MODELLO PANZA

di - 17 Giugno 2010
Basta un istante per capire dov’è il vero, il bene, la
felicità. Non è facile, tutto questo richiede un notevole sforzo d’attenzione,
non può durare a lungo, inevitabilmente le cose che desideriamo hanno il
sopravvento. Ma dopo aver provato questi momenti sentiamo la necessità di
riviverli, rimane dentro di noi la nostalgia del bene perduto che bisogna
ritrovare.

Giuseppe Panza di Biumo

La notizia ha avuto poco risalto nel nostro paese: qualche
trafiletto sui quotidiani nazionali, qualche pezzo celebrativo sul web. Non c’è
da stupirsi. In Italia, dal dopoguerra a oggi, la prevalenza della cultura di
sinistra ha impedito che la figura del collezionista acquisisse una centralità
e un riconoscimento paragonabili a quelli assunti nel mondo anglosassone, dove
Rockfeller, Guggenheim, Mellon e altri sono entrati nella leggenda. Se a questo
si aggiunge che il nostro regime fiscale non ha mai favorito la compravendita
di opere d’arte, si capisce perché il collezionismo in Italia si è sempre mosso
sotto traccia.
Giuseppe Panza ha rappresentato un’eccezione, non facendo
mistero della sua passione e anzi cercando di condividerla con il grande
pubblico, cosa che gli ha dato riconoscibilità soprattutto all’estero. Ben più risalto
alla notizia della sua morte è stato dato dalla stampa statunitense, in
particolare il Los Angeles Times
ha affidato un approfondimento al più influente critico
californiano, Christopher Knight. Anche questo non stupisce, giacché gli
artisti americani e losangeleni soprattutto (Irwin, Nauman
, Nordman, Ron Griffin, Larry Bell, Douglas Huebler, James Turrell, Doug Wheeler ecc.) furono quelli più studiati
e collezionati da Panza. Negli anni ’50 aveva cominciato acquisendo i lavori di
Kline
,
Rothko
e Tàpies, nei ’60 quelli degli artisti
pop, ma la svolta venne nel ’66 quando scoprì l’arte concettuale, quella
ambientale e la sensibilità minimalista, alle quali finì per legarsi in modo
indissolubile. Negli anni ’80 vendette un nucleo di opere della sua collezione
al MoCa di Los Angeles, negli anni ’90 cedette al Guggenheim diverse centinaia
di lavori, in anni recenti alcune decine di opere sono andate all’Hirshhorn
Museum di Washington e all’Albright Knox Gallery di Buffalo e proprio
all’inizio di aprile il SFMoMA di San Francisco ha annunciato l’acquisizione di
25 opere.

Attraverso il comodato d’uso gratuito, temporaneo o
rinnovabile, costituì sezioni della sua collezione al Palazzo Reale di Gubbio,
al Mart di Rovereto, al Palazzo Ducale di Sassuolo, alla Gran Guardia di
Verona. 200 opere sono state donate al Museo Cantonale di Lugano, dove il
collezionista ha vissuto negli ultimi anni della sua vita, mentre la storica
residenza di Villa Menafoglio Litta Panza, vicino Varese, è stata assegnata al
Fai con la sua dotazione di 133 opere, compresi alcuni interventi site
specific.
Giuseppe Panza è stato un collezionista sempre in prima
linea, uno che delle sue esperienze e dei suoi incontri amava scrivere: nei
cataloghi delle mostre della sua collezione il suo contributo non mancava mai,
ma è tutta da leggere la quasi-autobiografia edita da Jaca Book (Ricordi di
un collezionista
)
e piena di racconti, aneddoti e profili dedicati agli artisti amati.
Nonostante gli oltre quarant’anni passati dall’inizio di
questa straordinaria avventura, non è ancora possibile oggi valutarne fino in
fondo l’importanza, perché ha avuto l’ambizione di documentare non un pensiero
né un’idea e neppure un gusto, ma una sensibilità che ha segnato quasi due
generazioni di artisti. Una via trasversale che preparò il terreno a nuovi
approcci concettuali, dando vita ad Arte Povera, Optical Art, Concettuale, Arte
Ecologica e Ambientale…

