N’EST PAS

di - 5 Dicembre 2010
Complice Renato Miracco, attuale attaché culturale dell’ambasciata
italiana di Washinghton, che mi aveva detto che un’amica avrebbe passato
qualche giorno a Venezia. Helene Cooper, in tenuta estiva e turistica, era
accompagnata da tre amici, in viaggio europeo con lei. Aveva espresso il vivo
desiderio di visitare qualche villa palladiana, alla scoperta dell’eredità
architettonica americana. Come recita la mostra da poco conclusa alla Morgan
Library di New York (la biblioteca ridisegnata da Renzo Piano) proprio sul
viaggio transatlantico di Palladio e della sua influenza sull’architettura Usa.
Una mostra, organizzata dal Cisa di Vicenza e Morgan, che dovrebbe aiutare le
pratiche della risoluzione del Congresso americano, che vede proprio in
Palladio il padre dell’architettura americana.

Helene era curiosa della somma
di territori che poteva incontrare. Le avevo raccontato, via etere, che su una
base storico-artistica straordinaria si è sviluppato in Italia un territorio
sconosciuto che è l’industria creativa. Migliaia di invenzioni imprenditoriali
che sono la riconoscibilità mondiale dell’Italia contemporanea. Lasciata
Venezia, ci siamo così diretti nell’entroterra, direzione Vicenza. Un tour
veloce e densissimo. Dall’apertura straordinaria della Rotonda di Palladio a
Villa ai Nani, con i cicli di Tiepolo padre e figlio, al Teatro Olimpico, il
più antico teatro coperto del mondo, alla Basilica Palladiana. Tutto a portata
di camminata. E fino a qui eravamo nel classico quanto stupefacente Italian
tour.


Lo scarto e lo stupore è stato il tour industriale del pomeriggio. Gli
ospiti hanno infatti alternato colline dolci e ville storiche con showroom e
cantine. Dai pezzi di design dello Studio Jop o Marcel Wanders da Bisazza alle
tute per la Nasa di Dainese, dalle borse intrecciate di Bottega Veneta agli
abiti lunghi da sera di Valentino. “Mi
sono presentata alla cena di Natale, alla Casa Bianca, con un Valentino rosso
”,
mi raccontava Helene, che “copre” la Casa Bianca per il New York Times. Gli amici che accompagnavano Helene erano altri due
giornalisti: il responsabile del Washington
Post
di Londra e l’editor dei libri del Wall
Street Journal
. Hanno scoperto un’Italia diversa. Hanno parlato con
imprenditori e creativi. Sono entrati nelle sedi del nostro made in Italy. E
hanno chiuso con una cena sulla terrazza dell’amico eclettico Flavio Albanese,
ex direttore di Domus.

I tre sono
rimasti stupiti. Rapiti. Un’esperienza che dicono “indimenticabile” e sinestetica. La cultura italiana è infatti una
somma di territori che devono entrare in dialogo. Con il giusto rispetto e con
le corrette distanze, ma in modo coordinato e contemporaneo. Sembra l’acqua
calda. Ma il processo ha bisogno di conoscenza e di mediatori culturali
preparati e internazionali. In sintesi: due dita di cultura storico-artistica,
due di enogastronomia, un dito di contemporanea, due gocce di fashion, uno
spruzzo di design. Miscelare. E servire senza ghiaccio.

cristiano seganfreddo

direttore di fuoribiennale e innov(e)tion valley


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