LUMIÈRE

di - 27 Settembre 2010
Di recente ben due film si sono occupati della storia dell’Iran:
Donne senza uomini
e About Elly.
Entrambi sono stati premiati con l’argento: a Shirin Neshat il Leone d’Argento
alla Mostra del Cinema di Venezia 2009 e a Asghar Farhadi l’Orso d’Argento come
miglior regia. Se non ci fossero i festival, se non vincessero ai festival, di
questo tipo di film probabilmente faremmo fatica ad avere notizia.

Regista quarantenne, con esperienze teatrali e televisive,
Asghar Farhadi si dedica spesso alla costruzione di personaggi che si trovano
al centro di storie più grandi di loro. Un gruppo di trentenni, ex studenti
universitari, organizza una specie di “grande freddo” affittando una villa sul
Mar Caspio. Sono benestanti, uno sguardo inaspettato sull’Iran contemporaneo e
meno conosciuto. L’intenzione è quella di far conoscere Elly a uno del gruppo
emigrato a Berlino e fresco di divorzio; l’atmosfera scherzosa e gioviale è
destinata a interrompersi con la scomparsa di Elly. Il film da commedia diventa
noir e il sospetto è che le dinamiche relazionali tra i due diversi sessi siano
ancora dominate dalle regole tradizionali che sovrastano i singoli destini.


Shirin Neshat è una delle beniamine del mondo dell’arte;
per una sorta di imprecisato senso di colpa, quest’ultimo deve a lei se
all’inizio degli anni ‘90, poco dopo la Guerra del Golfo, l’arte poteva vantare
un merito nel trattare temi d’attualità e socialmente irrisolti. La grandezza
di Shirin Neshat consiste nell’essere coerente qualunque cosa faccia: lo
abbiamo pensato quando è passata dalle sue foto in b/n di donne velate e armate
all’immagine in movimento dei suoi film d’artista che sono stati esposti nei
musei di tutto il mondo. La denuncia della drammatica condizione femminile nel
mondo islamico sembra scorrere parallela a quella dell’integralismo religioso
che riguarda tutta la società.

Donne senza uomini è il suo debutto nel grande cinema. Un film di
impostazione marxista. L’autrice torna indietro al 1953, data importante nella
quale un colpo di stato appoggiato da americani e da inglesi restaura il potere
dello Shah, eliminando un governo eletto democraticamente. Attraverso la storia
di quattro donne di diversa estrazione sociale, viene rivissuto questo momento
sociale; le strade di Teheran si intrecciano con i loro personali destini, che
sono però determinati dalla storia e dagli uomini che la scrivono, delimitando
così le loro possibilità. Neshat non tradisce nulla del proprio percorso
d’artista, nel film ritroviamo la stessa eleganza formale, l’immaginario e il
simbolismo dei luoghi (ad esempio: il giardino come posto segreto nel quale
allontanarsi dalla banalità), la dimensione onirica che si infiltra in quella
quotidiana, la consapevolezza del corpo…


Tutti o quasi gli elementi che ci hanno fatto innamorare
del suo lavoro d’artista e che hanno un peso narrativo all’interno del racconto
cinematografico. Se l’uomo occupa lo spazio della donna, non resta che lo
sguardo, unica arma per difendersi dall’invisibilità.

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Paesi
senza libertà

gianni romano

critico d’arte ed editore di postmediabooks


*articolo pubblicato su
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