Quella del direttore artistico di un museo è, nel Belpaese, figura certo ambigua: precedono la sua fama rispettivamente gli attributi di “delfino” o “burocrate”, se associato a ranghi politici o ad uffici amministrativi. Se in alcuni centri di potere, primo fra tutti la Capitale, non vi sono per ora segnali concreti di inversione di rotta, in altre realtà assistiamo alla presenza contemporanea di ben tre bandi di concorso per la nomina di un direttore. Si tratta del museo genovese di Villa Croce, del MAN di Nuoro (dopo la volata trentina di Cristiana Collu), e del MADRE di Napoli, in corso di pubblicazione.
Antonella Berruti della galleria Pinksummer, realtà che si è molto attivata per pubblicizzare il bando, parla del direttore che verrà come di un sommelier, una persona che dovrà degustare per conoscere, prerogativa fondamentale nel mondo dell’arte contemporanea, ma che finora, nella Genova dei funzionari, non ha trovato credito. Questo il motivo per cui la visibilità di Villa Croce, secondo Berruti, è sempre stata limitata: lo dimostra l’esclusione nel 2011 dalla mostra diffusa sull’Arte Povera, nata nel ’67 proprio a Genova.
Dopo la petizione del 2010, la svolta avviene a settembre dell’anno successivo, quando, durante la presentazione del programma culturale a Palazzo Ducale, le autorità politiche sono state costrette ad uscire dal torpore e ad assumere responsabilità concrete. Uno spiraglio si apre, ma con tempistica limitata: un mese di tempo per trovare le risorse e promuovere il bando. Il problema fondi è stato risolto grazie all’intervento dei privati: 300mila euro totali per due anni, di cui cento da destinarsi alla programmazione. Organi di supporto imprescindibili per il nuovo direttore sono l’Associazione Amici Museo Villa Croce e un comitato costituito da chi, come la Fondazione Garrone e quella di Palazzo Ducale, ha devoluto più di 30mila euro alla causa del museo, ma che non entreranno nel merito delle scelte artistiche del direttore. «Non volevamo un concorso a tutti i costi – afferma Berruti – ma a Genova non ci sono persone così preparate, anche a livello istituzionale, per ricoprire un tale incarico».
Tuttavia, come ammette il presidente del museo Tonino Rocca, la fondazione sarà sempre di più una necessità. Il MAN infatti è soggetto all’ente provinciale, e per questo autonomo da punto di vista solo gestionale, non politico, con la relativa impossibilità di partecipare in modo autonomo alle gare di finanziamento; condizione tanto più precaria se si considera la recente esautorazione delle province.
Questo spiega anche perché lo stipendio del futuro direttore sarà nettamente inferiore a quello di Cristiana Collu, anche se è previsto un surplus per il raggiungimento degli obbiettivi. Spiega ancora Rocca che ciò è dovuto esclusivamente ad un avanzamento di carriera dell’ex direttrice nel tempo; la nuova figura professionale sarà incardinata nel sistema museo, il che impedirà la lievitazione degli introiti, come invece è accaduto per la Collu, dipendente dell’ente provinciale. Dettaglio non poco rilevante, ci sarà l’obbligo di residenza nella città di Nuoro: «non mi interessa un direttore part-time – continua Rocca – questi dovrà essere un riferimento stabile e sovrintendere anche ad altre attività, come i laboratori didattici che ogni anno accolgono più di 7 mila alunni». Una tendenza accentratrice presente anche in un altro punto del bando, quello dell’esclusività del rapporto di lavoro, ma modificata poiché il nuovo contratto prevede una semplice collaborazione, e non dipendenza, della durata di tre anni.
Un punto però desta non poche perplessità; tra i requisiti di ammissione è fatto esplicito riferimento ad un percorso post-lauream (scuola di specializzazione, dottorato o master) e, fatto forse più grave, ciò avrà maggior valore dell’esperienza sul campo. Tradotto in termini pratici ciò vuol dire che un giovane dottorando può accumulare in graduatoria più punti di una persona che ha diretto un museo per un x numero di anni.
Sulla commissione giudicatrice ancora il buio; certa è, a differenza di Genova, la presenza di rappresentanti delle istituzioni locali, primo tra tutti il dirigente provinciale Giuseppe Zucca e lo stesso Presidente Roberto Deriu.
Altra storia quella del MADRE di Napoli, il cui concorso per il nuovo direttore dovrebbe garantire al museo l’uscita da quello stato di opacità in cui galleggia da un paio d’anni. Ma la chiusura del rapporto con Eduardo Cicelyn (direttore) e Mario Codognato (curatore) ha messo il museo seriamente nei guai. Specie per la presenza di Codognato, al MADRE infatti, erano arrivate molte opere in prestito e comodato a lungo termine da parte di collezionisti e di artisti che però, non essendoci più la figura di garanzia, le hanno ritirate. Oggi il museo si ritrova con una collezione, che è sempre stata piccola ma di livello, dimezzata. E il futuro direttore dovrà lavorare non poco a rifondare il museo, a partire dalle sue basi. A differenza di Villa Croce, per cui il candidato curatore è chiamato a presentare un programma di massima per il primo anno (strategie di fund-raising incluse), a Napoli tutto ciò sarà sostituito da una più realistica “lettera d’intenti”: è forse velleitario pretendere un piano d’azione a scatola chiusa e nelle modalità, fin troppo particolareggiate, richieste dal bando genovese. Laura Cherubini, vicepresidente della Fondazione MADRE, promette «un concorso serissimo, con una giuria qualificata che giudicherà i candidati in base al loro curriculum». Il riferimento, piuttosto esplicito, va a quei concorsi dove il curriculum ha contato poco, avendo la meglio amicizie e altri legami, per cui il direttore è “delfino” o “burocrate”.
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