MEDIOEVO CONTEMPORANEO |

di - 11 Febbraio 2010
Può essere azzardato comparare l’arte dei nostri giorni
con quella di quindici secoli fa? E più rischioso può apparire rintracciarvi
forti assonanze e similitudini, tanto da far annullare quasi del tutto il
divario temporale fra i due periodi? Anche se alcuni studiosi tendono a
fissarne l’inizio con il sacco dei Visigoti guidati da Alarico (410 d.C.),
unanimemente la partenza del Medioevo è fatta coincidere con la caduta
dell’Impero Romano d’Occidente, nel 476, quando il generale Odoacre venne
acclamato imperatore dalle milizie barbariche. E, sempre secondo la vulgata, la
sua origine è inquadrata nella capitale: Roma.
È, infatti, impensabile scindere le sorti della penisola
da quelle della città. Seppure già nel periodo dioclezianeo (IV sec.) vi sono
avvisaglie della radicale trasformazione in corso (Tetrarchi, Venezia, Piazza
San Marco), è a Roma che si rintracciano i sintomi della nascita di una nuova
epoca, che è l’effetto di avvenimenti politici fortemente significativi: il
trasferimento del potere imperiale da Roma prima a Milano (286) e poi a Ravenna
(402), mentre Bisanzio diventa ufficialmente la Seconda Roma (330).
Generalmente, le caratteristiche fondamentali della
“nuova” arte che nasce dalle ceneri della precedente sono individuate
nell’utilizzo dello spoglio [1], nella perdita della profondità, nella rinuncia
alla mimesis a favore di una maggior concentrazione sul “messaggio”, nella
crisi culturale, generata anche da una spinta “dal basso”, più popolare, con
apporti da parte delle nuove culture barbariche.

Voluto dai Senatori romani nel 315 d.C. per celebrare, nei
decennalia dell’imperatore, la gloriosa vittoria di Costantino su Massenzio
nella famosa battaglia di Ponte Milvio del 312 e posto sulla Via dei Trionfi
(oggi via di San Gregorio), l’Arco di Costantino è la sintesi “materiale” delle
trasformazioni in atto, il monumento dove si affrontano i due mondi: quello del
passato, dell’arte classica e quello a venire. Nel riuso di una struttura
adrianea preesistente vengono inseriti altorilievi di spoglio provenienti da
monumenti di epoche diverse – il grande fregio traianeo, i tondi adrianei, i
pannelli di Marco Aurelio – che si affiancano ai bassorilievi realizzati ex
novo, raffiguranti le imprese di Costantino.
È in questo fregio che si registra il principale passaggio
dell’arte come messaggio. La figura di Costantino, al centro, rigidamente
frontale e iconica, sovrasta la folla sottostante, in una prospettiva
gerarchicamente ribaltata: l’imperatore perde la sua natura umana avvicinandosi
sempre più a quella divina.
Tutte peculiarità che lentamente scemano con Giotto e l’affermarsi dell’Umanesimo, in
un graduale processo di recupero dei canoni classici. Parallelamente alla
fioritura e allo sviluppo dell’arte moderna, scorre sotterraneamente l’interesse
per i pittori “primitivi” [2], che vengono riscoperti insieme all’intero
Medioevo dal Romanticismo: il suo rinnovato interesse nelle “origini”, che
assume caratteri politici e coloriture decisamente gotiche, conduce
successivamente a una più attenta rilettura della storia e, di conseguenza,
dell’arte di quei secoli, che è vista però solo come “documento storiografico”
(almeno fino alle analisi di Alois Riegl [3]). Ma già con l’affermarsi
dell’Impressionismo si verifica un primo scarto: il radicale annullamento della
prospettiva ne Le ninfee di Claude Monet rende palese un’inconsapevole assimilazione delle
caratteristiche artistiche fondanti il Medioevo.
A parte gli artisti dichiaratamente “primitivisti” – fra
gli altri, André Derain, Amedeo Modigliani, Pablo Picasso, Giorgio de Chirico -, altri hanno guardato attentamente ad aspetti
differenti del Medioevo. Esempi? Edvard Munch (L’urlo, 1893 ca., trova un corrispettivo
nella Testa di Teodolinda), Arturo Martini (La sete, 1933-36, ha il suo immediato precedente nella Vecchia
assetata della Fontana Minore
di Arnolfo di Cambio a Perugia), Mario Ceroli (la composizione parattatica de La
Cina
, 1966, non
può non richiamare alla mente la processione imperiale di Giustiniano e Teodora
e la corte a San Vitale). Artisti “impensabili”, che dimostrano come nel dna
dell’arte occidentale siano sedimentati e metabolizzati certi stilemi del
passato.
Ma è il Dadaismo a rappresentare la vera rottura con la
tradizione classica e moderna, annullando il divario temporale. Come l’Arco di
Costantino sta all’inizio del Medioevo, così la Fontana (1917) di Marcel Duchamp sta all’inizio del Medioevo
Contemporaneo. Che altro potrebbe essere, infatti, il ready made se non una
riattualizzazione dell’utilizzo dello spoglio? Ecco allora opere come Objet (Le Dejeuner en Fourrure, 1936) di Meret Oppenheim, l’Inventaire des objects
ayant appartenu a une vieille dame de Baden-Baden
(1973) di Christian Boltanski, i luccicanti aspirapolvere
Hoover (The New,
1981-87) di Jeff Koons. E come, altrimenti, potrebbe essere spiegata la nuova spinta “dal
basso” che ha portato alla Pop Art e alle nuove “icone” di Andy Warhol?

