschi e un polacco in questa seconda puntata, che non fa altro se non confermare il giudizio non proprio entusiastico espresso da Exibart in occasione del primo episodio. E che in una celebrazione della pittura il pezzo migliore sia un’installazione è piuttosto eloquente.
Restando a sud del Tamigi, è immancabile la tappa alla Hayward Gallery per la grande mostra di Rebecca Horn, intitolata Bodylandscapes. Si va dai disegni risalenti a metà degli anni Sessanta a lavori recentissimi; tuttavia, al contrario di ciò che campeggia nel sottotitolo, cioè “disegni, sculture, installazioni 1964-2004”, in realtà c’è una cesura evidente che lascia sostanzialmente scoperti gli anni Ottanta.

La zona della City offre un’altra rassegna assai bene allestita; e anche se il tema può sembrare poco avvincente, il percorso offerto da Colour after Klein merita una visita da Barbican. I nomi sono quelli già ampiamente storicizzati, e se alcune opere rientrano un po’ forzosamente nel tema della mostra (Beuys su tutti), si tratta comunque di una buona occasione per rivedere alcuni video di Pipilotti Rist oppure la notevole installazione di Louise Bourgeois (The Red Room (Child), 1994), nonché Dammi i colori (2003) di Anri Sala e la toccante indagine di Sophie Calle sulle paradossali preferenze cromatiche dei non vedenti.
Una breve passeggiata in direzione di Regent Street, allietata dai saldi estivi, porta in un’altra zona calda dell’arte contemporanea. Da Hauser & Wirth erano gli ultimi giorni per vedere la grandiosa installazione di Richard Jackson, The Pink Empire (2005). In Heddon Street, oltre alla già citata Gagosian, ha aperto Blow de la Barra con una personale di Stefan Brüggeman, neoconcettuale che presenta statements in inglese e spagnolo al neon, dal sapore oltremodo kosuthiano. Nello stesso edificio, non troppo entusiasmante la personale di JP Munro da Sadie Coles, che presenta alcuni dipinti citazionisti che fanno quasi rimpiangere l’ex enfant prodige Currin. Notevole invece la collettiva Changes of Mind: Belief and Transformation da Haunch of Venison. Dirimpetto alla magnifica galleria sono allestiti i lavori di Roberto Cuoghi, ossia una stampa lenticolare assai ironica e il video Foolish Things (2002), che invita a un improbabile karaoke. Mentre nei tre piani dell’edificio principale si passa dalle animazioni di Pietro Roccasalva, che gli sono valse il Premio Furla 2005, all’impegnato docuvideo di Nathan Coley (Jerusalem Syndrome, 2005) e al sindonico dittico di Bill Viola (Unspoken (Silver and Gold), 2001). Ancora, i lavori di Douglas Gordon (in particolare una tempera e olio ispirato al Perugino), un’installazione di Mariko Mori, le fotografie di Olaf Nicolai e infine il dissacrante video di Magda Tothova, Lenin and the Maiden (2003).
Ultimo sforzo, cambio di zona. Il Tea Building in Shoreditch High Street è stato trasformato in un claustrofobico stabile che ospita fra l’altro numerose piccole gallerie, per esempio quella di Andrew Mummery. Gyonata Bonvicini vi cura la prima parte di Take It Furthur!, con lavori anche di Massimo Grimaldi e Davide Minuti, oltre a un’installazione nel corridoio a opera di Jorge Peris. Nulla di memorabile, purtroppo, anche se la rosa dei nomi è interessante. Così come non convince appieno la rassegna allestita alla Whitechapel, dedicata alla cultura nera; Back to Black sfocia in un taglio piuttosto sociologico che talora tende addirittura a una forma di buonismo postcoloniale. Si segnalano comunque alcuni lavori interessanti, per esempio quelli di David Hammons. Per giustificare quest’ultimo spostamento tramite il famigerato tube ci si deve recare nella tranquilla piazzetta che ospita White Cube. Dove è di scena un grandioso Anselm Kiefer. Il suo Für Chlebnikov è suddiviso in due tappe, con una costante allestita nel capannone al centro del giardino. In quest’ultima struttura sono esposti 30 dipinti che bucano la seconda dimensione con natanti arrugginiti e fili spinati aggettanti sul supporto incrostato. Mentre in galleria, per tutto agosto, campeggerà una controintuitiva scala in cemento armato appesa pericolosamente a un supporto verticale, oltre ad altri lavori di grandi dimensioni. Una mostra letteralmente grandiosa, in scia coi Sette palazzi Celesti mostrati a Milano. E probabilmente si tratta dell’evento più notevole dell’estate londinese, corredato da un catalogo che val bene la spesa di 35 sterline.


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JP Munro in collettiva da Raucci/Santamaria
Anselm Kiefer all’Accademia di Francia

marco enrico giacomelli
mostre visitate dal 22 al 26 luglio 2005


Ofr Bookshop
Truman Brewery 91 – Brick Lane
www.ofrpublications.com

magma
8 Earlham Street – Covent Garden
www.magmabooks.com

fino al 9.X.2005 – Frida Khalo
fino al 18.IX.2005 – Open Systems
fino al 21.VIII.2005 – Meschac Gaba
fino al 29.VIII.2005 – Herzog & de Meuron
Tate Modern
Bankside
www.tate.org.uk

fino al 2.X.2005 – Pavilion 2005
fino al 21.VIII.2005 – Rirkrit Tiravanija
Serpentine Gallery
Kensington Gardens
www.serpentinegallery.org

fino al 30.X.2005 – The Triumph of Painting, Part 2
Saatchi Gallery
County Hall – South Bank
www.saatchi-gallery.co.uk

fino al 29.VIII.2005 – Rebecca Horn: Bodylandscapes
Hayward Gallery
South Bank Centre – Belvedere Road
www.hayward.org.uk

fino all’11.IX.2005 – Colour after Klein
Barbican Art Galleries
Barbican Centre – Silk Street
www.barbican.org.uk

fino al 27.VIII.2005 – JP Munro
Sadie Coles
35 Heddon Street
www.sadiecoles.com

fino al 25.VIII.2005 – Changes of Mind: Belief and Transformation
Haunch of Venison
6 Haunch of Venison Yard
www.haunchofvenison.com

fino al 13.VIII.2005 – Take it furthur
Andrew Mummery Gallery
Studio 1.04 – Tea Building – 56 Shoreditch High Street
www.andrewmummery.com

fino al 4.IX.2005 – Back to Black. Art, Cinema and the Racial Imaginary
Whitechapel
80-82 Whitechapel High Street
www.whitechapel.org

fino al 27.VIII.2005 – Anselm Kiefer
White Cube
48 Hoxton Square
www.whitecube.com


[exibart]

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  • Vi siete dimenticati di dire che da Londra avete anche trovato il tempo di guardarvi le pagine degli utenti... come si sta al Claridges???

  • mi dia pure del lei, il voi è passato di moda tranne che in ambienti mafiosi et similia
    il claridges è pacchianello, preferisco i resort nel nord-ovest di londra, molto più riservati
    se le può essere utile posso lasciarle l'indirizzo al quale rivolgersi
    quanto alle pagine degli utenti, solitamente non le frequento, sono piuttosto impegnato
    cordialità e auguri per il fegato

  • ...allora il voi è adatto alla situazione. Effettivamente anche nell'Harringey non si sta male, vero?!

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