Negli anni non sono mancate le critiche, persino una
celebre querelle con Donald Judd
; a Panza furono imputate spregiudicatezza, anacronismo,
esterofilia: accuse smentite dalla stessa collezione, che è quanto di più
lineare, rigoroso, coerente si possa immaginare. Il risultato del sogno di un
grande mecenate moderno. Molte acquisizioni sono state fatte su lavori allo
stato progettuale e conservati in attesa di trovare condizioni e luoghi adatti
alla loro realizzazione. Di questo intenso rapporto di collaborazione con gli
artisti resta testimonianza nello sterminato archivio depositato al Getty
Center.
Ma parliamo di mercato, ché è la mission di questa pagina.
Ebbene, le scelte fatte da Panza prescindevano dalle tendenze di mercato.
Certo, sono difficilmente confrontabili con quelle delle collezioni di Eli
Broad, della famiglia Rubell, François Pinault, Peter Brant o altri, universali
e globali ma anche neutre, impersonali, perfettamente accreditate nel loro
valore culturale dal loro valore economico: valgono perché costano. Non
significa però che Panza non fosse interessato al valore economico delle opere,
anzi. Per certi versi, era convinto che il mercato non avesse ancora compreso
l’altezza di molti dei suoi artisti. Ciò nonostante non ostentava il minimo
dubbio rispetto alle scelte fatte, nella certezza che il credito economico più
importante fosse quello differito rispetto al riconoscimento del credito
storico: costano perché valgono.

Nella Collezione Panza vi sono certamente figure
fondamentali come Flavin
, Judd, Morris, Weiner,
Ryman
, LeWitt, Andre, Serra, Long, ma anche artisti meno noti
(persino alcuni italiani) ai quali non fece mai mancare il suo appoggio e la
sua convinzione. Il suo lavoro e la sua passione possono essere condivisi o
meno, ma va riconosciuto al Conte di aver costituito un corpus di opere legate
da una precisa identità, perché prima d’essere collezione di nomi e opere è
paziente ricostruzione di una sensibilità e di una cultura condivisa, di un
contesto storico e di pensiero, all’interno del quale anche l’episodio
marginale assume un ruolo determinante, come pure l’esercizio dell’intuizione che
occorre per individuarlo.

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alfredo sigolo


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 66. Te l’eri
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Visualizza commenti

  • Panza è stato un collezionista culturalmente elevato e selettivo nella sue scelte. Nella sua casa non si avverte tanto la ricchezza (come capita con molti di quelli citati da Alfredo) quanto le sue idee ed il suo gusto. Essenzialmente è stato un monoteista molto sensibile, dallo spirito nobile.
    Senza fare agiografia, bisogna sottolineare quanto le sue scelte nascano per amore e mai per calcolo, caratteristica che talvolta è sfociata in una sorta di fissazione per certi autori.
    In Italia pochi tuttora ne conoscono la reale grandezza. E dispiace.

  • da che mondo è mondo, così in Italia come all'estero, successo e qualità sono termini che raramente coincidono, e sono innumerevoli gli esempi, anche attuali, di artisti, scrittori, ricercatori di ogni campo (anche collezionisti come Panza, peraltro tutto meno che uno sconosciuto) il cui riconoscimento, soprattutto in vita, è stato molto inferiore ai meriti.
    questo perché, secondo me, queste persone sanno, sapevano, che le due cose sono inconciliabili: se vuoi ottenere successo, devi fare a meno della qualità ottimale del tuo lavoro di ricerca (salvo eccezioni, naturalmente, peraltro rarissime).
    ma il signor Sigolo, nell'attacco del suo articolo, preferisce incolpare, dell'insufficiente rilievo assegnato alla figura di Panza, "la prevalenza della cultura di sinistra dal dopoguerra ad oggi".. mah?!
    fra l'altro, si vede bene ora, quando la prevalenza 'culturale' è passata (e non "da oggi", caro Sigolo) alla destra, che piega abbiano preso le cose: vedi, tanto per fare un esempio fra i tanti, la recente, ennesima nomina (segnalata proprio ieri da Exibart) dell'eccelso Elkann.. un bel progresso, non c'è che dire.

  • forse l'autore dell'articolo faceva riferimento al fatto che Giuseppe Panza di Biumo non si è mai genuflesso al cospetto dei poteri forti in Italia e non frequentava salotti e terrazze di sinistra

  • Io sono di sinistra profondamente, senza indugi. E mi dispiace dire - sarei falso a non ammetterlo - che molta sinistra ha ammorbato la cultura con una visione ideologica e statalista. Il privato è il demonio, perchè la cultura non deve portare guadagno: è capitato con la musica e pure con l'arte. Non vi ricordate l'alzata di scudi seguita alle affermazioni di Baricco dell'anno scorso su come rifondare il teatro e l'opera?
    Suvvia, benché non sia l'unica causa, Alfredo ci ha visto giusto.

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