Quindi, non è forse azzardato paragonare l’ultimo secolo
all’inizio di un nuovo Medioevo: nell’originale e nella replica, infatti, gli
artisti si esprimono tra le crepe di una profonda crisi culturale che li
conduce a un radicale abbandono dei canoni classici, nel tentativo di
rintracciarne di nuovi. Radiografando il balbettante inizio di una nuova era.

[1] Reimpiego di materiali già lavorati provenienti da
monumenti preesistenti.
[2] Cfr. G. Previtali, La fortuna dei primitivi: dal
Vasari ai neoclassici
,
Einaudi, Torino 1964.
[3] A. Riegl, Industria artistica tardoromana
, Sansoni, Firenze 1953.

daniela trincia


*articolo pubblicato su
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Visualizza commenti

  • E dirò di più: io ho sempre pensato che con "Essere e tempo" di Heidegger (1927) cominciava una sorta di nuovo "medioevo filosofico", di cui questo sarebbe un importante fenomeno parallelo. E direi che sarebbe interessante analizzare questo fenomeno anche alla luce dell'idea rancèriana (Jacques Rancière si occupa in realtà di filosofia politica, ma fa importantissime incursioni nell'estetica) che la post-modernità nell'arte in realtà non è una rottura, ma semplicemente l'esplodere di una contraddizione che è già presente in tutta la storia dell'arte e che nel post-moderno porta inevitabilmente alla negativizzazione del sublime.

  • Discorso interessante e forbito, tesi accattivanti. Una cosa, però, un'ossrvazione forse un po' rozza da mestierante: vorrei capire se si intende per "prospettiva" quella delle fughe all'orizzonte, o la profondità di campo, voglio dire la sensazione di spazio in profondità, che nelle Ninfee è presentissima, così come lo è nelle stampe giapponesi che tanto piacevano al Maestro ed ai suoi amici.
    Penso che la prospettiva geometrica sia un intelligentissimo vezzo che ha dominato forse per un paio di secoli, concedendosi poi a quadraturisti più o meno abili, attivi tutt'ora, (m'è capitato di lavorarci assieme),
    che trovano nella linea d'orizzonte il senso dell'Universo. Il senso della profondità spaziale e dei volumi, me mi appare invece nelle stanze pompeiane, nelle storie di Giotto, nei quadri di Braque, nelle tele di Kandinsky eccetera.
    Per il Medioevo, poi, mi basta pensare ai (nostri?) Beni Culturali....

  • Probabilmente il Medioevo si è chiuso con l'Umanesimo e l'invenzione della stampa, e stanno riapparendo con l'avvento della televisione e di internet. Tesi affascinante, ma esistono davvero i ricorsi storici?

