L’innocenza di Abdessemed

di - 2 Dicembre 2012
«Ogni opera d’arte è un crimine», scriveva Adorno nei suoi Minima Moralia. Una frase che si addice perfettamente a quella linea d’ombra della storia dell’arte che comincia con Bosch e prosegue con Holbein, Brueghel e Grunewald per proseguire con Rembrandt, Caravaggio e Goya, fino ad esplodere nel contemporaneo con Andres Serrano, Damien Hirst e il giovane algerino Adel Abdessemed, protagonista di una personale al Pompidou di Parigi. E non è un caso che si intitoli Je suis innocent (Sono innocente), quasi per rispondere alla citazione del filosofo tedesco. Giorni fa questa esposizione è arrivata sulla prima pagina di Repubblica per il presunto scandalo denunciato da uno sdegnato popolo del calcio a causa di Coup de tête, la grande scultura in bronzo collocata sulla piazza davanti al Beaubourg, che raffigurava la celebre testata che il più famoso calciatore del mondo, il francese Zinedine Zidane, aveva dato al suo collega italiano Marco Materazzi, durante la finale del campionato mondiale di calcio nel 2006.
Nel pezzo non viene mai citato il nome dell’artista, dato evidentemente non rilevante per i lettori del Paese che ha dato i natali a Caravaggio (ma da troppo tempo lo ha dimenticato), e l’opera viene definita «un piccolo assurdo», con l’arroganza che ci contraddistingue ormai ovunque, senza nemmeno domandarsi perché uno dei più importanti musei di arte contemporanea del mondo abbia deciso di mettere “in piazza” un’opera di quel genere. Una delle tante provocazioni, che il grande pubblico bolla come gesti inutili e lesivi di quel “senso del pudore”, che aveva fatto restituire a Caravaggio la Morte della Madonna, commissionata dalla chiesa di Santa Maria della Scala in Trastevere e oggi al Louvre, perché l’artista si era ispirato ad una prostituta annegata nel Tevere per rappresentare la madre di Gesù.
Novello Caravaggio, Abdessemed non si ferma davanti al confine del lecito e commette non pochi crimini, tanto che una zona della mostra è riservata ad un pubblico adulto, teoricamente ritenuto più preparato a sopportare le immagini di Usine (2008), il video che mostra un gruppetto di animali (serpenti, rospi, pitbull, tarantole ed altri) chiusi in un recinto che si azzannano senza mai uccidersi. Oppure Who is afraid of the Big Bad Wolf (2011-2012) un grande bassorilievo composto da decine di corpi di animali carbonizzati. C’è tutto nel girone infernale di Abdessemed, dai crocifissi di filo spinato alle coppie che fanno sesso davanti al pubblico, perfino una ragazza adolescente che allatta un porcellino appena nato. Un’immagine dopo l’altra da guardare ad occhi aperti, con il coraggio di riflettere sulla faccia oscura del mondo, che la società globale nasconde nella rete invisibile e maledetta dei consumi.
E allora Abdessemed ci obbliga a coglierne i lati più terribili ma tragicamente reali, come San Tommaso affonda il dito nella perversione, nel traffico clandestino di animali, nell’incapacità dei popoli di vivere all’insegna della tolleranza e la continua tentazione del genere umano di superare ogni limite possibile. La solita provocazione o invece la verità?
Mi volto e vedo, dall’altra parte della parete di vetro della sala del Beauborg, la dimora di fortuna di un clochard, e per un attimo mi sembra che sia un’altra opera di Adel, gelido esploratore dell’inferno della nostra cinica e spietata global society.

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