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Mosca, dal commercio al non profit
Politica e opinioni
Recentemente tre gallerie della capitale russa hanno cambiato volto, diventando centri non profit. Non è un'operazione cosmetica, anche se dietro c'è la crisi che morde. Piuttosto è determinante poter contare sull'appoggio dello Stato, perché lì il non profit è sostenuto dal pubblico. Confermando, al tempo stesso, che è l'iniziativa privata a smuovere le acque. Ecco le loro storie [di Anna Vassilenko]
Nate negli anni Novanta agli albori del sistema dell’arte contemporanea in Russia, queste gallerie sono state fra i primi spazi espositivi per l’arte contemporanea, lavorando piuttosto come “portatori culturali” che vetrine commerciali. Il collezionismo e il mercato in generale erano ancora da formare, e la loro missione consisteva nello spiegare le nuove istanze artistiche e promuoverle. Cambiare profilo per gallerie che originalmente hanno svolto un tale ruolo sembra del tutto naturale, meritandosi un plauso particolare vista la mancanza di istituzioni di ricerca e di sostegno dell’arte giovane, sperimentale e regionale.
Naturalmente, quello che oggi sta accadendo nella platea commerciale ha dei motivi soprattutto economici che riguardano da un lato il collezionismo saziato e rallentato dalla crisi economica e politica nel Paese. Dall’altro, un mercato d’arte non funzionante al massimo e che si trova ancora nella fase dalla sua formazione rende sempre più difficile la vita delle gallerie che dovrebbero mantenersi con le loro attività. «L’atmosfera attuale in Russia non dispone al collezionismo, soprattutto dell’arte contemporanea», spiega Marat Guelman. «Negli ultimi anni l’80 per cento di collezionisti con cui ha collaborato la galleria M&J Guelman dal 1996 si è trasferito all’estero». Il non profit, invece, può contare su sussidi statali, cosa che non si possono permettere le gallerie. E quindi sembra logico scegliere un modello alternativo convertendo le proprie attività in progetti senza scopo di lucro. «Non sto pianificando di risolvere i miei problemi a spese dello Stato, bensì vorrei iniziare un dialogo con esso sulla necessità di sovvenzionare molte iniziative culturali», afferma E. Selina.
Ovviamente nella trasformazione i protagonisti di questa riforma culturale – Aidan Studio, Alleanza Culturale e XL Projects – hanno visto anche la possibilità di continuare il lavoro e di assumere un ruolo di motore dell’arte contemporanea, lasciando, però, due domande aperte. Prima: come influenzare lo Stato per fargli sostenere l’arte? Creare associazioni e unire gli sforzi delle organizzazioni private per dialogare con esso o contare sulle proprie risorse e creare una comunità? Oggi l’interesse (sempre ben presente) verso l’arte contemporanea da parte del settore privato sta crescendo ulteriormente. Il Centro per la Cultura Contemporanea Garage, la Fondazione Victoria – the Art of being Contemporary e la Stella Art Foundation, Winzavod che accoglie sotto il tetto dell’ex birreria il gran numero delle gallerie d’arte contemporanea e, infine, il futuro museo Udarnik, annunciato da Shalva Breus i primi d’aprile e che sarà fondato sulla collezione del Fondo Culturale ArtChronika di cui è presidente – sono i soggetti principali della comunità formata delle organizzazioni private con una propria politica culturale. Il ruolo del privato nell’arte contemporanea è sempre più importante, anzi, indispensabile, specialmente quando lo Stato è assente. E forse per fortuna, ricordando l’esperienza del periodo sovietico accompagnato dall’alta attenzione governativa al processo artistico.
Ma occorre rispondere anche alla seconda domanda: una volta ottenuta la collaborazione dallo Stato, che bisogna fare per rimanere indipendenti? Marat Guelman è sicuro che le persone più autorevoli e con esperienza, capaci di rivendicare il proprio punto di vista debbano lavorare con le strutture municipali e statali. Determinata anche la sua collega Elena Selina: «Se lo Stato ci proporrà un aiuto legislativo e di altro carattere, lo accetteremo. Ciò non significa che grazie a quest’aiuto cominceremo a servire l’apparato repressivo». Ma si spera che il processo avviato di riforma porterà a una svolta qualitativa nella collaborazione fra il privato e lo Stato. Non al ritorno alle origini.
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 79. Te lo sei perso? Abbonati!