Alle 23.49 del 9 maggio, dopo attese snervanti e speranze quasi deluse, ecco finalmente il download su YouTube e Spotify di CAPRI RDV, miniserie tv in 5 episodi di Liberato. Il mix di linguaggi e generi è una delle chiavi del successo dei videoclips di Francesco Lettieri, giovane regista partenopeo. CAPRI RDV è una sorta di melò televisivo, che si distende per 50 anni, girato con stili visivi diversi, ora pellicola nouvelle vague, spot per profumo, fotoromanzo, commedia all’italiana.
Ieri sera a Roma, all’Ippodromo delle Capannelle, Liberato non ha tenuto un semplice concerto, ma nella Capitale si è assistito ad un vero e proprio evento pensato per celebrare il rapper partenopeo – la cui identità continua ancora oggi ad essere sconosciuta al pubblico – e la scena elettronica internazionale. Alle Capannelle sono saliti sul palco quelle che si annunciano come le migliori band di dance e elettronica europea e americana, tra cui tale Mc Bin Laden (se non lo conoscete sappiate che fa qualcosa come 23 milioni di visualizzazioni su YouTube) e di un collettivo tutto napoletano. Tutti per “Roma Liberata”.
Ma torniamo semplicemente a Liberato, artista poliedrico e sperimentale, protagonista di una vicenda per alcuni programmata a tavolino, che rispetta tematiche e codici classici della canzone melodica napoletana: l’amore perduto, il sincretismo musicale e, soprattutto, i luoghi come soggetti narrativi centrali.
Lo scenario dei Faraglioni di Capri in bianco e nero, la sabbia, il mare, i motoscafi, le nudità, un po’ Dolce Vita, un po’ spot Dolce&Gabbana, è metafora di un tempo ancestrale, di una gioventù disinibita e innocente quanto irrimediabilmente perduta. «Il tempo si porta via tutto, Marì. La pellicola marcirà e i nostri film saranno dimenticati», recita il produttore Dino, sognante e sconsolato. Solo il mito carnevalesco della Napoli ritratta proprio da D&G nello spot con Kit Harington ed Emilia Clarke può ambire all’immortalità. Solo a Napoli puoi sperare di incontrare i due attori mentre avvolgono spaghetti o ballano la tammurriata insieme a te. E solo a Capri un pescatore di umili origini può amare una star del cinema. È il vecchio refrain della miseria e della nobiltà, dell’interclassismo napoletano che chiude un cerchio poetico, estetico prima che artistico e musicale.
Se le esperienze di marginalità che ispirano arte e cultura si esprimono in genere nelle linee di faglia tra metropoli e periferie, con Liberato la periferia, il centro antico, il lungomare, l’isola del mito collassano nel medesimo spazio immaginario. E come la compressione visiva e sonora del duo Liberato-Lettieri ricompone questi luoghi in una potente miscela cromatica, così il tocco, l’anima napoletana si presta come balsamo alle ferite delle differenze sociali e culturali contemporanee. Nella città, da sempre luogo di resistenza al conformismo, alla “tirannia” come ai più elementari diritti civili e sociali, ogni tensione viene assimilata e ogni asperità smussata. Una città che, da sempre, ama raccontare questa storia: è la sua storia in fondo.
E a resistere contro i mali della città, la disoccupazione, l’illegalità, la violenza e l’indifferenza ci sono loro: ragazzi neri, femminielli, pescatori, guaglioni delle pizzerie e dei bar, quelli sui motorini che fumano “cient’ bombe” ma soffrono ancora per amore.
I soggetti di Liberato non sono dunque estranei alle atmosfere del Neapolitan Power, quel contropotere musicale descritto da Francesco Festa che, attraverso la lingua e le sonorità meticce di artisti come Pino Daniele, James Senese, Tullio de Piscopo, dava voce alle classi povere. Eppure Liberato ha bypassato la quarantena che un certo tipo di musica napoletana ha sempre scontato, usando linguaggi contemporanei (trap, elettronica, pop, reggaeton) e senza la pretesa di crearne di nuovi. Non c’è il sovversivo dei 99Posse, il popolare di Nino D’Angelo, il Mediterraneo degli Almamegretta. O meglio, c’è ma non è più rischioso, deflagrante. I personaggi di Liberato non appaiono incatenati alle proprie storie, agli spazi asfittici della miseria e della disperazione ma sembrano surfarci sopra, gioiosi e pronti a fumarsi ogni attimo dell’esistenza, senza la vergogna o l’autoconsapevolezza del subalterno. La lingua, la mimica, le tinte, gli ambienti, esprimono una condizione non popolare ma “popolaresca”, à la Cottrau, fatta di modi, mode e stili fruibili ovunque, come in effetti già successo nel franchise Gomorra di Roberto Saviano.
Da questa angolazione, diventa chiara l’operazione pop-up di Liberato in Piazzetta Trinità degli Spagnoli ai Quartieri. Una sorta di tourist shop postmoderno, tra merchandising, ambiente home disco anni ’90 e santuario agiografico napoletano. Merci e spazi sono in rigoroso cromatismo nero e bianco. Unica eccezione, il neon rosso della rosa, brand di Liberato ma anche metafora centrale della musica napoletana. Declinata in drappo, insegna, t-shirt, teli mare, cartine, clipper, sticker, felpa e, ovviamente, cd e vinili. Semplici oggetti per chi vuole passare una giornata di musica e sole o, magari, a fumare ‘nfaccia ‘a Luna della Gaiola.
In questo beat&babà ritroviamo così un altro tassello di una città ancora complessa e intraducibile, che da sempre ha prediletto la “volontà di forma”, piuttosto che la volontà di potenza di altre metropoli europee. E non fa nulla che il tempo porterà via tutto, Marì. Na nott’ sola basta pe’ se ‘nnammurà.
Domenico Sgambati