L’insostenibilità dell’arte alla Biennale

di - 18 Agosto 2019

Dopo aver visto molta arte che fa finta di parlare di cambiamento climatico solo perché attualmente è un tema di tendenza nell’arte contemporanea, sento di aver trovato molti esempi pratici nel percorso di questa Biennale d’arte che, più di tutti, mostrano l’impegno reale e l’informazione sostanziale a sostegno del visitatore: lo si accompagna verso una comprensione migliore dell’interdipendenza dell’attività umana e le condizioni ambientali instabili del nostro pianeta, per le quali già si parla di Sesta Estinzione di Massa. Ma, come sempre nel contesto dell’arte contemporanea, mi sono sentita e mi sento sconfortata e senza speranza riguardo alla superficialità e alla mancanza di consapevolezza da parte del pubblico. Quest’arte non vuole forse sensibilizzare, fare da sveglia e contribuire in qualche modo a un cambio di prospettiva e, per essere ambiziosi, a un cambio comportamentale? Tutto quello che ho vissuto alla Biennale d’arte a Venezia, come ogni anno, sono state chiacchere senza sostanza o un parlare per enigmi, tanto caro agli amanti dell’arte e agli intellettuali, e un comportamento insostenibile. Quando cambieremo? Quando capiremo che un cambiamento radicale deve venire adesso e non tra 10, tra 20 anni? Ecco gli ultimi esempi indagati.

Joan Jonas, Moving Off the Land II, TBA21Venezia

Ocean Space – TBA21-Academy

L’ultimo progetto della TBA21-Academy, il nuovo Ocean Space che prenderà la gestione della storica chiesa di San Lorenzo per i prossimi 10 anni, è un altro tra gli esempi migliori di spazio aperto alla discussione, un posto dove si realizza il pensiero e lo scambio per un futuro migliore. L’organizzazione privata, fondata da Francesca von Habsburg-Thyssen e Markus Reymann, è volta interamente alla preservazione dell’oceano. L’Ocean Space è pensato per essere uno spazio di collaborazione dove individui e organizzazioni offrono una serie di progetti che testimoniano il loro impegno verso l’oceano e la sua conservazione. Durante la settimana di preview, TBA21-Academy ha organizzato incontri specifici con scienziati, artisti e curatori dove – nel contesto dell’esibizione di Joan Jonas Moving Off the Land II – hanno avuto luogo performances (una performance immersiva di grande impatto, quella di Joan Jonas, in un Ocean Space da tutto esaurito ha attirato i visitatori dentro la vita degli oceani e nella relazione dell’anziana artista con questo fenomeno naturale, l’Oceano), incontri e dialoghi (per esempio, Olafur Eliasson in conversazione con lo scienziato David Gruber sull’impatto della luce sull’oceano, moderato da Markus Reymann. Olafur Eliasson ha lasciato al pubblico un messaggio interessante: “È più facile che il cambiamento sia indotto da dinamiche positive piuttosto che da strategie fondate sulla paura”), conferenze scientifiche (come quella tenuta dal noto biologo marino, ecologista, paleobiologo e ambientalista Jeremy B.C. Jackson, che ha spiegato l’impatto del cambiamento climatico sull’oceano ponendo l’accento sulle zone morte, la perdita di ossigeno in parti specifiche degli oceani di tutto il mondo, fughe di petrolio, alghe verdi, sbiancamento del corallo e molti altri temi che hanno dato alla platea un quadro generale. La conferenza è stata seguita da una performance della scrittrice, vocalist e artista sonora La Tasha N. Nevada Diggs, che ha stupito il pubblico con poesie mozzafiato, canzoni e immagini). In una conversazione-laboratorio, offerta da John Palmesino e Ann-Sofi Rönnskog di Territorial Agency e partecipata da scienziati, artisti, curatori per Oceans in Transformation – Overfishing, si è messo in rilievo e proposto soluzioni reali. Un bellissimo spazio di collaborazione per pensare le arti e l’impegno sociale in un clima di buon senso.

Padiglione della Polonia

La metafora del mondo occidentale benestante e degradato, la reminiscenza di una realtà primitiva altamente omologata sugli standard della tecnologia che darebbe alle persone la possibilità di viaggiare in aereo dovunque, anche con pochi soldi grazie ai voli low cost, finché le concentrazioni allarmanti di CO2 nell’atmosfera e il conseguente cambiamento climatico hanno forzato gli uomini ad astenersi da attività che emettono troppo diossido di carbonio, come volare. Questa carcassa di aereo nel prossimo futuro farà parte di un intero cimitero di aerei; anche se questo è un assemblaggio di tanti piccoli pezzi “riutilizzati” come aereo distrutto: una doppia assurdità.

