03 luglio 2012

Mosca, dal commercio al non profit

 
Recentemente tre gallerie della capitale russa hanno cambiato volto, diventando centri non profit. Non è un'operazione cosmetica, anche se dietro c'è la crisi che morde. Piuttosto è determinante poter contare sull'appoggio dello Stato, perché lì il non profit è sostenuto dal pubblico. Confermando, al tempo stesso, che è l'iniziativa privata a smuovere le acque. Ecco le loro storie [di Anna Vassilenko]

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Quando si parla del mercato dell’arte in Russia il pensiero corre a un numero stretto delle gallerie più vecchie e autorevoli di Mosca. E di solito si tratta di un lavoro accurato svolto dai migliori galleristi, non solo in patria ma anche all’estero. L’ultima notizia che è arrivata dal fronte commerciale non ha lasciato indifferente nessuno. Dopo aver investito per vent’anni nello sviluppo dell’arte e nel collezionismo russo contemporaneo, ad aprile scorso tre delle più importanti gallerie di Mosca – Aidan, M&J Guelman e XL Gallery – hanno annunciato la chiusura delle loro attività commerciali a favore di progetti non-profit educativi e curatoriali. Ancora una volta, quindi, la situazione culturale è rinnovata dall’iniziativa privata.

Nate negli anni Novanta agli albori del sistema dell’arte contemporanea in Russia, queste gallerie sono state fra i primi spazi espositivi per l’arte contemporanea, lavorando piuttosto come “portatori culturali” che vetrine commerciali. Il collezionismo e il mercato in generale erano ancora da formare, e la loro missione consisteva nello spiegare le nuove istanze artistiche e promuoverle. Cambiare profilo per gallerie che originalmente hanno svolto un tale ruolo sembra del tutto naturale, meritandosi un plauso particolare vista la mancanza di istituzioni di ricerca e di sostegno dell’arte giovane, sperimentale e regionale.

La galleria Aidan, nata per iniziativa dell’artista Aidan Salakhova, ora diventa Aidan Studio con il suo laboratorio aperto al pubblico ogni weekend, dove l’artista continuerà a lavorare, a insegnare ai suoi studenti e dove si potranno vedere i risultati dei workshop. Un altro pioniere del gallery business in Russia, Marat Guelman, apre il nuovo ufficio del production center Alleanza Culturale – progetto orientato alla ricerca e allo sviluppo dell’arte nelle regioni del Paese e a una sua successiva promozione ed esposizione nello spazio della vecchia galleria M&J Guelman. Ore contate anche per un altro spazio, la XL Gallery, che si trasforma in XL Projects e la cui gallerista Elena Selina diventa curatrice di progetti sperimentali, mantenendo comunque in parte l’attività espositiva degli artisti della galleria XL. Tutti i tre nuovi progetti rimangono nei loro vecchi spazi nell’area creativa di Winzavod, aggiungendovi un valore nuovo.

Naturalmente, quello che oggi sta accadendo nella platea commerciale ha dei motivi soprattutto economici che riguardano da un lato il collezionismo saziato e rallentato dalla crisi economica e politica nel Paese. Dall’altro, un mercato d’arte non funzionante al massimo e che si trova ancora nella fase dalla sua formazione rende sempre più difficile la vita delle gallerie che dovrebbero mantenersi con le loro attività. «L’atmosfera attuale in Russia non dispone al collezionismo, soprattutto dell’arte contemporanea», spiega Marat Guelman. «Negli ultimi anni l’80 per cento di collezionisti con cui ha collaborato la galleria M&J Guelman dal 1996 si è trasferito all’estero». Il non profit, invece, può contare su sussidi statali, cosa che non si possono permettere le gallerie. E quindi sembra logico scegliere un modello alternativo convertendo le proprie attività in progetti senza scopo di lucro. «Non sto pianificando di risolvere i miei problemi a spese dello Stato, bensì vorrei iniziare un dialogo con esso sulla necessità di sovvenzionare molte iniziative culturali», afferma E. Selina.

Ovviamente nella trasformazione i protagonisti di questa riforma culturale – Aidan Studio, Alleanza Culturale e XL Projects – hanno visto anche la possibilità di continuare il lavoro e di assumere un ruolo di motore dell’arte contemporanea, lasciando, però, due domande aperte. Prima: come influenzare lo Stato per fargli sostenere l’arte? Creare associazioni e unire gli sforzi delle organizzazioni private per dialogare con esso o contare sulle proprie risorse e creare una comunità? Oggi l’interesse (sempre ben presente) verso l’arte contemporanea da parte del settore privato sta crescendo ulteriormente. Il Centro per la Cultura Contemporanea Garage, la Fondazione Victoria – the Art of being Contemporary e la Stella Art Foundation, Winzavod che accoglie sotto il tetto dell’ex birreria il gran numero delle gallerie d’arte contemporanea e, infine, il futuro museo Udarnik, annunciato da Shalva Breus i primi d’aprile e che sarà fondato sulla collezione del Fondo Culturale ArtChronika di cui è presidente – sono i soggetti principali della comunità formata delle organizzazioni private con una propria politica culturale. Il ruolo del privato nell’arte contemporanea è sempre più importante, anzi, indispensabile, specialmente quando lo Stato è assente. E forse per fortuna, ricordando l’esperienza del periodo sovietico accompagnato dall’alta attenzione governativa al processo artistico.

Ma occorre rispondere anche alla seconda domanda: una volta ottenuta la collaborazione dallo Stato, che bisogna fare per rimanere indipendenti? Marat Guelman è sicuro che le persone più autorevoli e con esperienza, capaci di rivendicare il proprio punto di vista debbano lavorare con le strutture municipali e statali. Determinata anche la sua collega Elena Selina: «Se lo Stato ci proporrà un aiuto legislativo e di altro carattere, lo accetteremo. Ciò non significa che grazie a quest’aiuto cominceremo a servire l’apparato repressivo». Ma si spera che il processo avviato di riforma porterà a una svolta qualitativa nella collaborazione fra il privato e lo Stato. Non al ritorno alle origini.

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 79. Te lo sei perso? Abbonati!

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