N’EST PAS

di - 7 Giugno 2010
Mi capita spessissimo di incrociare imprenditori che, con
la speranza negli occhi, mi domandano di provare a pensare cosa potrebbero
diventare le loro distese ormai in disuso. Da luoghi di produzione a magazzini.
A contenitori di polvere. Senza nessuna speranza produttiva e di conseguenza
economica. Ultima speranza, quindi, la cultura o l’innovazione. Gli eventi o i
festival. Macelli che diventano centri culturali, vecchie manifatture che si
fan grandi spazi visivi, bunker che si danno all’arte. E così lo sono anche
l’Arsenale di Venezia o la Fornace di Asolo.
Si pone però un insuperabile
problema. I casi di riconversione di cui parliamo sono sempre casi. Casi
sporadici. Elementi quasi insignificanti, se comparati ai milioni di metri cubi
di costruito. Ciliegine su torte di panna rancida. E molto spesso sono
ciliegine molto costose, perché esotiche, che non riqualificano quello che
incontrano. Grandi progetti che poi si scontrano con la realtà della mancanza
di risorse per farli funzionare. Non è poi credibile costruire ogni trenta
metri un centro culturale, una galleria, un atelier, un incubatore o uno spazio
per l’innovazione. Si va verso un mondo che concentra e non che disperde. Non
abbiamo l’utenza né la densità per assorbire progetti così ampi. Oltretutto, la
maggior parte delle zone industriali in questione sono depresse, in luoghi
orrendi, distanti anche dalle vie di comunicazione.

La Provincia di Treviso
qualche anno fa aveva fatto uno studio sulla possibilità di radere al suolo le
aree industriali. Con la cifra che sarebbe stata necessaria poteva sanare un
pezzo importante del debito pubblico nazionale. Per cui, cartello “no
way”. Propongo un’operazione che potrà sembrare provocatoria, ma che non
vuole esserlo. Essendo invece pragmatica e possibile. Lasciare che la natura
faccia il suo corso in modo programmato. Trasformare le aree industriali in
parchi postmoderni. Un lavoro alla Gilles Clément, il grande giardiniere e
filosofo francese che teorizza i giardini dove la natura si arrangia.

Immaginiamoci così di andare in nuovi grandi parchi verdi che hanno come sfondo
il cemento delle ex aree industriali. Diventiamo esploratori di recenti rovine.
Poetiche e istruttive. Dove andare a passeggiare con i nostri figli. Scoprendo
un recente passato che ci sembrerà così antico. Forse.

cristiano seganfreddo
direttore di fuoribiennale e innov(e)tion valley

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 65. Te l’eri
perso?
Abbonati!

[exibart]

Articoli recenti

  • Mostre

La prima mostra di Aldo Sergio da Tommaso Calabro a Milano

Dopo la personale di Flaminia Veronesi, Aldo Sergio è il secondo artista contemporaneo presentato dalla galleria milanese: la sua mostra…

29 Luglio 2024 18:24
  • Arte contemporanea

Come rinasce una cultura: il progetto di Inuuteq Storch al Padiglione Danimarca

Per il Padiglione Danimarca alla 60ma Biennale di Venezia, Inuuteq Storch apre uno spiraglio sulla cultura kalaallit e sull’occupazione coloniale…

29 Luglio 2024 18:10
  • Mercato

Gli artisti e designer Bugatti sono protagonisti della vendita di Bonhams

Ottimi risultati per la Peter Mullin Collection di Bonhams, a Los Angeles. A partire dai lavori di Carlo, Rembrandt e…

29 Luglio 2024 17:44
  • Beni culturali

Roma, nuove aperture al Vittoriano con il Sommoportico e i Propilei

Dopo gli interventi di ripristino, tornano fruibili al pubblico nuovi spazi del Vittoriano, restituendo l’idea del progetto architettonico originario e…

29 Luglio 2024 17:00
  • Archeologia

Capri, alla Certosa di San Giacomo apre il nuovo Museo Archeologico

Già sede di diverse mostre e progetti di arte contemporanea, la Certosa di San Giacomo, a Capri, ospita il nuovo…

29 Luglio 2024 11:10
  • Arte contemporanea

Premio Henraux 2024, contemporaneità del marmo: le opere vincitrici in mostra

Svelate le opere di Olivia Erlanger, Nicola Martini e Tarik Kiswanson, vincitori della sesta edizione del Premio Internazionale di Scultura…

29 Luglio 2024 10:10