Roman Stańczak at the Polish Pavilion, exhibition documentation, 2019, photo: Zachęta – National Gallery of Art/Weronika Wysocka.

Oceania

Padiglione delle Kiribati

La Repubblica delle Kiribati è uno stato sovrano della Micronesia, nell’Oceano Pacifico centrale. Per la maggior parte di noi un’entità astratta, che evoca piuttosto le connotazioni di un paradiso del Mare del Sud. Non ho avuto il tempo di visitarlo, ma lo farò più avanti. Ciò nonostante le descrizioni e le immagini sono interessanti, in particolare se avete intenzione di scoprire artisti che si discostano dalla centralità del filone euro-americano. Il padiglione è un’installazione multidisciplinare comprendente video, fotografia, animazione interattiva, performance, ready-made e installazioni, dove il tutto prevede l’interazione dei visitatori. L’esposizione alla Biennale d’arte raduna 29 artisti, un po’ tanti credo, ed è incentrata sulle reali problematiche legate agli effetti del cambiamento climatico, come l’innalzamento del livello dei mari. Un arcipelago, uno dei molti, che sta lentamente scomparendo dalle mappe e popolazioni costrette ad adattarsi o fuggire, dal momento che la deviazione e la reversibilità di questi effetti non è più possibile. Abbiamo oltrepassato il limite ormai da qualche anno, nonostante sapessimo del pericolo già negli anni ’70, ma nessun governo, nessuna corporazione ha voluto agire al riguardo. Ora sono costretti ad agire: si guardi soltanto ai risultati delle elezioni europee del 26 maggio 2019. Ora sono le nuove generazioni a fare pressioni, speriamo che questo aiuti anche i giovani delle Kiribati.

Dane Mitchel, Post Hoc, New Zeland Pavillion Venice Biennale

Padiglione della Nuova Zelanda

Con la sua opera Post Hoc nella sede dell’Istituto di Scienze Marine, l’artista Dane Mitchell ha creato una collezione di fenomeni andati perduti per sempre, come opere d’arte distrutte, specie estinte, lingue e dialetti, isole, città, nazioni primitive e così via. Queste migliaia di cose perdute non solo sono stampate a ruota con una vecchia macchina da stampa, ma anche trasmesse da uno studio, in uno degli edifici della sede ISMAR, a diverse antenne dislocate in tutta la città camuffate da alberi. L’opera ci ricorda ciò che è andato perduto per sempre, dalle tradizioni, che fanno più forti le culture e i popoli, alle entità fisiche e le specie animali: perdite e distruzioni che stanno cambiando il nostro pianeta per sempre. Una critica a questa epoca di sviluppo tecnologico ed economico che chiamiamo progresso, invece di forza distruttiva che lascia dietro di sé una scia di devastazione e desolazione. Una presa di posizione interessante, dal momento che l’artista critica la distruzione con esattamente gli stessi mezzi che l’hanno causata: installazioni altamente complesse dal punto di vista tecnico, con molti elementi materiali e, come se non bastasse, nascondendo tutta questa bruttezza distruttiva con artefatti artificiali sotto spoglie di elementi naturali.

Ah, e, last but not least, vorrei esprimere la mia perplessità riguardo a un evento collaterale che la dice lunga sulla situazione attuale della Biennale di Venezia: un imprenditore del mercato edile e immobiliare, nonché collezionista d’arte che ha abbastanza soldi per commissionare, produrre ed essere il proprietario delle opere d’arte che espone a Venezia e che, come se non bastasse, ne è anche il curatore. Niente di più facile se hai abbastanza fondi da pagare per diventare un evento collaterale, pagare l’affitto dello spazio e tutti gli altri costi. L’opera Death of James Lee Byars (“Morte di James Lee Byars”) si trasforma nella mia testa ne La morte della credibilità degli eventi collaterali alla Biennale d’Arte di Venezia. Punto di vista personale.

Anne Marie-Melster

Traduzione dall’inglese di Riccardo Franzetti

Anne-Marie Melster è co-fondatrice e direttrice di ARTPORT_making waves, un progetto curatoriale collettivo che dal 2006 coniuga arte e cambiamento climatico. È una delle curatrici che hanno precorso questo campo e ha lavorato con le Nazioni Unite, numerosi governi e città, università, scuole, film festival, musei e istituti di ricerca. Attualmente è impegnata nel lancio di un progetto a larga scala, internazionale e interdisciplinare, di arte-scienza dedicato all’Oceano, per Berlino, Venezia e Marsiglia.

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