  • in parte è vero quel che dice la Silvestri, ma forse la Scolastica con cui abbiamo ora a che fare va fatta risalire all'idealismo classico tedesco. Certo, l'impasse heidegerriana è significativa, ma è con Hegel che bisogna (ancora) fare i conti: la forza del negativo e la possibilità di sanare le contraddizioni

  • Allora, Davide, quello che dici è vero, Heidegger affonda le sue radici nell'idealismo tedesco, ma la questione è un po' più problematica di come sembra; diciamo che il "medioevo heideggeriano" ha ripensato l'idealismo tedesco secondo le sue prospettive, e anche Hegel è finito col sembrare uno che avesse costruito uno degli ultimi grandi sistemi filosofici mentre invece non ha mai fatto nulla di simile (leggere Kojève per credere). Vero è anche che quei testoni degli idealisti tedeschi se la sono andata a cercare, visto che come dice giustamente Dewey affermavano tutti in definitiva la stessa cosa, ma si sbranavano sulle diverse posizioni delle virgole... le conseguenze si possono immaginare, e lo dico da schopenhaueriana convinta.

  • Proposta terminologica, arrivi un po' tardi: http://www.key4biz.it/Bibliotech/2005/10/Il_Mediaevo_italiano.html ma non è che c'entri molto con l'arte. Credo che qui il discorso sia un po' diverso e non è nemmeno questione di ricorsi storici, è più questione di un'evoluzione che è arrivata ad un punto di rottura e si ritrova a dover ripensare tutto daccapo... diciamo che - se il discorso non si fa troppo complesso - ogni tanto ci sono delle inversioni di tendenza per quanto riguarda il rapporto fra le parole e le cose, per dirla con Foucault, ma la vedo più come un "reculant pou mieux sauter" che come una inevitabilità ciclica (IMHO, ovviamente)

  • Mi piace questa definizione di Medio Evo se la estrapolo dal contesto dell'articolo mi si applica benissimo a descrivere in senso lato la barbarie del contesto culturale in cui siamo immersi (io la vedo così).In arte, in letteratura al cinema c'è un offerta mai così esagerata di tutto ma spesso di bassa o al massimo media qualità veramente pochissimo ci toglie il fiato o ci "prende allo stomaco"per usare una citazione di David Foster Wallace di lui condivido in tutto questo pensiero:
    "Nei tempi bui, quello che definisce una buona opera d’arte mi sembra che sia la capacità di individuare e fare la respirazione bocca a bocca a quegli elementi di umanità e di magia che ancora sopravvivono ed emettono luce nonostante l’oscurità dei tempi". Abbiamo bisogno di questi fari oggi più che mai.

  • Mb2, francamente temo che questa definizione di Foster Wallace sia tanto pregevole letterariamente parlando ma sul piano della comprensione serva a poco. I "tempi bui" non sono altro che tempi di transizione - con tutto rispetto per il trauma che possono provocare, ci mancherebbe - e un'opera che dovrà "togliere il respiro" passata la transizione, è facile che a noi contemporanei ci sembri un ammasso di robaccia insulsa (a meno che non si abbia una visionarietà predittiva che lèvati). Capisco che il conservatorismo - soprattutto per chi si occupa di arte - sia dettato da un vero e proprio istinto di sopravvivenza, ma temo che per come stanno le cose oggi possa esser più dannoso che utile. A 'sto punto a tanti soloni preferisco Freccero.

  • Valeria Silvestri per l'epoca di transizione sono d'accordo con te, quello che volevo trasmettere con la citazione di Wallace è un semplice interrogativo sul senso di "verità" di un opera sul suo valore realmente innovativo. In quest'epoca di esubero, di grande produzione di opere dal linguaggio indubbiamente contemporaneo mi sembra che poco si salvi per vera originalità tutto è già stato detto, fatto non rimane che la rimasticatura oppure guardare proprio a quei decenni più fondativi. Faccio un esempio: se i Masbedo (che fanno dei video ineccebili un "buon prodotto" artistico) citano Marina Abramovic io preferisco andare alla fonte al video originario della Abramovic lei mi dà la scossa i Masbedo al limite mi fanno il solletico. Tutto qui

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